BANDI, Giuseppe
Nacque a Gavorrano (Grosseto) il 15 luglio 1834 da Agostino e da Emilia Mazzinghi.
Seguì il padre, avvocato e funzionario granducale, per le varie sedi della Toscana, finché, terminati gli studi classici a Lucca, si iscrisse all'università di Pisa e poi a quella di Siena, dove si laureò in giurisprudenza. Temperamento vivace, ribelle, divenne oggetto della vigilanza della polizia fin dal 1856, come emissario mazziniano, e infatti nel 1857 si adoperò per estendere il moto livornese, ma senza alcun risultato. Arrestato, fu liberato prestissimo, ma rimase sotto la sorveglianza della polizia, che lo arrestò di nuovo nel 1858 sotto l'accusa di aver favorito l'esodo di profughi politici in Piemonte. Processato, fu condannato a un anno di reclusione da scontare nella fortezza di Portoferraio.
Intanto aveva cominciato a farsi conoscere nel campo delle lettere: aveva scritto poesie, lodate da G. B. Niccolini, e aveva collaborato al giornale L'Arte. Uscito dal carcere il 29 apr. 1859, si arruolò nell'esercito toscano, e il 15 maggio fu nominato sottotenente del 1° battaglione volontari. Dopo Villafranca rimase nell'esercito toscano ed ebbe modo di conoscere Garibaldi, che ne era divenuto il capo. Da lui ebbe l'incarico di cercare appoggi a Firenze e a Siena per promuovere l'insurrezione nelle Marche. Il tentativo non ebbe seguito, ma il B. rimase in ottime relazioni col generale, tanto che l'anno dopo, appena ottenuta la nomina a sottotenente di fanteria nell'esercito sardo, fu chiamato da lui per organizzare una colonna di volontari che doveva operare una diversione nello Stato pontificio (e fu poi la colonna Zambianchi), mentre Garibaldi avrebbe tentato l'impresa di Sicilia. Rifiutò, e seguì invece il generale coi Mille. Gli fu infatti di grande aiuto per i rifornimenti della spedizione durante la sosta a Talamone; poi, sbarcato a Marsala, combattè a Calatafimi, dove fu gravemente ferito. Ristabilito, raggiunse Garibaldi a Palermo, e lo seguì per tutta la campagna distinguendosi specialmente nella battaglia di Milazzo. Giunto a Napoli, ebbe occasione di fare da intermediario fra Mazzini, che lo stimava, e Garibaldi.
Nominato maggiore dell'esercito meridionale il 10 nov. 1860, rientrò poi nell'esercito italiano, ma per la sua natura irrequieta si trovò presto in contrasto con i superiori e fu trasferito da Torino a Biella, da dove si interessò alla fondazione, a Firenze, di un giornale repubblicaneggiante, a tendenze democratico-progressiste, non certo gradito al governo: La Nuova Europa. Conservò buoni rapporti col Mazzini, ma non accettò la sua proposta di guidare un movimento insurrezionale nel Veneto, né seguì Garibaldi durante l'avventura di Aspromonte. Partecipò invece alla guerra del 1866 e si distinse a Custoza riconquistando alcune posizioni perdute. La disciplina militare, severamente intesa, non era fatta però per il suo spirito avventuroso. Trasferito a Siena nel 1868, sfidò a duello uno dei suoi superiori, fu deferito al consiglio di disciplina e revocato dal servizio. Fu allora che il B. ritornò al giornalismo. Collaborò dapprima a vari giornali (La Vedetta, la Gazzetta del Popolo, La Nazione), poi nel 1872, con l'appoggio di Pietro Bastogi e di Luigi Guglielmo de' Cambray Digny, fu chiamato a dirigere un nuovo giornale, la Gazzetta livornese, con un programma di concentrazione delle forze monarchiche.
Uomo di sinistra, per certe tendenze progressiste che andava manifestando con quel suo stile sbrigliato e un po' popolaresco, incontrò forti opposizioni nel consiglio di amministrazione del giornale, al quale poté dare l'indirizzo che desiderava solo nel 1876, quando ne divenne proprietario. L'anno dopo fondò il Telegrafo, come edizione meridiana della Gazzetta, e confermò la sua non comune sensibilità giornalistica dando al nuovo giornale un tono ancor più vivo e sbrigliato che incontrò il favore del pubblico. Approvò l'avvento della sinistra al potere, ma conservò piena libertà di giudizi: chiese un governo di "buon senso", che fosse in grado di compiere le riforme sociali necessarie, ma si manifestò avversario del socialismo. In politica estera accettò, senza entusiasmo, la triplice alleanza, ritenendola necessaria per uscire dall'isolamento; fu molto tiepido verso l'espansionismo coloniale, ma quando il prestigio della nazione fu minacciato, appoggiò decisamente la campagna africana.
Via via che gli anni passavano, mentre confermava le origini e la mentalità garibaldine, evolveva verso destra: propendeva perciò sempre più per un governo autoritario, di larga apertura sociale, ma che anteponesse gli interessi dello Stato a quelli dell'individuo; aveva scarse simpatie per il parlamento, ed era nemico dei moti di piazza. Non è dunque da meravigliare se il B. prestò, e non soltanto per motivi sentimentali, il suo appoggio alla politica del Crispi. Polemista arguto, pungente, talvolta anche violento, rivolse negli ultimi tempi i suoi strali contro gli anarchici, e da un anarchico, Oreste Lucchesi, fu pugnalato a morte a Livorno il 1° luglio 1894.
Scrisse in gioventù versi di maniera aleardiana, per dedicarsi poi sempre più assiduamente alla stesura di romanzi storici (Pietro Carnesecchi, Firenze 1873; La Rossina, ibid. 1875; Caterina Pitti, ibid. 1891) che prima di essere raccolti (e non tutti) in volume, videro la luce in appendice a La Nazione: sfoghi e velleità di un giornalista che reagisce all'improvvisazione del mestiere proponendosi modelli che assicurino almeno un'impronta di stabilità letteraria, si tratti della novella sentimentale o della prosa declamata secondo lo stile del Guerrazzi. A parte però i risultati formali di una scrittura che si mantiene sempre molto incerta per gusto e per misura, questi romanzi testimoniano una seria vocazione al racconto, la capacità di rievocare fatti e personaggi sulla trama, per ora, di una malintesa e superficiale oratoria, ma capace di arricchirsi sugli spunti tanto più autentici di un reale contenuto affettivo. Un'esperienza di vita poteva dare allo scrittore la giustificazione di una inequivoca ragione narrativa: il B. seppe risuscitarla trascrivendo le memorie dell'impresa garibaldina e I Mille fu il suo libro più riuscito (affiancato, ma soltanto per linee esterne che riguardano la prossimità dell'argomento, da Da Custoza in Croazia. Memorie di un prigioniero, Prato 1866, e da Anita Garibaldi. Appunti storici raccolti e illustrati da G. B., Livorno 1889), e tra i più validi della letteratura garibaldina.
L'opera fu pubblicata a puntate dal 1886 sul Messaggero e sul Telegrafo distinta in tre serie successive: Da Genova a Marsala, Da Marsala a Palermo, Da Palermo a Capua. Nel 1902 l'editore Salani la raccolse in un volume, ristampato poi più volte fino alle ultime edizioni a cura di E. Di Nolfo (Milano 1960) e di Luigi Russo (Messina-Firenze 1960), mentre sulla scorta di una valutazione complessivamente positiva del Croce e del Pancrazi, I Mille entravano di diritto nelle antologie dedicate agli scrittori garibaldini, da quella di G. Stuparich alle più recenti di G. Trombatore e di G. Mariani, e un discreto interesse di pubblico seguiva l'attenzione rivolta dalla critica al libro del Bandi. E questo perché, soprattutto dal raffronto con l'opera dell'Abba, emergeva la figura di uno scrittore aperto e cordiale, tanto impegnato in un intento di avvicinamento alla materia del racconto quanto maggiore appariva il diaframma creato dal tono evocativo e favoloso delle Noterelle. Spontaneità che non è più improvvisazione, ma ricerca di un medio tono fra diaristico e descrittivo che fa pensare al bozzettismo un po' facile di un Pratesi o piuttosto alla fantasia verbale e popolana di un Fucini.
Le caratteristiche e insieme i limiti del libro si ravvisano in quel sentore di esperienza immediata e schiettamente rivissuta, con quel tanto di ingenuità per cui ogni episodio sembra collocarsi in un alone di giovinezza ritrovata.
Fonti e Bibl.: Il B. è naturalmente ricordato nelle biografie garibaldine. Per limitarsi a documenti e opere che si riferiscono in particolare a lui,cfr.: Arch. di Stato di Siena, Prefettura, 3023, Aff. riservati, 1856, agosto; Arch. di Stato di Firenze, Ministero Interno,1858, Aff. in corso,n. 226; Yorick [P. C. Ferrigni], G. B., in Domenica fiorentina, luglio 1894; Il Telegrafo, 1 luglio 1895 (numero unico dedicato al B.); G. Badii, Medaglioni maremmani,in Etruria Nova,1901-1903;N. Bicchierai, G. B.,Montevarchi 1904; P. Pancrazi, I toscani dell'Ottocento, Firenze 1924, p. 169; A. Cristofanini, G. B. Vita aneddotica, Firenze 1932 (è la biografia più completa anche se criticamente imperfetta); P. Pancrazi, Racconti e novelle dell'Ottocento, Firenze 1939, p. 201; 13. Croce, La letteratura della nuova Italia, VI, Bari 1940, pp. 8-10; G. Stuparich, Scrittori garibaldini, Milano 1948, pp. 1078 s.; E. Michel, Maestri e scolari dell'università di Pisa, Firenze 1949, pp. 433, 442, 491; G. Trombatore, Memorialisti dell'Ottocento, Milano-Napoli 1953, pp. 897-900; G. Mariani, Antologia di scrittori garibaldini ,Bologna 1960, passim; F. Capanna, La letteratura garibaldina nella critica crociana, in Le ragioni narrative, I(nov. 1960); L. Russo, Un'epigrafe per G. B., in Belfagor,XVI(1961), p. 361; G. Adami, G. B. scrittore garibaldino e giornalista politico, in Boll. stor. pisano, XXX(1961), pp. 427-473.