BALLO (Balli), Giuseppe
Nacque a Palermo il 29 luglio 1567 da Graziano, barone di Collalvi, e da Alfonsina Alliata dei principi di Villafranca. Prese l'abito ecclesiastico e presto si segnalò quale dotto teologo anche fuori della Sicilia. Ricevette in Spagna la laurea in teologia, quindi, recatosi a Bari, fu nominato, per la sua dottrina, canonico di S. Nicola; Filippo IV gli conferì anche il titolo di cappellano regio in quella città del Vicereame. A Bari il B. trascorse la maggior parte della vita, applicandosi a studi letterari e scientifici oltre che teologici. Compose il poema De casu lignei Pontis Panormi,scrisse Carmina e Anagrammata,rimasti inediti, e Rime,anch'esse rimaste inedite, in lingua volgare. Nel 1635 si recò a Padova per dare alle stampe l'opera De foecunditate Dei. A Padova, dove fu ospite del Collegio dei gesuiti, ottenne l'amicizia di vari letterati, in particolare di J. F. Tomasini, e divenne noto agli ambienti letterari sotto lo pseudonimo di "Phoebus allisus".
L'opera De foecunditate Dei compone di due libri: De intellectu divino e De emergentia realitatum. B. afferma che l'intelletto divino è soltanto attivo: la realtà è concepita e non mai recepita da tale intelletto, come lo è, invece, dall'intelletto umano nel momento della sensazione. Quindi il B. si propone di dimostrare la falsità dell'assioma ex nihilo nihil fit,asserendo che, nella trasformazione sostanziale, si ha lo sviluppo di una "realtà nuova". "Propositum absolvam, si eam, quam cernimus in generationibus, alterationibus, sensationibus caeterisque motibus, novam praecisarum realitatum emergentiam considerandam obijciam" (p. 115). La "realtà nuova" dipende dalla Causa assoluta, e perciò il divenire dell'universo è una dimostrazione, che sempre si ripete, della "foecunditas Dei". La dimostrazione dei B. omette, peraltro, di considerare il concetto di essere in potenza: la "realtà nuova", che "emerge" da un processo fisico, è potenzialmente contenuta nella "realtà" primitiva, pur dovendosi ammettere che essa possiede caratteri qualitativi peculiari e irriducibili ai caratteri della primitiva "realtà".
Mentre attendeva alla stampa dell'opera teologica su citata, il B. scrisse una Demonstratio de motu corporum naturali,che pubblicò in appendice al De foecunditate Dei. In essa enunziava per la prima volta - per quel che a noi consta -, in forma modema, e affatto generale, il principio d'inerzia nel contesto di una dimostrazione scientifica. A Padova, dove G. Galilei aveva insegnato dal 1592 al 1610, o forse già a Bari - le teorie, astronomiche e fisiche del Galilei furono conosciute, in Italia e in Europa, prima che il loro autore le pubblicasse, per opera di discepoli - il B. certamente conobbe e fece sue le nuove vedute del matematico pisano, come dimostra indirettamente più d'una sua argomentazione e, direttamente, un singolare passo (pp. 17 s.) della Responsio ad obiectiones. Il B., peraltro, non cita mai il nome del Galilei né mai è ricordato nell'epistolario galileiano.
Mentre nel De motu (1590) Galilei aveva sostenuto lo spontaneo estinguersi del movimento, in conformità alle tesi peripatetiche, le quali ponevano la forza in rapporto non con l'accelerazione, ma con la velocità del mobile, già nel 1607, come attesta una lettera inviata al Galilei dal P. B. Castelli il 10 aprile di quell'anno, il matematico pisano s'era orientato verso la nozione della persistenza del movimento quando non vi sono cause antagoniste, che ne attenuino la velocità. Ma il Galilei, ritenendo inseparabile dai corpi l'attributo del peso, limitò l'inerzia - concepita come persistenza di un corpo nello stato di quiete o di movimento uniforme - al caso di una "superficie sferica e concentrica alla terra" - equidistante, dunque, da quel punto, il centro della terra, verso il quale i "corpi naturali" si muovono "per intrinseco principio"-, come risulta dalla Seconda lettera al Sig. M. Velseri delle macchie solari (1612). La persistenza della velocità acquisita in un mobile era stata anche ipotizzata da R. Descartes in una lettera al P. M. Mersenne del 13 novembre 1629.
La Demonstratio del B. concerne il moto dei gravi, e si propone di dimostrare l'accelerazione del moto gravitario. A tal fine il B. assume un principio generale: la illimitata mobilità del corpo, privato della "naturale tendenza verso il centro del mondo", in qualunque direzione lo solleciti la forza motrice. Da questo principio il B. deduce la persistenza del moto, quando manchino cause che ne riducono o ne aumentano la velocità: "(...) Ipsum Mobile, quod nondum dedi aliqua tendentia indutum, acquisita semel formatione motus, dum nullum contrarium occurrit, et impedit, non valere seipsum ad quietem sistere; unde est, quod eam formationem, ac rationem motus perpetuo retinebit (...). In hanc veritatem cunctae experientiae conveniunt, et nullae ei refragantur" (p. 11). Ciò posto, il B. spiega così l'accelerazione del moto gravitario.
Sia AB la traiettoria rettilinea del moto di un grave per effetto del peso. Si suddivida la traiettoria AB in parti uguali AC, CD, DE, EF, FB. Il grave passerà da A in C, da C in D, da D in E, da E in F, da F in B. Si supponga che, giunto in C, il corpo abbia la velocità a. Se, in tal punto, il corpo perdesse la sua "tendenza verso il centro del mondo", non perderebbe la velocità acquisita, per il principio sopra enunciato, purché non vi fossero cause di decremento della velocità. Ma il mobile, in C, non perde la "naturale tendenza", e questa non rimane senza un "congruo effetto": effetto che consiste in un aumento della velocità, onde il grave percorrerà il tratto CD in un tempo minore di quello impiegato a percorrere il tratto, uguale, AC. Si ripeta il ragionamento per le altre sezioni della traiettoria, e si giungerà a spiegare l'accelerazione del moto gravitario.
Dopo aver pubblicato il De foecunditate Dei, il B. tornò a Bari (a Palermo, secondo il Tomasini). Ma nel 1640 egli si recò una seconda volta a Padova, ospite dei padri teatini della chiesa dei Santi Simone e Giuda, per dare alle stampe un'opera sull'Eucaristia: la Resolutio..., dove sosteneva che le "specie eucaristiche", già inerenti al pane e al vino, ineriscono poi al corpo e al sangue di Cristo, dipendendone come un effetto dalla causa.
L'opera - che il sottotitolo definisce come il riassunto di un'opera più completa, e ancora inedita - costituiva il frutto di meditazioni trentennali del Ballo. Dopo aver speso quindici anni per dare forma sillogistica alle sue tesi, il B. ne aveva, infatti, differito la pubblicazione per altri quindici, temendo le critiche dei teologi. Secondo il Tomasini, il B. si era finanche preoccupato di far conoscere le sue idee al cardinale R. Bellarmino, che aveva formulato alcune riserve. Ma la teoria del B. sulla transustanziazione eucaristica, conosciuta sui manoscritti o dalla voce dell'autore, cominciava a circolare, e così, "verbo addito, vel subtracto" (ibid., Auctor ad lectorem),rischiava di essere alterata in tale modo "ut rem penitus immutaret". Un'avvertenza del tipografo "catholico lectori", in calce al volume,informa che il B., ottenuto il consenso dei fedeli, avrebbe dato alle stampe un'opera maggiore sull'Eucaristia, Aenigma dissolutum,e conferma che polemiche erano già sorte a Palermo sulle vedute del Ballo.
Nel "Magistro, zelo Fidei contradicente, cui, propter vitae innocentiam, scientiaeque famam Rectores Ecclesiastici confidebant" (ibid., Typographus catholico lectori), si è inclini a riconoscere il gesuita Girolamo La Chiana, autore di un in folio dal titolo: Opusculum quo probat substantiam corporis Christi, quae sub speciebus panis continetur, non posse appellari imaginem corporis Christi (Panormi, s. d.). La difesa del B. fu invece assunta dal canonico palermitano G. B. Chiavetta con l'opera: Trutina qua D.D. Iosephi Balli sententia eo libro contenta, cuius titulus est [Aenigma dissolutum] de modo existendi Christi Domini sub speciebus panis, et vini in augustissimo Eucharistiae Sacramento ad aequissimum examen expenditur (Monteregali 1643). Tale opera, che affermava potersi sostenere la tesi del Ballo "probabili ratione", fu messa all'Indice con decreto del Sant'Uffizio il 12 maggio 1655.
Le vedute eucaristiche del B. sono state già prima sommariamente ricordate. Il religioso palermitano poneva un "vinculum efficientiae" (p. 16), un rapporto di efficienza causativa, tra il corpo e il sangue di Cristo, e le "specie" ovvero le apparenze sacramentali. L'inerenza delle "specie" eucaristiche al corpo e al sangue di Cristo è ottenuta, in modo miracoloso, "translatione ministerii operandi de re ad rem" (p. 2), mediante il trasferimento, dalle sostanze del pane e del vino alle sostanze dei corpo e del sangue di Cristo, del potere di produrre determinati effetti sensibili. Si soddisfa così al principio logico di economia, vigente anche nella scienza teologica: "non sunt plura ponenda sine necessitate" (p. 26), con la eliminazione di quelle cause non sostanziali degli effetti sensibili (p. 19), che gli avversari dei B. affermavano persistenti nel processo transustantivo. Nella Resolutio il B. non manca di richiamarsi alle premesse metafisiche del De foecunditate Dei..., affermando che la realtà creata non può contribuire alla conservazione dell'ente in quanto ente (p. 32), e deducendo da quest'affermazione un argomento contro coloro che sostenevano la persistenza delle specie o accidenti a prescindere da un intervento causativo della sostanza. Ma le vedute eucaristiche del B. dipendevano tutte da un solo concetto: dal concetto della sostanza intesa come corredo energetico dei corpi, che ne spiega tutti gli effetti (p. 30). Occorre ricordare che, prima di scendere sul campo della disputa teologica, il B. aveva dichiarato (p. 5)di volersi attenere alla lettera delle parole, con le quali nel Vangelo è riferita l'istituzione dell'Eucaristia. Dall'esame della fonte evangelica segue che "... si vere panis est, qui desinere debet in consecratione (quicquid sit de disputantium distinctione, ac dissecatione plurium entitatum a substantia) omnino in moralibus sub nomine, panis, veniunt quantitas, et qualitatum complectio... (p. 6). Èanche da notare che il B. propose la sua teoria eucaristica del "vinculum efficientiae" come la spiegazione di uno dei possibili modi nei quali l'onnipotenza divina può aver voluto operare il processo transustantivo (pp.3s.). Ciò ricorda l'artificio al quale Galilei era stato costretto a ricorrere nel Dialogo dei Massimi Sistemi, esponendo il sistema copernicano "in pura ipotesi matematica" per sfuggire alla censura dell'Inquisizione.
Le vedute eucaristiche del B. si trovavano a divergere da quella teoria degli "accidentia sine subiecto", che la maggior parte dei teologi era incline a considerare canonica dopo il concilio di Costanza (sess. VIII, 2aprop. di Wyclif) e il concilio di Trento (sess.XIII, can. 2). La Resolutio ebbe l'approvazione dell'Inquisitore di Padova, ma le polemiche, giàin atto prima che l'opera fosse edita, aumentarono dopo l'edizione, inducendo il B. a scrivere una Responsio ad obiectiones..., pubblicata nel 1640,e delle Assertiones apologeticae..., uscite postume nel '41. Queste opere del B. si risolvono nel tentativo di negare la legittimità della identificazione di "species" - il termine usato nelle proposizioni eucaristiche del concilio Tridentino - e "accidens" : "... qui... per accidentia, intelligunt entitates a pane materialiter quondam sustentatas, non video quo pacto ipsae entitates possint alio nomine, species,appellari" (Responsio..., p. 25).
Il tentativo del B. di conciliare le proprie vedute con il dettato conciliare, si accompagnava a un altro tentativo, di negare che esistesse contraddizione tra le proprie vedute e le affermazioni dei Padri e dei Dottori, i quali, vissuti in altri tempi, avevano espresso il loro pensiero con altra terminologia e riferendosi a problemi diversi. A tale riguardo il B., nella Responsio,cita l'opera astronomica del Galilei, pur senza nominare il matematico pisano, credendo di poter istituire un'analogia tra il caso del Galilei e il suo. Il singolare passo della Responsio è il seguente: "Porro contrasentire, aut contradicere (ut vere iudico) iam non est propositionem simpliciter asserere, quae cum alia non stat, neque est, alteram partem rationibus astruere, sed is formaliter contrasentit, aut contradicit, qui, perpensis contrariis rationibus eas validioribus rationibus respuit. Quare praeteritorum seculorum Astronomi, nondum novi conspicilli experimento admoniti, profecto a nostri seculi astrorum spectatoribus dissentisse non dicuntur, dum plures, quam septem, et Medicaeos Planetas, dum Lunam montuosam, dum Solem quodam modo maculosum non docent (pp. 17s.). Ma il Galilei, nella lettera a Madama Cristina di Lorena (1615),aveva anche aperto la strada a quest'autodifesa del B. Egli aveva cercato di spiegare "la comun concordia de' Padri" nell'ammettere "la stabilità della Terra" con l'accoglimento dell'opinione "corrente".
Il B. morì a Padova il 2novembre 1640. Rimase inedita e, forse, incompiuta, la sua opera maggiore: quell'Aenigma dissolutum, "primigemium, confertumque opus" (Responsio..., p.5), che egli si proponeva di dedicare a Filippo IV, e di cui, se la Resolutio era stata una "compendiosa narratio" (Resolutio...,III), la Responsio aveva addotto ulteriori "praeludia", esplicativi e polemici (Responsio..., p.5).
Opere: De foecunditate Dei circa productiones ad extra, Patavii 1635 (in appendice Demonstratio de motu corporum naturali); Resolutio de modo evidenter possibili transubstantiationis Panis, et Vini in Sacrosanctum Domini Iesu Corpus, et Sanguinem, quam ex suis lucubrationibus, nondum editis, compendio proponit Sacerdos Ioseph Ballus,Patavii 1640; Responsio ab obiectiones, qua Doctor Ioseph Ballus Suum, de Sacrosancta Eucharistia, Aenigma Dissolutum adstruit,Patavii 1640; Assertiones apologeticae cum suis dilucidationibus, pro Scholasticorum reverentia exaratae,Patavii 1641.
Bibl.: F. Baronio, De maiestate Panormitana,Panormi 1630, lib. III; G. J. F. Tomasini, Elogia Virorum Literis et Sapientia Illustrium, Patavii 1654, pp. 333-335; A. Mongitore, Bibliotheca Sicula,Panormi 1708, I, pp. 372 s.; G. M. Crescimbeni, Dell'istoria della volgar poesia,V,Venezia 1730, pp. 165 s.; J. C. Adelung, Fortsetzung und Ergänzungen zu C. G. Jochers allgemeinen Gelehrten-Lexikon,Leipzig 1789, p. 1378; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II,1,Brescia 1758, pp. 187 s.; G. Rambelli, Intorno invenzioni e scoperte italiane,Modena 1844, p. 382; H. Hurter, Nomenclator literarius theologiae catholicae,Oeniponte 1907, III, coll. 653-654; R. Giacomelli, Un contemporaneo di Galileo: G. B.,in Atti d. R. Accad. d. scienze fisiche e matematiche di Napoli,s. 2, XV (1914), n. 10; Dict. de Théol. Cath,V,2, coll. 1444-1447; J. C. Poggendorff, Biographisch-literarisches Handwörterbuch,I, p.95;p. Riccardi, Bibl. matematica ital,p. 71.