BENCINI, Giuseppe
Di questo giurista e filologo nato e vissuto a Roma nella prima metà del sec. XVIII non resta alcuna notizia biografica, ove si escludano gli scarsi e indiretti accenni contenuti nelle uniche due opere di lui giunte sino a noi. Laureato in ambedue i diritti, appartenne alla cerchia degli eruditi raccoltasi intorno al cardinale Saverio Gentili, presidente dell'Accademia degli Infecondi, e fu in rapporti con la colonia portoghese stabilita in Roma, attraverso il protonotario apostolico C. Almeyda. Se ne ignorano le date di nascita e di morte, ma quest'ultima deve collocarsi di certo dopo il 1741.
Dopo aver composto una dissertazione De emendatione Gratiani, che molto probabilmente non fu mai stampata e che non si è conservata, il B. allargò il campo dei suoi interessi dalla storia ed esegesi giuridica all'erudizione e, soprattutto, alla filologia, da lui definita "ars critica" ed intesa come metodo universale per il raggiungimento della piena conoscenza del passato attraverso la migliore comprensione delle fonti letterarie e storiche restituite alla più genuina lezione.
Ben conscio dell'opera di rinnovamento che si veniva operando in quei decenni in Europa sia nel campo più propriamente filologico, sia in quello della storia medievale e delle discipline erudite, il B. pubblicò nel 1735 un opuscolo sulla importanza e sulla metodologia dell'"ars critica" (De criticae artis necessitate, utilitate ac moderato usu ..., Romae 1735), in cui respinse la concezione di coloro che con eccessivo criticismo dubitavano di ogni tradizione, e affermò piena fiducia nei mezzi della sana critica filologica, indispensabile sia alla storia, sia alla filosofia, sia, infine, al diritto civile e canonico. Al termine egli enunciava quattro criteri validi per la retta interpretazione e l'esatta critica testuale delle fonti, dei quali i primi due si riferiscono al controllo della veridicità del contenuto e gli altri all'emendazione del testo; si tratta di criteri, quali quello stilistico e l'"argumentuni ex silentio", non certo nuovi al tempo del B., e di cui questi non intendeva attribuirsi la paternità, ma soltanto farsi divulgatore e sostenitore (cfr. pp. XXVIII ss.). Più originale e acuta appare l'impostazione dei problemi filologici nella sua seconda opera, dedicata in particolare alla critica testuale (De codicum manuscriptorum lectione neglecta..., Venetiis 1739; 2 ediz. in A. Calogerà, Raccolta di opuscoli scientifici e letterari, XXIV, Venezia 1741, pp. 401-446) ed all'accertamento della genuinità dei documenti medievali. In questo saggio il B. insiste sull'importanza della paleografia e sul criterio paleografico nella critica testuale (pp. 8 ss.) e termina dettando sei canoni "ad quos exigi possint dubia in diplomaticis scriptis monumentis" (p. 18); anche in questo caso si tratta di criteri già affacciati dal Mabillon - che il B. ben conosceva e citava - o da altri diplomatisti (per es., fra gli italiani, dal Fontanini); ma proprio del B. appare essere l'accento posto sull'importanza dello studio delle scritture e delle materie scrittorie.
Complessivamente, merito del B. fu non soltanto quello di essere stato uno dei primi e più coscienti divulgatori italiani del nuovo metodo critico elaborato in Francia dai maurini, ma anche quello di aver unito in una sola esperienza metodologica i progressi della filologia classica europea e della nascente diplomatica.
Bibl.: L'unico autore che ricordi il B. è G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 2, Brescia 1760, p. 793.