CHIARI, Giuseppe Bartolomeo
Secondo alcune fonti (Pascoli, p. 210) nacque a Roma il 10 marzo 1654, secondo altre (Pio), invece, il 18 marzo di quell'anno a Lucca; nella sua tarda età il C. avrebbe però dichiarato, secondo le Vite di pittori di F. M. N. Gabburri, di essere fiorentino (in F. Borroni Salvadori, in Mitteil. des... Inst. in Florenz, XVIII[1974], p. 36, e in Annali della Scuola normale sup. di Pisa, IV [1974], p. 1539). Il padre, Stefano, secondo il Pascoli (p. 210), era fiorentino; mentre il Missirini affermava, in epoca già tarda e non si sa su quale fondamento, che il padre era faentino e la madre, Francesca Miani, di Forlì. Comunque è a Roma che il C. visse fin da giovane e fu educato.
Carlantonio Galliani, pittore e commerciante di quadri, lo iniziò alla pittura e lo introdusse nel 1666 alla scuola del Maratta; la formula adottata dal Pascoli (p. 209) per definire la sua formazione ("in realtà il naturale non lo portava a quella grandezza di sapere, dove giunse coll'applicazione, e co' sudori") indica senza dubbio che questa fu di stampo classicista ed accademico. La prima opera documentata (una Venere e un Eremita affrescati nel giardino dei Chigi alle Quattro Fontane nel 1675: V. Golzio, Docc. artistici... Chigi, Roma 1939, p. 193) è perduta; e le attribuzioni avanzate dal Kerber (1968) per il periodo giovanile sono state rigettate dal Dreyer (1971) in favore di P. de' Pietri. Nel 1682 il Maratta lo raccomandava per il completamento della decorazione della cappella Marcaccioni in S. Maria del Suffragio, lasciata incompiuta da N. Berrettoni alla sua morte nel febbraio di quell'anno; per quella cappella il C. dipinse una Nativitá della Vergine e una Adorazione dei Magi (giudicata poi dal Lanzi il suo capolavoro), dove l'influenza del Maratta appare dominante (Schleier, 1973).
Le commissioni si succedono rapide e riguardano da un lato pale ed affreschi di soggetto religioso per chiese romane (Santi in S. Maria in Posterula; Assunzione in S. Maria di Montesanto, circa 1686);dall'altro tele con soggetti religiosi e storici per collezionisti privati (Massacro degli innocenti e Martirio di s. Stefano nel castello di Bückeburg [Minden], acquistati a Roma nel 1685; una Storia di Tullia eseguita per Iacopo Montioni, ora a Burghley House, Northamptonshire, coll. Exeter; un Marco Curzio nella Galleria di Glasgow).
In queste opere l'arte del C. rientra nella tendenza dominante a Roma in quegli anni che viene definita correntemente col termine di classicismo barocco. Il suo atteggiamento sembra tuttavia già ora più aperto di quello di pittori a lui affini come N. Berrettoni, G. Calandrucci e G. Passeri, specialmente per la ricezione di elementi francesizzanti, nel seguito della tradizione poussiniane del Lebrun. È comunque al Maratta che il pittore si rivolge soprattutto per ispirazione; tra l'altro il Maratta, che la tratta come confidente più che come allievo, non smette di proteggerlo. Per suo tramite il C. ottenne commissioni e venne introdotto ad artisti come il Rusconi e, probabilmente, a letterati come il Bellori. Il legame si trasformò spesso in collaborazione; per gli affreschi con Storiedel Battista, dipinti nel 1687 nell'oratorio di S. Nicolò in S. Maria in Cosmedin e distrutti nel 1900, sembra che il C. abbia ricevuto idee, e forse bozzetti, dal Maratta stesso, il quale avrebbe rivisto e corretto l'opera dell'allievo (secondo il Titi, p. 63, l'esecutore degli affreschi sarebbe stato il fratello del C., Tommaso); i cartoni per la cappella della Presentazione in S. Pietro e l'arazzo vaticano con la Pentecoste derivano anch'essi, probabilmente, da idee marattesche (i primi erano sicuramente stati iniziati dal maestro).
Negli anni posteriori al 1690 il C. doveva aver raggiunto una discreta popolarità. Nel dicembre 1696 venne completata la decorazione della cappella Teddalini Bentivoglio in S. Silvestro in Capite (Madonna e santi sull'altar maggiore; Miracoli dei ss. Stefano e Andrea nei laterali). Commissioni importanti gli vennero dal marchese Torri, dagli Ottoboni e dai Patrizi; una speciale protezione gli accordarono i Colonna, nel cui palazzo affrescò nel 1700, l'anticamera della galleria con la Presentazione di Marcantonio Colonna alla Vergine. Il principe Barberini gli commissionò una Aurora e una Nascita di Pindaro per le volte di due sale del suo palazzo romano (per l'Aurora, probabilmente eseguita intorno al 1690 perché vi compare lo stemma di Alessandro VIII, il Bellori concepì un'elaborata allegoria). Ma indubbiamente la protezione che diede più lustro e vantaggi materiali al C. fu quella del papa Clemente XI che nel febbraio del 1708 gli commissionò dodici cartoni per la decorazione della cupola della Presentazione in S. Pietro, con la Visionedi s. Giovanni; il C. vi lavorò nel palazzo del Quirinale, ricevendo dal papa visite giornaliere. Ciò portò ad altre commissioni, come il restauro degli affreschi di Melozzo che venivano allora rimossi dalla chiesa dei SS. Apostoli, e l'esecuzione di una figura di profeta (Abdia)per S. Giovanni in Laterano, finita nel giugno 1718.
Il successo era dovuto al fatto che il C. si incontrava con "l'entusiasmo sproporzionato dei contemporanei" (Gloton) per un gusto accademizzante ed eclettico. Lo stile del C. in queste opere della maturità è infatti classicheggiante ma straordinariamente composito. Nell'Aurora Barberini si ritrovano echi del Reni, del Guercino e del Cortona tardo; nelle tele di S. Silvestro in Capite echi del Domenichino e del Sacchi; nella Venere e Adone della coll. Exeter lo stile richiama l'Albani e la composizione addirittura Tiziano. Questo fondo eclettico dell'arte del C. è stato giustamente sottolineato dal Kerber.
Le opere degli ultimi anni sono le più originali del C. sia nell'ambito della grande decorazione barocca sia nella pittura di cavalletto. La solidità e la monumentalità delle forme, di ascendenza marattesca, subiscono un allentamento a favore di un'impaginazione più ariosa e di un ductus pittorico più morbido, a tratti con toni da pastello. L'affresco, di palazzo Colonna sovrappone a schemi illusionistici puramente barocchi e a forme magniloquenti un colorismo sgranato, cangiante, intimista, che secondo il Clark (1970) indica una "deliberata rivalità" con l'opera contemporanea di Sebastiano Ricci. Il colossale soffitto in S. Clemente con la Gloria del santo, eseguito intorno al 1715, "pone il linguaggio ufficiale romano in fervidi termini settecenteschi" (Clark, 1970) e opera come tramite fra la marattesca volta di palazzo Altieri e la volta di S. Cecilia del Conca. Nell'Allegoria del regno di Clemente XI, al Museo di Roma, la trasparenza dei toni è tale da anticipare il Batoni; nell'Adorazione dei Magi di Dresda (firm. e dat. 1714, e forse, secondo Voss, 1925, la stessa eseguita per il card. Ottoboni) le forme son levigate come in un sentore di neoclassicismo imminente. Secondo il Sestieri (1969) le quattro Favole d'Ovidio, o Metamorfosi, della Galleria Spada (commissionate nel 1708 dal cardinale Fabrizio Spada Veralli) aprono "precocemente la stagione dell'Arcadia pittorica romana"; per il Kerber il C. avrebbe addirittura avuto un influsso sul Mengs. Altri autori parlano, per queste opere, di un "rococò romano" (Clark, 1970; Waterhouse, 1971) e tendono a sottolineare le convergenze sia con il Trevisani (Di Federico, 1971) sia con il Conca, sul quale comunque l'influenza del C. è evidente. Questi sono gli elementi che han portato a riconsiderare con una certa attenzione la posizione del C., etichettato fin dal sec. XVIII solo come il più illustre e il più fedele degli allievi del Maratta, o anche come il suo vero successore dopo il 1713.
Sembra che il C. abbia lavorato solo a Roma. Il Pascoli ricorda (p. 215)un viaggio ad Urbino nel 1726 per collocare nel duomo i cartoni dei mosaici di S. Pietro; di un soggiorno fiorentino del quale parla il Gabburri non si hanno notizie. Ma come pittore di tele ebbe una clientela che si estese molto al di là dei confini cittadini. I Savoia, nel 1721, gli ordinarono un S. Carlo con Vergine eBambino per la cappella della Venaria (ma non piacque e fu sostituito con un quadro di S. Conca: Schede Vesme, I, Torino 1963, p. 312); molti quadri mandò in Inghilterra "per la cui nobiltà lavorò più di vent'anni continui", ed altri numerosi mandò in Francia "ed a diversi sovrani in Germania" (Pascoli, pp. 214 s.). Secondo il Pio, le cui Vite furono compilate pochi anni prima della morte del pittore, il C. per romani e forestieri "continuamente con sommo decoro và operando, non potendo sodisfare alle richieste, che da essi gli vengono fatte".
Il C. fu ammesso nel 1697 all'Accademia di S. Luca, della quale fu poi tre volte principe, dal 1722 al 1725;ebbe allievi, fra i quali Sigismondo Rosa. Sposato a una Lucrezia, ne ebbe otto figli. Morì a Roma l'8 sett. 1727, lasciando un cospicuo capitale al fratello Tommaso e ai figli; fu sepolto nella chiesa di S. Susanna.
Oltre alle opere citate, molti altri suoi quadri esistono in collezioni europee e americane; un elenco completo ne è stato fatto dal Kerber, il quale ha anche identificato un gran numero di bozzetti e disegni preparatori del pittore (ma si vedano per questi ultimi le aggiunte e le rettifiche del Dreyer). Un disegno con Autoritratto, eseguito per le Vite del Pio, è nel Museo naz. di Stoccolma (A. M. Clark, in Master Drawings, V [1967], p. 12);un Autoritratto ad olio, inviato nel 1716 al granduca Cosimo III de' Medici, è oggi agli Uffizi (un'incisione ne fu fatta da P. A. Pazzi). Un altro Autoritrattocon la famiglia e il fratello Tommaso è al Museo di Roma. Una descrizione abbastanza particolareggiata dell'aspetto fisico e dei costumi del C. è data dall'anonimo estensore - che dovette conoscerlo personalmente - della Vita manoscritta dell'Accademia di S. Luca.Dei suoi figli, Stefano fu canonico di S. Maria in Cosmedin e forse fu pittore se il padre lo portò con sé a Urbino nel 1726 (Vita, ms., Acc. di S. Luca). Un altro figlio, Carlo, seguì la sua professione. Carlo doveva essere nato intorno al 1710-15 avendo partecipato al concorso clementino del 1728 (Atti a stampa, Roma 1729, p. 58).
I disegni per questo concorso, che gli valsero il secondo premio, sono tuttora all'Accademia di S. Luca (A 312, 313); essi sono interamente nello stile del padre, e mostrano un talento modesto. Il Pascoli (p. 216) lo descriveva in quegli anni come "giovine di bel costume, d'aspettazione, e di spirito"; dopo il 1728 di lui non si sa più nulla.
Tommaso, fratello del C., nacque nel 1665; è di solito considerato scolaro e collaboratore del Maratta; certo collaborò col più anziano e affermato fratello oltre che, probabilmente, in S. Maria in Cosmedin, nella cappella Pallavicini Rospigliosi in S. Francesco a Ripa, dove eseguì un affresco nella volta (Eterno in gloria con angeli musici, che può essere con buona approssimazione datato fra il 1715 e il 1725).
Forse le commissioni gli vennero attraverso il fratello; mentre infatti questi lavorava alla volta di S. Clemente, a Tommaso venne affidato un affresco nella parte alta della navata centrale della stessa chiesa con la Morte di s. Servolo (non sua, ma di G. Odazzi, è invece la Traslazione del corpo di s. Clemente che fa parte dello stesso ciclo e che gli era attribuita dal Noack sulla base di un'altra erronea indicazione del Titi). Per tale affresco sono stati di recente scoperti dal Gilmartin sia i documenti relativi al pagamento finale, datati fra il febbraio e il marzo del 1716, sia il modello oggi nella collezione di Castelbarco Albani a Milano. Gli affreschi in S. Francesco a Ripa e in S. Clemente (con relativo bozzetto) sono per il momento le uniche sue opere note oltre alla sua "pièce de reception" all'Accademia di S. Luca (1721): S. Tommaso in estasi (I. Faldi, in Mostra di antichi dipinti delle raccolte accademiche, Roma 1960, p. 26). Da queste opere traspare una dipendenza totale dall'arte del Maratta, sebbene la vena genuina di Tommaso appaia di natura piuttosto popolare e certo inadeguata ai modelli del classicismo ai quali si ispira. Una sua composizione con S. Nicola che riceve il pane davanti alla Madonna fu incisa da Girolamo Frezza.
Tommaso divenne accademico di S. Luca nel 1721; morì a Roma il 2 febbraio del 1733, e venne sepolto nella chiesa di S. Susanna.
Fonti e Bibl.: N. Pio, Vite de' pittori,scultori ed architetti, a cura di R. e K. Enngass, Città del Vaticano 1978, ad Indicem;Roma, Arch. d. Accad. di S. Luca, busta 174, n. 121: Vita di G. B. C. (ms.); Ibid., Congregazioni, vol. 45, f. 170v; vol. 47, ff. 45v, 46v, 80; vol. 48, f. 142v; L. Pascoli, Vite de' pittori, I, Roma 1730, pp. 145, 209-217, 260; F. Titi, Descriz. delle pitture,sculture e architetture..., Roma 1763, ad Indicem (anche per Tommaso); L. Lanzi, Storia pittor. della Italia, a cura di M. Capucci I, Firenze 1968, p. 400; M. Missirini, Mem. per servire alla storia della romana Accademia di S. Luca, Roma 1823, pp. 203 ss.; P. J. Mariette, Abecedario, I Paris 1851, p. 369; F. Noack, in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VI, Leipzig 1912, pp. 485 s. (con bibliografia precedente), 486 (per i Tommaso); H. Voss, Die Malerei des Barock in Rom, Berlin 1925, pp. 604 ss.; F. Hermanin, Artisti romani di Roma, in Strenna dei romanisti, XIII, (1952), p. 68; F. Zeri, Galleria Spada, Firenze 1954, ad Indicem; I. Lavin, Decorazioni barocche in S. Silvestro in Capite a Roma, in Bollettino d'arte, XLII (1957), pp. 45, 49; R. Wittkower, Art and Architecture in Italy,1600 to 1750, Harmondsworth 1958, ad Indicem;L. Pirotta, in Strenna dei romanisti, XIX(1958), p. 296; XX (1959), p. 288 (per Accad. di S. Luca), F. Zeri, La Galleria Pallavicini, Firenze 1959, ad Indicem; R. Averini, Dipinti romani del sec. XVII nella cattedrale di S. Salvador, in Studi romani, IX (1961), pp. 20 ss.; Arte in Valdelsa (catal.), Firenze 1963, n. 115, tav. 91 (ma vedi F. Zeri, in Boll. d'arte, XLVIII [1963], p. 255, fig. 20); D. C. Miller, in Art in Italy,1600-1700 (catal.), Detroit 1965, pp. 111 ss.; M. C. Gloton, Trompe-l'oeil et décor plafonnant dans les églises romaines de l'âge baroque, Rome 1965, ad Indicem;A. Sutherland Harris-E. Schaar, Die Handzeichnungen von A. Sacchi und Carlo Maratta, Düsseldorf 1967, ad Indicem;B. Kerber, G. B. C., in The Art Bulletin, L (1968), pp. 75 ss. (con bibl. post. al 1932), 83 (per Tommaso); F. R. Di Federico, Documentation for the Paintings and Mosaics of the Baptismal Chapel in Saint Peter's,ibid., pp. 194 ss.; S. Roettgen, ibid., LI (1969), p. 101 (attribuzione al C. della Maddalena dell'Acc. di S. Luca); G. Sestieri, Contributi a S. Conta, I, in Commentari, XX(1969), pp. 317 ss.; A. M. Clark, in Painting in Italy in the Eighteenth Century: Rococò to Romanticism (catal.), Chicago 1970, pp. 190 s.; F. R. Di Federico, F. Trevisani and the Decoration of the Crucifixion Chapel in S. Silvestro in Capite, in The Art Bulletin, LIII (1971), pp. 61, 66; P. Dreyer, Notizien zum malerischen und zeichnerischen Oeuvre der Maratta-Schule, in Zeitschrift für Kunstgeschichte, XXXIV(1971), pp. 184 ss.; E. K. Waterhouse, Painting in Rome in the Eighteenth Century, in Museum Studies, 1971, n. 6, pp. 8 ss.; E. Schleier, Die Anbetung der Koenige von G. B. C., in Berliner Museen, XXIII(1973), 2. pp. 58 ss.; I. Faldi, in L'Accademia nazionale di S. Luca, Roma 1974, p. 122; J. Gilmartin, The paintings commissioned by... Clement XI for... S. Clemente..., in The Burlington Magazine, CXVI(1974) pp. 305 ss. (per Tommaso); E. K. Waterhouse, Roman Baroque Painting, Oxford 1976, pp. 65 s.; P. Dreyer, in Ital. Zeichnungen des 16.-18. Jahrh.s (catal.), München 1977, pp. 196 s.