Costanzo, Giuseppe Aurelio
Letterato e poeta siciliano (Melilli 1843 - Roma 1913). Insegnò nella Scuola Normale Superiore di Cosenza e, dal 1880, nella Scuola Superiore di Magistero femminile a Roma, di cui fu direttore fino alla morte.
Verseggiatore fluido e melodioso, attirò fin dalle prime raccolte di liriche (Versi, Napoli 1869; Nuovi versi, ibid. 1873 e Roma 1883) la simpatia del gran pubblico e il plauso di uomini di gusto e ispirazione divergenti come Manzoni e Bonghi, Settembrini e Guerrazzi, Aleardi e Dall'Ongaro, anche perché riuscì ad arricchire il sentimentalismo e bozzettismo familiare e paesano degli esordi con una nitida anche se non profonda psicologia sociale, come ne Gli eroi della soffitta (Roma 1880).
L'interesse sociale postulava quello filosofico, predominante nell'esercizio poetico dell'ultimo ventennio della sua vita: e a tale fase va ascritto il poema Dante (pubblicato a Torino, presso Roux e Viarengo, nel 1903), che cerca di rendersi conto delle aporie e degli anacronismi della critica romantica sottoponendo il poeta stesso a una serie d'interrogativi intesi a svelarne il volto segreto.
Che un intento naturalmente critico si realizzasse in una silloge di ben 312 sonetti di settenari, parve fin da principio una stravaganza; " mostruosità " la definì il Croce, ma non priva di un fondo serio. Questa problematica versificata (che tentava i luoghi topici dell'allegorismo dantesco, dalla selva oscura alla divina foresta) cercava di superare l'erudizione positivistica mirando alle idee vissute e sofferte dal poeta e censurando nel contempo gli anacronismi romantico-ghibellini che avevano fatto di lui un precursore di Lutero o dell'anticurialismo sette-ottocentesco. Sulle allegorie fondamentali il C. escogita ovviamente una propria chiave: " E certo sono ormai / che il Veltro redentore / esser non potrà mai / un ghibellin signore, / se sol virtù gli dai / Sapienza ed amore / e vedovo lo fai / d'ogni terren valore. / Per te la terra intera / salvar può solo un pio / Papa, un uomo di Dio... ".
La riflessione del C. si esercita in sostanza nell'ambito di un vago spiritualismo. Ma la stravagante forma adottata e gli effetti involontariamente comici le impedirono di avviare qualunque discorso: anzi, si ritorsero negativamente su tutta l'esegesi del C. quand'egli cercò di darle forma critica nel saggio Il fine più proprio della D.C. (Roma 1909).
Bibl. - V. Vivaldi, Studio bio-bibliografico su G.A.C., Trani 1894; G. Navanteri, " Dante ", poema lirico e " Il fine più proprio della D.C. ", Salerno 1910; G. Natali, Introduzione a Poesie scelte di G.A.C., Piacenza 1914; B. Croce, Letteratura della nuova Italia, Bari 1914, I 228; M.L. Sommaruga, G.A.C., in " Il libro italiano " VII (1943) 3-13.