AUBERT, Giuseppe
Di origine francese, fu tipografo ed editore in Livorno nella seconda metà del sec. XVIII.
Nel 1762 in Livorno esercitavano una grama attività tre sole stamperie: quella del Fantechi all' "Insegna della verità" - sita in via Grande (poi corso Vittorio Emanuele II) che era (e restò) la maggiore e più signorile arteria cittadina -, quella di Antonio Santini e la terza di Matteo Strambi, quasi inattiva. In quell'anno 1762 Marco Coltellini, abate livornese dalle molte attività letterarie, poeta, conimediografo, arcade non privo di larghi mezzi economici, acquistò la tipografia del Fantechi e ne affidò la direzione all'A., giovane di buona fama, da alcuni anni residente a Livorno.
Attivissimo seppur cauto, equilibrato e insieme entusiasta, l'A. si dimostrò subito uomo capace di condurre a migliori fortune la modesta azienda. Aveva mantenuto relazioni con la sua patria; di più che mediocre cultura; spirito libero senza pregiudizi; favorevole ai "lumi" del secolo, seguiva lo svolgersi del movimento filosofico che si andava irradiando dalla Francia. Accomodante per istinto, rivelò qualità di sottile diplomatico riuscendo non solo a convincere, ma anche a farsi collaboratori quegli stessi che, per le loro cariche politiche e le loro funzioni amministrative, più avrebbero potuto creargli difficoltà. La tipografia del Fantechi, ora del Coltellini, possedeva due soli torchi e disponeva - secondo Pietro Verri - di un solo "compositore guercio". Ma prima ancora di riorganizzare l'azienda dal lato tecnico, l'A. si preoccupò di procacciarle autori, ossia buoni libri da stampare, attuali, di facile e largo smercio non pur fuor di Livomo, ma anche fuor di Toscana.
Nel 1763 ottenne che l'Algarotti, già celebre, gli affidasse la stampa del suo Saggio sopra l'Accademia di Francia che è in Roma. Nello stesso anno riuscì - col suo solo compositore guercio - a pubblicare i tre grossi volumi del Gazzettiere Americano, opera di grande interesse e attualissima per l'enorme curiosità che l'America risvegliava in larghi ceti di lettori. Col Gazzettiere la tipografia del Coltellini divenne nota a tutta Italia. E la pubblicazione dei Saggio dell'Algarotti la fece nota a Milano ai fratelli Verri. E questa fu la massima sua ventura.
In quell'anno comincia la più che ventennale corrispondenza tra l'A. e i fratelli milanesi. Pietro Verri gli commette la stampa delle Meditazioni sulla felicità (1763),che escono in luce con la falsa data di Londra. Tra Pietro Verri e l'A. si va intanto creando una vera amicizia. Scrive Pietro ad Alessandro: "Il miglior galantuomo che si possa desiderare"; ed ancora: "Gran buon galantuomo, Peccato che ha il difetto di balbettare. Ci vuole un quarto d'ora per ogni parola". Tornando da Londra A. Verri fu ospite dell'A., ma dovette trovare lenta la sua opera di tipografo, giacché scrisse al fratello che "nell'amicizia galoppa, ma come stampatore è una tartaruga". L'A. si accorse che era ormai giunto il momento di pensare alla sistemazione tecnica della ditta: provvide. Intanto, tra il 1763 ed il 1764, A. Verri gli manda il manoscritto di un suo Saggio sulla storia d'Italia dalla fondazione di Roma sino all'anno 1760 perché lo esamini e lo faccia leggere ai revisori toscani; ma poi cambiò proposito e non se ne fece nulla.
Nel 1764 il Beccaria gli diede da stampare Dei delitti e delle pene, che fu pubblicata senza indicazione di luogo: "il gruppo milanese" in contatto con l'editore preferì lasciar credere che l'opera fosse stata stampata a Monaco Ligure. Da quell'anno l'A. divenne sempre più apprezzato dal gruppo milanese; per i Verri diverrà "il nostro Aubert", il "Signor Giuseppe", "l'amico di Livorno" per antonomasia.
Ma una impresa editoriale ben maggiore vagheggiava l'A.: la ristampa in Livorno della Encyclopédie. Le difficoltà tuttavia si palesavano immense. Da una parte ostava la severissima condanna fulminata da Roma contro l'opera, mentre dal lato tecnico ed economico mancavano le attrezzature ed i capitali, financo i locali. La tipografia del Coltellini non era certo in grado da bastare a tanta impresa, né il Coltellini intendeva esporsi maggiormente. L'A. riuscì a convincere Filippo Gonnella, Pier Gaetano Bicchierai e l'abate Marco Antonio Serafini ad interessarsi all'impresa ed a divenirne patrocinatori, promovendo la costituzione di una apposita società editoriale.
Si redasse un manifesto, che si distribuì in Italia ed all'estero; si chiesero sottoscrizioni. A Milano il Verri ne procurò subito trenta. Intanto l'A. continuava a produrre nella tipografia del Coltellini ottime opere; la ristampa delle Vite del Vasari, in sette grossi volumi adomi di ritratti, piacque molto al granduca Pietro Leopoldo e fu un successo editoriale e di smercio. Durante gli anni 1767 e 1768 l'A. manovrò con somma abilità per ottenere le necessarie approvazioni alla ristampa dell'Encyclopédie: egli ottenne pieno successo quando il granduca concesse alla nuova società editoriale locali gratuiti (in via dei Magnani), finanziò in parte l'impresa e accettò che l'opera venisse a lui dedicata. Le adesioni continuarono a giungere: furono presto cinquecento; l'A. lo comunica lietamente al Verri, che, per sua parte, si dà da fare a trovare altri soci. Parallelamente si veniva provvedendo al lato tecnico dell'impresa: in Italia non si trovarono caratteri adatti e in quantità bastante; si ordinarono a Londra, ma tardarono quasi un anno ad arrivare. L'A. dovette anche cercare incisori abili per le tavole illustrative, cartiere per la fornitura della carta, ecc. Si giunse così agli inizi dell'anno 1769. Il 22 febbraio di quell'anno fu distribuito e diffuso il programma esecutivo della pubblicazione, con la sottoscrizione: "Livorno dalla Libreria Pubblica". Verso la fine dell'anno il Coltellini decise di chiudere la sua tipografia, che venne posta all'asta e venduta il 13 marzo del 1770 a Ranieri Carboncini per Michele Fantecchi - ma in realtà l'acquistarono il Masi ed il Poggiali - e così l'A. fu libero d'ogni altro impegno e poté dedicarsi tutto all'Encyclopédie. Il primo volume uscì con la data di "Livourne dans l'Imprimerie de la Societé, 1770", ma in realtà fu terminato al finire del 1769. Riuscì una bella edizione; piacque al granduca, cui era stata presentata la prima copia, e fu subito ben accetta dal pubblico. L'A. poteva annunciare al Verri: "Abbiamo 1200 prenotazioni". E subito dopo: "Gli associati sono 1500". La stampa di tutta l'opera occupò gli anni 1770-1779: furono trentanove volumi in-folio con numerose tavole ben incise. I caratteri fusi a Londra - del tipo "elzeviro" - erano sobri ed eleganti; la carta poteva certo essere migliore, come di miglior gusto taluni fregi. In complesso risultò un'opera che, per la sua mole, segnò una meta che nessuno pensava mai si sarebbe potuta raggiungere a Livorno. Il Masi ed il Poggiali avrebbero poi pensato a continuare la tradizione iniziata.
Pochi anni prima di morire l'A. pubblicò presso il Masi due volumi di sue Poesie (1794), nelle quali, per vero, non si riconosce l'uomo che tanto ammirò i Verri ed il Beccaria: sono povere cose arcadiche che nulla aggiungono alla sua fama. Molto più interessanti - ove fossero pubblicate - risulterebbero le sue lettere dirette ad Alessandro e Pietro Verri, conservate negli archivi dei conti Sormani-Verri di Milano.
Fonti e Bibl.: Milano, Arch. Sormani-Verri, Lettere di G. Aubert a P. e A. Verri; Arch Stato di Firenze, Lettere civili 1772-1773, n. 208, 597; filza 7-76; ibid., Carteggio Reggenza, filza V, 623; Arch. Stato di Livomo, Lettere civili, filza 8, 586; ibid., Vendite all'asta 1770, filza 43, 8, 12; P. e A. Verri, Carteggio dal 1766 al 1797, Milano s.d., passim; F. Pera, Ricordi e biografie livornesi, Livorno 1867, pp. 26 ss.; G. Chiaippini, L'arte della stampa in Livorno, Livorno 1904, pp. 61 ss., 108 ss.; E. Levi Malvano, Les éditions toscanes de l'Encyclopédie, in Reme de littérat. comparée, III(1923), pp. 213 ss; G. Bonifacio, Autori ed editori a Livorno alla fine del '700, in Bollett. stor. livornese, n. s., I (1951), pp. 18 ss.