PIACENZA, Giuseppe Battista
PIACENZA, Giuseppe Battista. – Nacque a Torino nel 1735 da madre ignota e da Simone, sovrastante ai Regi Palazzi (Brayda - Coli - Sesia, 1963, p. 127), maturando la sua formazione all’interno della corte dove, al fianco del padre, conobbe fin da giovinetto le operazioni di decorazione degli appartamenti nelle residenze reali. Ancora in assenza di un sistema di istruzione organizzato per la definizione delle professioni del progetto nella capitale sabauda, Piacenza poté attingere dagli stimoli che gli vennero dai viaggi compiuti in Italia tra il 1750 e il 1767 – e che gli permisero contatti con architetti e decoratori come Tommaso Temanza, Giovanni Bottari, Carlo Bianconi –, oltre che dagli insegnamenti mutuati dagli antichi monumenti. Inoltre dal 1757 iniziò a operare come tirocinante nello studio di Benedetto Alfieri, primo architetto civile di Carlo Emanuele III re di Sardegna, a capo di un grande atelier responsabile di tutte le fabbriche di pertinenza della corte. Nello stesso anno fu nominato sovrastante ai Regi Palazzi, in sostituzione del padre, acquisendo così un ruolo riconosciuto che gli permise da una parte di proseguire il proprio perfezionamento professionale e la propria familiarità con la corte, i suoi rituali e le abitudini del milieu reale, e dall’altra di approntarsi a rispondere efficacemente a tutte le richieste dei cerimoniali nelle diverse occasioni. Infine, come molti architetti della sua generazione, Piacenza fu attivo tra gli anni Sessanta e Settanta nell’Azienda delle fabbriche e fortificazioni, una complessa macchina burocratica con il compito di estendere a tutti gli angoli del Regno un controllo totale su ogni intervento a scala sia edilizia che territoriale, gestita da ingegneri militari che avessero una provata fedeltà alla corona e una robusta cultura operativa.
In ogni ufficio dell’intendente generale di Sua Maestà doveva essere depositato qualsiasi contratto o atto che avesse a che fare con operazioni edili; oltre a ciò, l’Intendenza aveva il compito di seguire e controllare appalti e cantieri per verificare la corretta esecuzione delle minute ‘istruzioni’ determinate a inizio lavori e depositate anch’esse agli atti. La prassi adottata nel seguire le pratiche, nel controllarle e nell’indirizzarne l’impostazione anche grafica, divenne una sorta di secondo livello di formazione per quasi tutti gli architetti piemontesi attivi nella seconda metà del secolo.
Piacenza non si limitò a ricercare una pur robusta formazione operativa, ma dal 1768 iniziò a restituire l’immagine di un architetto colto, in qualche modo accademico pur in assenza di accademia, con l’avvio della pubblicazione della riedizione critica delle Notizie de’ professori del disegno da Cimabue in qua di Filippo Baldinucci (edite per la prima volta nel 1681 e, postume, tra il 1767 e il 1774). La pubblicazione, che proseguì fin dopo la morte di Piacenza, con il VI volume nel 1820, dimostra rapporti con l’ambiente erudito fiorentino, intorno all’Accademia della Crusca e alle biblioteche Marucelliana e Laurenziana, il cui bibliotecario, Angelo Maria Bandini, fu corrispondente e sodale di Piacenza. Nel 1770, oltre al II volume delle Notizie, Piacenza pubblicò un trattatello su Macrino d’Alba, pittore cinquecentesco piemontese, oggetto di interesse anche da parte di Giuseppe Vernazza, intellettuale albese in rapporti con Piacenza. In quella fase affrontò i primi progetti architettonici o, meglio, si cimentò in interventi sulle fabbriche regie, come prerogativa dei progettisti al servizio della corte. Del 1773 fu il progetto di restauro del castello di Chambery, realizzato due anni dopo in occasione dei festeggiamenti per il matrimonio del principe Carlo Emanuele IV di Savoia con Maria Clotilde di Francia, sorella di Luigi XVI. Il successo di Piacenza sul palcoscenico internazionale, agli occhi delle corti europee accorse ai festeggiamenti, fu dovuto principalmente alla capacità di gestire un cantiere tutto funzionale al cerimoniale, nel quale vennero impiegate maestranze locali per gli arredi e i migliori intagliatori, stuccatori e doratori della capitale per l’apparato decorativo. Da un punto di vista formale Piacenza, qui e nei successivi interventi, si allineò alle ricerche accademiche che a Brera o all’Accademia di Parma stavano consolidando una versione ‘italiana’ del gusto à la greque in voga tra i novatori francesi.
I risultati di Chambery furono probabilmente alla base della nomina di Piacenza, nel 1777, ad architetto civile di Sua Maestà – carica rimasta vacante alla morte di Benedetto Alfieri – e agli incarichi fuori dalla cerchia delle residenze. Forte del suo nuovo ruolo, e di una capacità di adattamento a svolgere anche compiti da misuratore e ingegnere delle acque, Piacenza iniziò in quell’anno a svolgere indagini sugli argini del Rodano, in vista del grande progetto reale per l’edificazione di una nuova Ville che sostituisse l’antico borgo di Carouge, a pochi chilometri da Ginevra. Ancora nel 1777 stese dunque un piano urbanistico per trasformare il borgo di Carouge in città regolare, riproducendo la maglia ortogonale a isolati interrotti da una piazza centrale e completati da viali con una piazza alberata in corrispondenza del perimetro esterno.
Tale tipo di maglia, che caratterizzava anche Torino, fu adoperata in generale nei lavori urbani promossi dal Vittorio Amedeo III anche in città cardine per il potenziamento del sistema di trasporti e circolazione del piccolo Regno, come Nizza.
Il piano non andò in esecuzione, sostituito da quello di Mario Nicolis di Robilant (1781), ma Piacenza progettò una serie di edifici, tutti realizzati – la parrocchiale, la scuola femminile (1777; in seguito demolita) e parti del cimitero (1778) –, rimanendo poi in Savoia tra il 1784 e il 1788 per dedicarsi nuovamente al riattamento di ambienti reali, questa volta non provvisori. In particolare si occupò del castello di Chambery, coordinando un ampio gruppo di progettisti e perfezionando la messa a punto dei canoni neoclassici che, secondo l’architetto, portavano piacere accordandosi all’occhio e alla vista, altrimenti confusi e disorientati dalle involuzioni rococò.
Rientrato a Torino, pur mantenendo il controllo sui lavori della residenza di Chambery, di cui sarebbe stato nominato capitano nel 1790, attese insieme al più giovane Carlo Randoni, alla sistemazione degli appartamenti della famiglia di Vittorio Amedeo III, le cui residenze, distribuite tra il Palazzo Reale di Torino, la Venaria e il castello di Moncalieri, dovevano essere adattate alle esigenze del cerimoniale e del tipo di educazione impartita prima del matrimonio ai principi ereditari oltre che aggiornate a un gusto più moderno che meglio esprimesse la crescente importanza della corte sabauda.
Nel 1788, anno in cui Piacenza entrò a far parte del Consiglio degli edili della città, il re decretò l’inizio dei lavori a Palazzo Reale per adeguare gli appartamenti superiori da destinare ai figli e al piano terreno alla sorella. Dal 1788 Piacenza progettò gli alloggi per i duchi d’Aosta, Vittorio Emanuele I e Maria Teresa d’Austria, uniti in matrimonio nell’aprile dell’anno successivo, nelle residenze di Torino, Venaria e Moncalieri.
A Torino riallestì gli spazi contigui agli appartamenti juvarriani e alfieriani per i principi ereditari, riproducendo la canonica sequenza di ambienti gradualmente pubblici e privati. I progettisti concepirono gli arredi fissi – camini, porte, trumeaux, palchetti – secondo un gusto oscillante tra le eco tardo rocaille dei lavori di Benedetto Alfieri e il nuovo gusto classicista precisato a Milano da Giocondo Albertolli. A Venaria nel 1788, in previsione del matrimonio del duca d’Aosta, gli appartamenti collocati al primo piano della Reggia furono muniti di uno scalone conformato alla composizione architettonica della facciata concepita quasi un secolo prima da Michelangelo Garove. L’appartamento, a cui si mise mano nello stesso anno, fu allineato al gusto neoclassico, rinunciando anche agli ambienti ricorrenti come i gabinetti ‘alla cinese’, diventati comuni in tutte le residenze reali. Tra il 1788 e il 1790 Piacenza si dedicò, oltre alla soprelevazione del braccio nord del Palazzo Reale, anche al riallestimento degli alloggi – ancora per i duchi d’Aosta a Moncalieri, per il duca di Monferrato e Madama Maria Felicita, rispettivamente al terzo e al piano terreno di Palazzo Reale, e per un appartamento a palazzo Chiablese a Torino, destinato al duca del Chiablese –, in una pratica professionale che si avvaleva della collaborazione di artigiani e atelier, alcuni dei quali di grande spicco come quello di Giuseppe Maria Bonzanigo, che esplorava prevalentemente il gusto purgato del neoclassicismo, con ancora qualche concessione alla bizzarria dei gabinetti cinesi (castello di Moncalieri). Per la residenza di Moncalieri progettò, come divenne in seguito piuttosto comune, una nuova facciata, non realizzata, da sovrapporsi a quella originaria, ispirata alle macchine per i fuochi artificiali in voga nella Roma papalina.
Nel 1796 fu incaricato degli allestimenti per i funerali di Vittorio Amedeo III; l’apparato funebre consistette in un pronao addossato alla facciata della chiesa Metropolitana, recante, a grande scala, le insegne regali. A un timido uso dell’elemento fondante della composizione neoclassica – la colonna dorica – corrispose però, negli interni del Duomo e in tutto l’apparato decorativo, una permanenza del linguaggio precedente ai rinnovamenti e alla pulizia formale che si stavano sviluppando a Roma.
Il nuovo re, Carlo Emanuele IV, conferì a Piacenza, subito dopo l’ascesa al trono, la nomina a primo architetto civile di Sua Maestà. In virtù del ruolo ufficiale assunse il compito di impresario del teatro Regio, cantiere che si prolungava fin dal mandato di Benedetto Alfieri, e proseguì la prassi di riallestimento degli alloggi, questa volta a palazzo Madama, per i reali infanti. In seguito all’avvio del processo che avrebbe portato all’annessione del Piemonte alla Francia (1799), Piacenza si ritirò temporaneamente dalla scena professionale, per ricomparirvi, come quasi tutti gli architetti di corte, poco prima dello stabilimento dell’Impero. Il primo incarico, dopo la riforma napoleonica del sistema di istruzione del 1801, e nel complessivo quadro del riutilizzo degli edifici religiosi a scopi civili, fu il progetto di adattamento del convento di S. Francesco da Paola a Scuola di architettura, disegno e incisione. Nominato architetto imperiale, Piacenza tornò a occuparsi delle residenze ex reali e degli edifici che ne formavano il complesso intorno alla piazza Castello soprattutto mediante un’opera di scrupoloso rilievo, iniziato nel 1806 e conclusosi nel 1810. Lo scopo di tale operazione, i cui risultati vennero recapitati direttamente a Parigi, era la documentazione delle nuove sedi imperiali in previsione di interventi che venivano via via sollecitati dai vari ispettori dipartimentali, al fine di assegnare alla città di Torino un volto rinnovato adatto al nuovo indirizzo politico.
A Torino nessuno dei piani napoleonici riuscì ad avere effetto: né quelli a scala urbana, né quelli a scala architettonica; tuttavia molti furono gli interventi puntuali di adeguamento e molti quelli a dimensione effimera, per festeggiamenti dei principi o per il passaggio dell’imperatore in cui Piacenza fu attivo. Tra il 1810 e il 1812 si dedicò, insieme allo scultore Giacomo Spalla, alla risistemazione dei giardini ex reali, aperti ai cittadini in orari prestabiliti, mantenendone l’assetto regolare – Napoleone detestava i giardini pittoreschi – formulato più di un secolo prima e confermato dai piani dell’intendente Dausse nel 1805. Si trattò di collocare nel reticolo esistente statue provenienti dalla Reggia di Venaria, trasformata in caserma e i cui giardini erano stati distrutti per far posto a una piazza d’armi. Nel 1812 Piacenza, per la festa di San Napoleone progettò apparati effimeri da sovrapporre alla facciata del Palazzo imperiale, senza un’evidente ricezione del gusto che stava accompagnando l’allargamento dell’Impero. Ancora decorativi e di carattere conservativo furono i lavori progettati per il Palazzo, sia esterni (l’intonacatura e l’aggiunta di decorazioni), sia interni, il riallestimento degli appartamenti destinati all’imperatore e ai suoi familiari (Camillo Borghese risiedette a Torino, almeno ufficialmente, dal 1808). Piacenza si occupò soprattutto della galleria Beaumont e del cosiddetto salone degli Svizzeri, rispettivamente uno degli ambienti destinati alle feste e l’enorme anticamera d’ingresso al Palazzo. In entrambi i casi il lavoro fu svolto in stretta collaborazione con lo scultore imperiale Spalla, che fornì i bassorilievi con scene dei trionfi napoleonici; inoltre furono reimpiegati materiali e arredi provenienti da Venaria.
Alcuni degli interventi furono interrotti dalla Restaurazione, altri proseguiti consistendo, di fatto, in doverosi lavori di manutenzione e risistemazione. Tra i progetti interrotti vi fu quello per la costruzione di una cancellata che avrebbe dovuto sostituire il padiglione e la galleria che collegavano il Palazzo imperiale a palazzo Chiablese, bruciati (padiglione e galleria) nel 1811. Piacenza cercò di accontentare le richieste del governatore Camillo Borghese proponendo progetti che ricalcassero le cancellate alle Tuilleries, realizzate dagli architetti Pierre-François-Léonard Fontaine e Charles Percier, senza però riuscire a soddisfare i rigidi controlli imposti da Parigi. Ancora nel quadro della ridefinizione delle residenze imperiali, si collocano gli interventi di riallestimento degli appartamenti nella palazzina di caccia di Stupinigi, donata da Napoleone al principe Borghese, della quale Piacenza fu anche incaricato di un rilievo, come per gli altri possedimenti imperiali. Proseguì anche l’attività di ricerca, avviata negli anni Sessanta, con la pubblicazione di una Vita di Michelangelo Buonarroti (1812) e del III e IV volume delle Notizie di Baldinucci (1813 e 1814).
Passato indenne alla Restaurazione, e rinominato primo architetto di Sua Maestà, Piacenza tornò a occuparsi nel 1815 del teatro Regio con la messa in opera di un nuovo palco reale e, nello stesso anno dei lavori del Palazzo Reale con l’allestimento dell’appartamento per la regina Maria Teresa d’Austria al secondo piano, dove si impiegarono ancora gli sforzi di Giuseppe Maria Bonzanigo per gli arredi fissi e mobili e dove Piacenza fu il regista della disposizione degli arazzi di Fiandra e dei decori di plafoni, cornici e chiambrane di gusto classicista. Nel 1816 tornò a occuparsi anche del castello di Moncalieri, rientrato nel ‘circuito’ delle residenze reali, con il progetto per un nuovo scalone non eseguito. Come riconoscimento alla carriera venne in quell’anno ammesso all’Accademia delle scienze. Nel 1818 progettò la ricostruzione delle terrazze e dell’esedra antistante al castello del Valentino, residenza non più destinata alla famiglia reale, luogo di origine del polo d’istruzione che avrebbe portato all’insediamento delle scuole politecniche.
Piacenza morì a Pollone, nei pressi di Biella, in quello stesso anno (Brayda - Coli - Sesia, 1963, p. 127), passando la propria eredità professionale al figlio Giovanni Domenico, che fu ammesso già nel 1816 nel Consiglio degli edili cittadino.
Fonti e Bibl.: C. Brayda - L. Coli - D. Sesia, Ingegneri e architetti del Sei e Settecento in Piemonte, in Atti e rassegna tecnica della Società degli ingegneri e architetti in Torino, n.s., XVII (1963); A. Corboz, Invention de Carouge, 1772-1792, Losanna 1968, passim; L. Levi Momigliano, G.B. P., architecte civil de Victor-Amédée III: formation professionnelle, collectionisme et débat érudit sur les arts du dessin, in Bâtir une ville au siècle des lumières. Carouge, modèles et réalités (catal., Carouge), a cura di P. Astrua - P. Baertschi, Torino 1986, pp. 468-495; M. Viglino Davico, Architectes, ingénieurs, arpenteurs, artisans d’une ville “inventée”, ibid., pp. 171-226; P. Baertschi - I. Schmidt, Carouge, ville nouvelle du XVIIIe siècle, Ginevra 1989, passim; P. Cornaglia, Una cornice incompiuta per le cerimonie dell’Impero: la galleria del Beaumont negli anni del governo francese, in Studi piemontesi, XXII (1993), pp. 385-392; Id., I Palazzi Reali a Torino e a Genova in prima Restaurazione, tesi di dottorato, Politecnico di Torino, 1997; F. Frigerio, P., G.B., in Dictionnaire Carougeois, III.B, Urbanisme et Architecture à Carouge, Carouge 2001 pp. 480 s.; P. Cornaglia, G.B. P. e Carlo Randoni. I reali Palazzi fra Torino e Genova (1773-1831), Torino 2012.