ATTI, Giuseppe
Nato a Bologna il 1° febbr. 1753, da Matteo e Anna Sanuti, si dedicò dapprima agli studi di filosofia, avendo maestro Giuseppe Vogli, poi a quelli di medicina, sotto la guida dell'anatomico C. Mondini e del medico G. Uttini. Assecondando la naturale inclinazione per la chirurgia, apprese i primi elementi dell'arte operatoria da Ferdinando Marchesini, l'urologia da Giuseppe Bacchettoni, l'ostetricia da Giovanni Antonio Galli; il suocero, G. Bonega, chirurgo flebotomo, fu tra i suoi migliori precettori. Ancora studente, avendo dimostrato particolari abilità, fu nominato assistente nell'ospedale di Santa Maria della Morte, ove poté esercitarsi negli interventi chirurgici sui viventi. Laureatosi in filosofia e medicina il 16 dic. 1779, fu dapprima chiamato a sostituire il Bacchettoni, e poi anche il Marchesini. Nel 1783 fu nominato professore della cattedra di clinica operatoria sul cadavere, istituita da Benedetto XIV; con senato consulto del 17 genn. 1785 ebbe il titolo di professore di operazioni chirurgiche nell'università e, il 25 nov. 1791, ottenne tale carica anche nell'Istituto della scienza. Reputato il principe dei chirurghi bolognesi, fu eletto a far parte dell'Accademia benedettina, dell'Istituto italiano, della società medico-chirurgica di Lucca, dell'Accademia di Livorno. Nel 1803 fu nominato professore di clinica chirurgica e ammesso a far parte del Collegio medico-chirurgíco dell'ateneo bolognese, rimanendo in cattedra fino al 1824. Fu rettore dell'università, cambiando tale titolo, nel 1806, in quello di reggente magnifico. Lasciato l'ìnsegnamento nel 1824 per una malattia renale, morì il 15 sett. 1826.
Tre anni dopo la sua morte, il Comune deliberò che il suo busto, opera di Giacomo De Maria, fosse collocato tra quelli dei benemeriti della patria.
L'A. fu operatore abilissimo e dette alla chirurgia notevoli contributi personali: come indicato nella sua memoria Intorno all'apparecchio laterale...,perfezionò gli strumenti di Pietro Tarin, in modo da abbandonare l'operazione di Chesselden e rendere più sicura la litotomia; perfezionò il metodo di Anel nella cura degli aneurismi; ideò uno strumento, poi perfezionato da G. F. Stromeyer, per ridurre la lussazione della mandibola. Nel 1804, durante un intervento per un aneurisma, legò l'iliaca esterna, riuscendo in tal modo ad arrestare l'emorragia determinatasi per la rottura della femorale comune, senza sapere che tale intervento era stato tentato precedentemente da altri chirurghi, sempre con esito negativo. Descrisse le sue innovazioni alla tecnica chirurgica in numerose memorie, come quella relativa alla cura delle fistole salivari con applicazione di un pertugio artificiale, per la quale ricevette le lodi di A.-A. Velpeau; e quella sulle fistole perineali, per le quali ideò un metodo di cura che venne successivamente adottato da G. Nessi, nel 1789, nelle sue Chirurgiche Istituzioni. L'A. dimostrò vaste conoscenze e indiscutibile abilità tecnica nei vari rami della chirurgia: esortò i chirurghi a intervenire tempestivamente nelle fratture del cranio con avvaramento, indicando nella decompressione ottenuta con l'attenta rimozione dei frammenti, intervento allora pressoché abbandonato, l'unico modo per salvare la vita al malato ed evitare l'epilessia secondaria a trauma; operò la fistola lacrimale, ottenendo l'obliterazione del canale lacrimale con un filo d'argento arroventato; praticò, con successo, la resezione dei mascellari; curò le varici asportandole, consegui la guarigione del rinofima con la decorticazione, considerò utilissime le macchine nella riduzione delle fratture delle ossa lunghe.
Ricordiamo tra i suoi scritti: Sopra l'apparecchio laterale colla descrizione di nuovi strumenti onde rendere più sicura la Litotomia, in Mem. d. Ist. Naz. Ital., Classe di fisica e matematica, II, 1 (1808), pp. 297-310; II, 2 (1810), pp. 241-249; Osservazioni pratiche pel metodo Anelliano nella cura dell'Aneurisma, ibid.,I, 2 (1806), pp. 263-284; Della utilità delle macchine nella riduzione delle ossa lunghe, Memoria letta all'Istituto Nazionale Italiano nella sess. 14 genn. 1813, in Opuscoli scientifici, I, Bologna 1816, pp. 85-91; Del modo di trattare le fistole salivari, Memoria, ibid., III, Bologna 1819, pp. 117-123.
Bibl.: G. Termanini, De vita et scriptis Iosephi Atti medici chirurgi praestantissimi commentarius, Bologna 1827; F. Freschi, Storia della medicina, in aggiunta e continuazione a quella di Curzio Sprengel, Milano 1847, VII, 3, pp. 1281-1284; S. De Renzi, Storia della medicina in Italia, Napoli 1848, V, pp. 857, 863, 873; A. Corradi, Della chirurgia in Italia, Bologna 1871, capp. 20, 21, 24, 26, 44, 59, 86, 88, 92; A. Merlini, Maestri di chirurgia nell'Ateneo Bolognese: G. A., in La Clinica, IV, Bologna 1938, pp. 506-509; L. Simeoni, Storia dell'Università di Bologna, Bologna 1940, II, pp. 133, 156, 165, 169, 189; G. G. Forni, La chirurgia nello Studio di Bologna dalle origini a tutto il secolo XIX, Bologna 1948, pp. 160-162; Encicl. Ital., V, p. 268.