AVEZZANA, Giuseppe
Generale e uomo politico nato a Chieri il 29 febbraio 1797, morto a Roma il 25 dicembre 1879. Sottotenente nella brigata Piemonte, si trovava in congedo a Torino allorché cominciò (marzo 1821) la rivolta, specialmente militare, per conseguire la costituzione di Spagna, che fu proclamata a Torino l'11 di quello stesso mese dal capitano Vittorio Ferrero. L'A. prese parte al conflitto che avvenne tra gl'insorti e un riparto di truppe rimaste contrarie al movimento, fuori Porta Nuova, presso l'Ospizio di San Salvario. Sedato quel moto rivoluzionario, l'A. riparò con molti altri suoi compagni a Sampierdarena, e di là partì il 17 aprile per la Spagna, ove perdurava il governo costituzionale, al quale offrì il suo braccio militando sotto gli ordini del maggiore Riego, e combatté valorosamente in varî scontri, in uno dei quali fu fatto prigioniero. Intanto il governo di Carlo Felice (28 settembre 1821) lo aveva in contumacia condannato alla forca e alla confisca dei beni.
Liberato dopo breve prigionia, emigrò negli Stati Uniti, esercitando un modesto commercio, fino a quando ottenne la concessione di una vasta tenuta di terre a Tampico, nel Messico. Alcuni anni dopo, nel 1829, sorta nel Messico la guerra d'indipendenza, egli vi prese parte contro un forte nerbo di truppe spagnole, e ottenne mirabili successi militari. Nel 1848, profittando dell'amnistia concessa da Carlo Alberto, accorse in Piemonte; ma vi giunse dopo l'armistizio Salasco. Ottenne dal ministero Gioberti di rientrare nell'esercito piemontese con il grado di colonnello, già avuto nella Spagna e nel Messico, e fu mandato a Genova al comando della Guardia nazionale. La notizia della disfatta di Novara (23 narzo 1849) e le voci di tradimento del re sabaudo produssero in Genova una sollevazione, che si proponeva di resistere ulteriormente con le forze popolari contro l'esercito austriaco e di continuare la guerra. Si organizzò nella città un governo provvisorio, il quale affidò il comando degl'insorti all'A. Il Ministero mandò a reprimere l'insurrezione il generale Alfonso La Marmora, il quale strinse d'assedio la città e la indusse alla resa. L'A., escluso con altri pochi dall'amnistia, fuggì da Genova (10 aprile 1849) avviandosi a Roma, dove fu nominato ministro della Guerra e comandante supremo dell'esercito, che organizzò sapientemente contro l'invasione francese dell'Oudinot. Il 4 luglio i Francesi occuparono la città. L'antico combattente di San Salvario dovette riprendere la via dell'esilio, e poté ricoverarsi in Inghilterra e di là fare ritorno a New York presso la sua famiglia.
L'A. avrebbe desiderato di combattere nella guerra del 1859 contro l'Austria; però, la breve durata di essa gl'impedì di attuare il suo disegno; e neppure poté concorrere alla spedizione dei Mille poiché arrivò in Italia il 26 settembre, quando Garibaldi era già vittorioso in Napoli. Nondimeno partecipò alla battaglia del Volturno del 1° ottobre, e poi all'assedio di Capua. Il dittatore lo promosse al grado di tenente generale, con cui passò successivamente nell'esercito regolare. Eletto nel 1861 deputato per il collegio di Montesarchio, in provincia di Benevento, prese dimora a Torino e poi a Napoli, presso suo genero, Gian Domenico Romano. Rappresentò successivamente alla camera elettiva il primo collegio di Napoli e quelli di Capaccio e d'Isernia dall'VIII alla XIII legislatura, fissando la sua residenza, per adempiere con zelo l'ufficio, prima a Firenze e in ultimo a Roma.
Sebbene avanti negli anni, non volle restare inoperoso nella guerra del 1866 ed ebbe da Garibaldi il comando della zona militare di Salò e della flottiglia sul lago di Garda. Costituita nel 1878 l'Associazione per l'Italia irredenta, fu scelto come presidente del comitato centrale.
Bibl.: A. Manno, Informazioni sul '21 nel Piemonte, Firenze 1879; G. Romano, G. A., Napoli 1880; M. Rosi, Il Risorg. int.: diz. illustr., s. v.; F. Sclavo, G. Avezzana, commemorazione, Roma 1905.