BERTIERI, Giuseppe
Nacque a Ceva, in Piemonte, il 9 nov. 1734 da Ludovico e da Bianca Maria Bertieri. Entrato fra gli agostiniani eremitani nel 1751, studiò filosofia a Firenze e quindi teologia a Pavia, dove venne ordinato sacerdote il 24 sett. 1757 e nominato lettore di teologia il 27 genn. 1759; insegnò, quindi, nel locale ginnasio dell'Ordine. Il 13 genn. 1765 sostenne a Roma, presso la curia generalizia, gli esami ad regentiam, ottenendo l'approvazione a pieni voti; ritornato al ginnasio di Pavia, ne fu per qualche anno rettore (non sembra degna di fede la notizia di F. Magani, Cronotassi…, p. 114, secondo cui egli avrebbe insegnato a Pisa e a Parma, avendo come collega il padre Barnaba Chiaramonti).
Trasferito a Vienna e laureatosi nella facoltà teologica di quella università il 30 maggio 1768, il B. divenne subito, dal 5 giugno, prefetto degli studi del monastero agostiniano dei SS. Sebastiano e Rocco; nel 1770 successe al confratello padre Agostino Gervasio sulla cattedra universitaria di teologia, creata per servire da controaltare alle scuole teologiche dei gesuiti, ed ebbe come collega il domenicano G. M. Gazzaniga. Il suo insegnamento si ispirò, nel campo teologico, ai principi del più rigido agostinianesimo mentre nel diritto ecclesiastico propugnò tesi che appoggiavano le riforme giuseppiniste, in modo molto moderato: a tale proposito, con il barone Martini e il Gazzaniga, curò la ristampa del Diritto ecclesiastico (Vindobonae 1777) del Riegger.
Tali idee lo fecero considerare come fautore del "partito" giansenista, tanto da parte dei più violenti antigiansenisti, quanto, in un primo tempo, dagli stessi giansenisti italiani. In effetti dalle sue opere si ha una netta smentita a questa tesi: già nel Tractatus de legibus necnon libri duo de peccatis et peccatorum poenis, Vindobonae 1771,si trova qualche polemica con i giansenisti sull'interpretazione della dottrina di s. Agostino; quindi, più che nelle due opere succeisive (De verbo Dei incarnato libri tres, Vindobonae 1773,e De Sacramentis in genere baptismo et confirmatione libri tres, Vindobonae 1774), la sua posizione polemica contro di essi è evidente nella Theologiae dogmaticae in systema redactae pars altera, Vindobonae 1777 (2 ediz., Venezia 1778), che può essere considerata la sua opera maggiore (la prima parte era stata scritta e pubblicata dal padre Gazzaniga). In essa il B., appoggiandosi soprattutto sull'autorità del Berti, definisce i limiti che, secondo lui, dividono inequivocabilmente la dottrina teologica degli agostiniani da quella dei giansenisti; inoltre sul problema, allora aspramente dibattuto, dei poteri nella chiesa universale, egli riconosce il primato di giurisdizione del papa (e la sua critica si appunta qui anche all'articolo Pape dell'Encyclopédie): trattando, però, dei poteri dei vescovi, egli sostiene (facendosi forte dell'autorità del Ballerini, De potestate ecclesiastica) che anche la loro autorità di giurisdizione proviene direttamente da Dio; né il B. nega l'esistenza di un potere originario, anche se minore di quello dei vescovi, nei pastori del secondo ordine, in quanto successori dei settantadue discepoli scelti da Gesù Cristo (cfr. specialmente pp. 172 ss.). Tali affermazioni, se non coincidevano con quelle dei fautori della monarchia papale sulla chiesa universale, erano comunque considerate, allora, pienamente ortodosse e non erano molto lontane da quelle dell'abate Martin Gerbert, di cui il B. era amico. Lo stesso card. Gerdil, d'altra parte, incaricato di esaminare le opere del B., allorché sarà posta la sua candidatura alla cattedra vescovile di Como, non vi troverà alcuna proposizione da riprovare e lo considererà "alienissimo dalle perverse dottrine di Baio, di Giansenio, di Quesnello e di altri novatori di questi tempi", lodandone l'attaccamento alla S. Sede (cfr. P. Savio, Devozione…, p. 8).
Nel 1789, su proposta di Giuseppe II, il B. divenne vescovo di Como, ove fece il suo ingresso il 28 febbr. 1790: le speranze dei giansenisti, che già nella Epistola pastoralis, pubblicata a Como nel 1790, lodavano alcune sue prese di posizione contro il fanatismo religioso e il probabilismo, erano rinfocolate dall'atteggiamento, assunto dal B., in difesa del seminario generale di Pavia, la cui chiusura, dopo la morte di Giuseppe II, che l'aveva aperto nel 1786, veniva richiesta al nuovo imperatore Leopoldo II, quasi, unanimemente dagli altri vescovi della Lombardia. Intanto alla morte di mons. Olivazzi, arcivescovo di Pavia, Leopoldo II ottenne che il B. occupasse tale sede vacante, nel 1792. L'entusiasmo dei giansenisti fu di breve durata: si rimproverò al B. di essere eccessivamente "politico"; dispiace particolarmente la sua decisione di istituire, nel riaperto seminario diocesano (dopo la definitiva chiusura del seminario generale, avvenuta nell'aprile 1791), un lettorato di teologia che offriva un'alternativa alla cattedra universitaria della facoltà teologica, tenuta dal giansenista Palmieri. Infine, la sua sempre più chiara opera moderatrice, che tendeva anche a frenare l'attività,del Tamburini, fini per disgustare il "partito".
Durante il triennio rivoluzionario (1796-99) l'atteggiamento del B. fu molto cauto: ciò non gli impedì tuttavia di assumere una posizione nettamente contraria all'alienazione dei beni ecclesiastici; ritornati gli Austriaci, tentò di giustificare coloro che si erano compromessi, compreso il Tamburini. Ricostituita la Cisalpina, il B. si recò nel novembre 1801, ai comizi di Lione, essendo stato scelto come rappresentante di Pavia per collaborare al riordinamento della Repubblica. Fu quindi chiamato a far parte del Collegio elettorale dei dotti, ma non si presentò alla prima sessione, tenuta a Bologna il 16 maggio 1802. Dedicò invece, le sue ultime energie alle cure pastorali. Morì a Pavia il 15 luglio 1804.
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