BARELLAI, Giuseppe
Nacque a Firenze il 13 genn. 1813 da modesta famiglia e, col godimento di un posto gratuito del governo granducale, frequentò i corsi di medicina e di chirurgia all'università di Pisa;iiell'ateneo pisano conobbe Giuseppe Giusti, cui rimase legato da sincera amicizia. Ancora studente, cominciò a manifestare quelle idee liberali che professò, poi, per tutta la vita, tanto che nel 1831 mercé l'aiuto di R. Cerbi, suo professore di fisica, evitò a stento il pericolo di essere arrestato per aver pubblicamente espresso la sua simpatia per i moti di quell'anno.
Laureatosi nel 1834, dopo un periodo trascorso all'isola d'Elba per curare una forma di tubercolosi, tornò a Firenze ove, nel 1835, sì distinse per la sua abnegazione nell'opera svolta durante l'epidemia di colera. Nominato assistente del prof. Angelo Nespoli, archiatra del granduca Leopoldo II, ottenne con il suo aiuto la nomina di "medico aggiunto di Corte", e fu da lui incoraggiato a concorrere alla cattedra di neuropatologia: il B. non ebbe fortuna nel tentare la carriera universitaria, tuttavia ottenne il titolo di "maestro di turno" presso l'ospedale di S. Maria Novella di Firenze e poté esercitare con profitto la professione medica. Nel 1848 egli prese parte alle operazioni militari in Lombardia, e nella giornata di Curtatone e Montanara fu fatto prigioniero sul campo di battaglia mentre prestava le sue cure a un soldato austriaco ferito: rinchiuso dapprima nelle carceri del castello di Mantova, venne poi tradotto in Boemia, nella fortezza di Theresienstadt. Durante i giorni trascorsi in prigionia strinse fraterna amicizia con il pittore Stefano Ussi. Tornato in Firenze dopo cinque mesi, quando apparve chiaro che il granduca veniva meno ai principi liberali assumendo un atteggiamento filoaustriaco, il B. rassegnò le sue dimissioni dalla carica di medico aggiunto di corte ben sapendo che una tale rinuncia, oltre a privarlo di un ricco stipendio, lo avrebbe esposto a persecuzioni e, quanto meno, gli avrebbe cagionato una notevole riduzione della clientela. Più tardi, caduta la dominazione lorenese, il B. fece parte dell'Assemblea toscana e in seguito fu varie volte al consiglio comunale di Firenze.
Dedicatosi allo studio delle profilassi delle forme tubercolari giovanili, il B. ne diffuse l'idea e le ragioni. Sofferente egli stesso di tubercolosi, il suo fisico cedé lentamente alla malattia, finché si spense in Firenze il 3 dic. 1884.
Facendo anche frutto dell'esperienza personale, egli aveva propugnato l'idea di una profilassi igienico-climatica per i bambini, specie delle classi meno abbienti.
Fino a quel momento, infatti, le localizzazioni extrapolmonari della tubercolosi erano ritenute incurabili, e i malati di scrofolosi (la malattia colpisce elettivamente i bambini) erano abbandonati al loro triste destino: lo stesso G. Dupuytren, nella prima metà del secolo scorso, consigliava come unico rimedio per questi malati l'apposizione delle mani, e il clinico viennese J. Skoda, diagnosticata una forma di scrofolosi, non aveva da proporre alcun rimedio terapeutico.
Nel 1852 il B. aveva assistito alla lenta agonia di due bimbi affetti da quella grave forma di tubercolosi linfogangliare indicata come tabe scrofolosa e, rimastone particolarmente colpito, aveva invitato l'amico S. Ussi a fissare su una tela la pietosa immagine dei fanciulli morenti (il dipinto, che ottenne il primo premio di pittura all'esposizione universale dì Parigi, è ora di proprietà dell'Opera Pia degli Ospizi marini di Firenze). Presentando il quadro nella riunione del 12 giugno 1853 della Società medico-fisica fiorentina (ora Accademia), della quale egli era allora presidente, il B. commosse, col racconto dell'episodio (pubbl. a Firenze 1853), il mondo medico e l'opinione pubblica.
Nella Strenna degli Ospizì marini, pubblicata a Firenze nel 1870, uscivano, con proemio di N. Tommasco, una poesia di E. Foà Fusinato, ispirata dal racconto del B., un sonetto di A. Maffei, un'ode di G. Zanella, nonché una lettera del Manzoni in riconoscenza dell'"opera santa" del Barellai. Risale a quell'epoca l'inizio della lunga battaglia condotta dal B., in Italia e all'estero, per sostenere tenacemente il concetto che la tubercolosi deve essere prevenuta se non è possibile la cura, e che la migliore profilassi è quella igienicoclimatica delle colonie marine, tanto più che gli ospedali sembravano allora vere carceri (v. del B. Gli ospizi marini d'Italia, Firenze 1867). Così, nel 1856, Firenze ebbe a Viareggio il suo primo ospizio marino: il B. aveva ottenuto dal governo il dono del terreno col privilegio che non sorgessero di fronte ad esso né piantagioni né fabbricati. Non mancarono al B. gli oppositori, financo i denigratori della sua idea, ma egli non si arrese mai ("gobbinologia" chiamava il B., scherzosamente, la materia della quale era appassionato cultore e "gobbinofili" i suoi seguaci, perché molto spesso la tubercolosi extrapolmonare colpisce i bambini alla colonna vertebrale, sotto forma di morbo di Pott, determinandone penose gibbosità; il 6 febbraio 1870, a nome dei suoi "gobbini", ringraziò il Tommaseo di aver acquistato per essi, con il ricavato di alcune sue poesie, un poderetto in Pian di Ripoli). Il merito più grande del B. fu dunque quello di aver dato efficace impulso a tale alta azione sociale, di aver additato nella medicina preventiva da attuarsi in tutti gli strati della popolazione il mezzo più idoneo per salvaguardare la salute dei giovanissimi, di aver quindi dato inizio a una evoluzione verso una forma di medicina sociale nelle cure marine per una efficace lotta contro la tubercolosi polmonareed extrapolmonare.
Gli appelli del B. (v. anche la sua relazione in occasione del Congresso medico internazionale tenuto a Firenze nel 1869, in Memorie sugli ospizi marini, Firenze 1870) trovarono rispondenza in Italia e all'estero, dove sorsero nuovi ospizi, e si inviarono in numero sempre maggiore i bambini alle colonie marine (alla fine dei 1882 i fanciulli curati nei vari ospizi, in Italia, superavano i 52.000). Fra le varie attestazioni per la sua opera ricordiamo anche il capitolo "Vita nuova delle nazioni" dedicatogli da J. Michelet nel libro La Mer (Paris 1861).
Bibl.: E. Poggi, Ricordi della vita di G. B.,in Rass. naz., X (1888), pp. 488-529; Epistolario edito e inedito di G. Giusti, a cura di F. Martini, Firenze 1904, nn. 102, 440; C. Hajech, G. B. e la sua opera per i figli del popolo,in Il Secolo, 8 nov. 1910; C. Fedeli, Origine dell'Ospizio Marino e l'opera di G. B.,in La contagiosità ed evitabilità della tubercolosi nella scienza e nel diritto pubblico italiano, Pisa 1911, pp. 101-116; M. Cardini, G. B. fondatore degli ospizi marini (1813-1884), in Lo SPerimentale,LXXVIII (1924), pp. 367-369; A. Il vento, Colonie e ospizi marini, in Lo stato attuale della lotta antitubercolare in Italia, Ill,Roma 1925, pp. 7-11; E. Michel, G. B.,in Diz. del Risorgimento naz., II, Milano 1930, p. 179; B. Bruni, Gli ospizi marini,in Il Messaggero,21 ag. 1931; E. Janni, Una volta si diceva apostolo,in Il Giardino di Esculapio, VIII (1935), pp. 32-43; A. Castiglioni, Storia della medicina,Milano 1936, p. 711; A. Pazzini, Storia della medicina, II, Milano 1947, pp. 444, 567; M. G. Nardi, G. B. e l'istituzione di ospizi marini gratuiti per gli scrofolosi indigenti,in Lo SPerìmentale, CIV (1954), pp. 127-133; S. Piccini, Ricordando un grande centenario della medicina sociale:12 giugno 1853, in Minerva medica,XLV, 1 (1954), pp. 1661-1668; Id., Per la traslazione della salma di G. B. in Santa Croce, ibid.,XLVI, 2 (1955), pp. 352-356.