ARCIMBOLDI, Giuseppe
Nato a Milano nel 1527, da nobile famiglia, era figlio del pittore Biagio (amico di B. Luini), e da lui fu educato in un ambiente che risentiva sia della tradizione leonardesca, sia dell'influenza della scuola tedesca introdotta a Milano dagli artisti d'oltralpe impiegati nella Fabbrica del duomo. Poco si conosce e poco rimane dell'attività giovanile dell'Arcimboldi. Tra il 1549-58 lavorò in duomo col padre e da solo, impiegato in decorazioni d'importanza minore (portelli d'organo, insegne nobiliari) e soprattutto alle vetrate per le quali ideò alcune composizioni di cui è rimasta nel transetto sinistro sopra la porticina laterale quella con le storie di s. Caterina d'Alessandria realizzata (1556) da Corrado de Mochis da Colonia. Nel 1558 lavorava nel duomo di Como ideando modelli per le vetrate e soprattutto i cartoni per otto arazzi (ivi conservati) realizzati dai fiamminghi G. e L. Karcher. Nel 1562 l'A. si trasferì a Praga, alla corte di Ferdinando I, artista prediletto del principe Massimiliano il quale, nel 1564, divenuto imperatore, lo confermò al suo servizio come Haus-Conterfetter (ritrattista di corte). Sono di questi anni le tavole dei Quattro elementi (1566, di cui Acqua e Fuoco a Vienna, Kunsthistorisches Mus.), il ritratto caricaturale di Giovanni Calvino (1566, ne esiste versione quasi certamente autografa nel castello di Gripshohn, Svezia) quelli del Cuoco e del Cantiniere (1574; già a Praga coll. Mueller; una versione del Cuoco quasi certamente dell'A. si trova in Svezia, Djursholm, coll. E. Braunerhyelm) e una quantità di altri ritratti "illusionisti" per i quali rimase celebre. Fu anche impiegato come costuinista e apparatore nella maggior parte delle feste e dei tornei di corte, e realizzò, tra l'altro, gli allestimenti per l'incoronazione di Massimiliano II e quelli per le nozze dell'arciduca Carlo suo fratello. Nel 1566 rientrò per qualche tempo in Italia, e in questi anni fornì verosimilmente all'editore veneziano Francesco Camocio i modelli per alcune stampe di cui restano due soggetti "illusionistici" datati 1567 e 1569 (Venezia, coll. B. Geiger). Prima del 1574 era nuovamente a Praga e nel 1574, morto Massimiliano, fu riconfermato in carica dal fratello di questo Rodolfo II, principe stravagante ma all'avanguardia della cultura; da questo fu, tra l'altro, incaricato di un viaggio ad Aquisgrana e a Kempten (Baviera) per l'acquisto di oggetti di antiquariato e di animali esotici per adornare il suo "Museo delle meraviglie". Per Rodolfo, oltre a una quantità di ritratti, eseguiti nel suo stile consueto, l'A. eseguì una nuova versione delle Quattro Stagioni (della prima versione restano l'Estate e l'Inverno nel Kunsthistorisches Museum di Vienna, firmati e datati 1563; di questa seconda versione l'Estate, conservata nella coll. M. Bridel di Losanna, è firmata e datata 1577: ad essa farebbe coppia l'Autunno, pure presso la stessa collez.). Dopo il suo definitivo rientro in Italia (1587) l'A. dipinse la Ninfa Flora identificata (Geiger, 1956) con un quadro dello stesso soggetto (nella coll. R. Lebel, Parigi) nonché il Ritratto dell'imperatore in veste di dio Vertunno (quasi certamente autografo è quello nella coll. R. von Essen a Skokloster, Svezia). Sempre a Rodolfo II, l'A. dedicò nel 1585 un gruppo di circa 150 disegni, raffiguranti carri, slitte, costumi e armature per i torneanti e gli altri personaggi allegorici di una giostra non identificata. "Invictissimo Romanorum imperatori semper Augusto Rodoipho Secundo / Domino Clementissimo / Josephus Arcimboldus mediolanensis has pro hastiludis / multae variasque inventiones manu /propria delineatas dicavit / Anno Domini MDLXXXV", Firenze, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe. Rodolfo II, dopo un primo diploma di riconoscimento gentilizio (1580) che riconfermava la nobiltà del casato Arciboldi, riconoscimento del lungo e gradito servizio prestato alla sua corte, oltre agli innumeri benefici, creò, nel 1591 l'A. conte palatino con titolo non trasmissibile agli eredi.
Morì a Milano l'11 luglio 1593.
Avviato all'arte del manierismo lombardo (di cui resta testimonianza nelle vetrate del duomo di Milano e negli arazzi di Como), appena giunto a Praga, l'A. ripudiò, si può dìre, le sue origini, avventurandosi con determinazione verso un suo stile speciale, "illusionistico" come lo chiamarono i suoi contemporanei, o "surrealistico" come più propriamente preferisce definirlo la critica moderna. Salvo gli apparati, i costumi e le annature per feste e tornei che, a detta dei biografi, lo resero grato alla corte di Praga, pare che la maggior parte dell'attività dell'A. si sia concentrata su un eccentrico genere di ritratti caricaturali e di figurazioni allegoriche in cui le persone, pur conservando sembianze e proporzioni umane, risultavano inr ealtà composizioni antropomorfe con teste di frutta, fiori, verdure, animali, simboli allegorici e attributi psicologico-descrittivi. Gli inventari delle gallerie imperiali ci offrono un vasto repertorio dei soggetti trattati dall'A., elencando "teste composte di verdure varie", di rape, di "arrosti diversi", di frutta, di pollame, di volatili, di pesci, di "paesaggi"; così il ritratto del cuoco era in realtà una composizione gastronomica e quella del cantiniere una figurazione enologica; un ritratto di Erode attribuitogli risulta composto di fanciulli ignudi, e quello di Giovanni Calvino è formato di libri e animali. La bizzarria dell'A. non ha precedenti nella pittura cinquecentesca sebbene atteggiamenti consimili si ritrovino, con altro spirito, in certe espressioni delle arti minori nordiche (oreficeria, intarsio, illustrazioni di libri matematici e astrologici). Benché si voglia vedere nell'A. un capostipite del surrealismo, tutta la sua arte è improntata a una diversa ispirazione e a una diversa intenzione: il surrealismo dell'A. è vitalizzato da un gusto caricaturale e buffonesco per cui la sua deviazione dalla realtà, e dalla riproduzione idealizzata della realtà si presenta ben diversa dall'inteUettualistica, congelata deformazione del surrealismo modemo, e acquista una più valida vitalità di forma e di contenuto.
Conforta l'inesauribile fantasia del pittore, e l'infinita varietà dei motivi, uno stile tecnicamente sicuro, dal colorito vivace e luminoso e dal disegno preciso e minuzioso.
Delle numerose composizioni dipinte dall'A. e in gran parte disperse nel sacco di Praga del 1648, poche sono le opere firmate e di sicura attribuzione; altre gli sono state rivendicate negli ultimi decenni, spesso con attribuzione molto convincente; in questa voce si ricordano le più note e quelle più attendibilmente attribuibili. Sono sicuramente del maestro, oltre ai già nominati, i seguenti dipinti: Graz, Landesbildergall., Il cacciatore; Milano, Castello Sforzesco, La Primavera; esiste a Praga, (cfr. Geiger, 1954) un Dottore col mal francese. Quasi certamente dell'A. sono due quadri già della coll. Cardazzo, Milano: Erode e Uomo composto di pesci.
L'A. si interessò anche di musica, ma di questi interessi che portarono al tentativo di "rappresentare il pensiero musicale con la gamma dei colori" (Levi) non sappiamo altro che quello che ci testimonia il Comanini che indicherebbe nell'A. il primo a realizzare l'optique des couleurs di L. B. Castel (1740).
Bibl.: G. Comanini, Il Figino overo del fine della pittura, Mantova 1591, pp. 28-53, 135, 244, 278; L. Geiger, I dipinti ghiribizzosi di G. A. pittore illusionista del Cinquecento, con una nota su l'A. musicista di L. Levi e un epilogo di O. Kokoschka, Firenze 1954 (con documenti, regesti, elenco delle opere, bibl. completa pp. 133-138); F. G. Legrand-F. Sluys, Some little known "Arcimboldeschi",i n The Burlington Magazine, XCVI(1954), pp. 210-14; B. Geiger, G. A. "surrealista" dei suoi tempi, in Arte figurativa, IV (1956), n. s. pp. 33-35.