BIANCANI, Giuseppe
Nacque a Bologna l'8 marzo 1566. Entrato nel noviziato della Compagnia di Gesù il 4 ott. 1592, studiò matematica con padre C. Clavio al Collegio Romano, passando poi ad insegnarla al ginnasio di Parma per venti anni. Buon conoscitore della propria materia e paziente, anche se non sempre attento, studioso della sua storia, il B. rimase, dal punto di vista dell'astronomia, ai margini del profondo rivolgimento scientifico prodottosi nel primo ventennio del XVII secolo, in cui egli fu attivo. Il limite aristotelico-tolemaico del suo orizzonte scientifico impedì che i suoi rapporti di buona amicizia con Galilei, contratti durante il soggiorno di quest'ultimo allo Studio di Padova, fossero qualcosa di più che una mera occasione di ammirazione esterna, cui del resto mal corrispose l'effettivo atteggiamento di ambigua opposizione che il B. assunse verso di lui in due occasioni: una prima volta, nel 1611, in merito alla soluzione matematicosperimentale data da Galilei al problema dell'altezza dei monti lunari; una seconda, nel 1613, in merito alla priorità della scoperta delle macchie solari.
Nel maggio 1611, mentre a Roma si discuteva il Sidereus Nuncius, l'allora cardinale Ferdinando Gonzaga riunì a Mantova un consesso di scienziati, in maggioranza gesuiti, chiamandovi da Parma "due teologi secolari a difendere pubblicamente le materie teologiche" e "...un bravo matematico a fare un problema" (così la Istoria del Collegio di Mantova della Compagnia di Giesù del padre Giuseppe Gorzoni, per cui cfr. A. Favaro,Intorno al problema di Mantova sull'altezza dei monti lunari, in Atti e mem. d. R. Acc. di sc. lett. ed arti in Padova, VIII[1892], pp. 41-43). Tale "problema" verteva intorno all'esistenza e alla misurabilità delle montuosità della superficie della Luna, ipotesi già variamente ricorrente nell'antichità, ripresa da Bruno e Keplero, Maestlin e Gilbert, ma alla quale soltanto nel 1609 Galileo aveva dato la prima certezza sperimentale, mediante l'osservazione al telescopio della superficie della Luna al plenilunio, e i primi fondamenti matematici. La relazione del "matematico" di Parma prese corpo in un trattatello, divulgato come De Lunarium monttum altitudine problema mathematicum ter habitum Mantuae... (ora in G. Galilei,Opere [ediz. naz.], III, 1, Firenze 1930, pp. 298-307), nel quale si attaccavano le scoperte galileiane e si ribadiva l'antica opinione della perfetta levigatezza della superficie lunare.
Galileo deve aver sospettato nel B. l'autore del Problema e incaricato il padre Cristoforo Grienberger di appurarne l'identità. Costui, infatti, in una lettera del 24 giugno 1611 (ibid., XI, ibid. 1939, pp. 130 s.), riferendo di aver precedentemente scritto "...Parmam ad eum quem putabam authorem...", ne invia a Galileo la risposta, che è una lettera del B., del 14 giugno 1611 (ibid., pp. 126 s.). Nella prima parte di questa lettera questi si sforza di dimostrare la sua estraneità materiale all'"insulto contro al Galilei", dicendosi dispiaciuto che questi si fosse offeso "...massime che cognosco che egli ha ragione...", e appellandosi ad una sua lettera "scritta a lui in confirmatione et congratulatione delle sue invenzioni, se pure le fu recapitata" (e infatti non si è trovata nel carteggio galileiano). La sua versione dello svolgimento dei consesso di Mantova è la seguente: del Problema egli sarebbe stato "più tosto revisore ed assistente, che autore"; avrebbe raccomandato al vero autore (di cui non rivela il nome) di omettere le espressioni offensive contro Galileo, ma, nonostante l'esplicita promessa, sarebbe stato poi tradito nei fatti, senza poter far più nulla "...poiché egli è Padre, et aetatem habet". Ma che alla estraneità materiale all'incidente corrispondesse in effetti una sua solidarietà teorica con le obiezioni dell'"autore" risulta chiaro dalla seconda parte della lettera, dove B., riproponendo a Galileo "il punto della difficoltà... posto da noi", sposa le argomentazioni dell'"autore" sull'errore che Galileo avrebbe commesso, sia nella misurazione delle altezze dei monti lunari, sia nell'assumere che esse si distendano fino all'estrema circonferenza visibile della Luna ("...Che poi veramente non vi siano monti in quel giro, lo dimostra l'osservazione, massimo quando la Luna è sì vicina al plenilunio che pare tonda, perché allora non si veggono adombrazioni verune, se non poche, nella parte però opposta al Sole, le quali poi poco dopo spariscono, et resta il giro della Luna tutto lucido senza alcuna ombra o segno di inegualità").
A questa lettera del B. Galileo rispose, sempre tramite il Grienberger, con una sua, lunghissima, del 1º sett. 1611, nella quale, accettate formalmente le giustificazioni del B., passava ad una veemente confutazione delle obiezioni dell'"autore", non senza sottolinearne la coincidenza con i dubbi del B. stesso (ibid., XV, ibid. 1936, pp. 178-203).
La replica del B., sebbene annunziata dal Grienberger: "sententiam Patris Biancano ab ipso Biancano quam primum recipies" (ibid., XI, p. 273), in realtà non fu mai data. Segno, ormai, che i rapporti tra i gesuiti e Galileo, finora tesi, ma di una tensione nascosta tra le pieghe di una sottile schermaglia speculativa, e comunque velata dal consueto ossequio ufficiale, si avviava alla rottura esplicita su tutti i piani, anche quello personale. D'ora in poi il B. tronca persino il filo indiretto che lo aveva unito a Galileo. E quando nel marzo 1613, in seguito alla pubblicazione delle Istorie e dimostrazioni intorno alle macchie solari e loro accidenti diGalileo, scoppiò la celebre polemica tra questi e il padre C. Scheiner in merito alla priorità della scoperta delle macchie solari e alla determinazione della loro natura, il B. si schierò dalla parte del confratello, scrivendo a G. A. Maggini, il 17maggio 1613, "...Se egli [Galilei] nell'arrogarsi quella bella invenzione delle macchie solari non è molto cauto, potrà esser convinto dal p. Christ. Scheiner, perciocché si trovano alcuni suoi manuscritti presso a molti, ed anco a me, divulgati prima che egli stampasse quelle epistole nei quali si veggono le prime origini". Questi manoscritti erano in realtà le Tres epistolae de maculis solaribus, pubblicate, sotto lo pseudonimo di "Apelles latens post tabulam", il 5genn. 1612, a cura di M. Welser a cui erano dedicate, e le altre tre lettere De Maculis solaribus et stellis circa Iovem errantibus accuratior disquisitio, pubblicate dallo stesso Welser il 13sett. 1612, sotto il medesimo pseudonimo, ma ampliato in un "...vel, si mavis, Ulysses sub Aiacis clypeo". Ma, anche in questo caso, a prescindere dalla questione della priorità, che si è potuta chiarire soltanto in seguito alla raccolta di tutta la documentazione probante di cui il B. non poteva esser a conoscenza (per l'intera questione v. Favaro,Oppositori di Galileo, III, Cristoforo Scheiner, in Atti del R. Ist. veneto di scienze lettere ed arti, LXXVIII, 2[1918-19], pp. 1-107), il fatto significativo è che l'attribuzione allo Scheiner della priorità della scoperta coinvolgesse l'adesione del B. alla errata interpretazione della natura delle macchie solari, che lo Scheiner, fermo al pregiudizio dell'incorruttibilità dei corpi celesti, sosteneva essere "extra solem... et consequenter stellas".
Il B. rimase infatti fedele agli schemi aristotelici anche nelle proprie opere. Alla collazione di tutti i luoghi matematici di Aristotele (fatta sulla "vulgata editione Lugdunensi") egli dedicò un prolisso commento, scritto nel 1614, pubblicato a Bologna nel 1615 con dedica a Pier Francesco Malaspina, col titolo di Aristotelis loca mathematica ex universis ipsius operibus collecta et explicata.
Il libro fu tenuto presente da Galileo che, nel cosiddetto codice G delle Nuove Scienze, in margine alla parte prima della settima proposizione discussa nella seconda giornata (Galilei,Opere, VIII, Firenze 1933, p. 165), ove si discute la soluzione data da Aristotele al problema della proporzione tra lunghezza, spessore e resistenza di un'asta di legno, annotò di suo pugno "vedi l'errore del Biancano nel libro dei Luoghi Matematici d'Aristotele". Il B. infatti, a p. 177della sua opera, seguendo Aristotele, riduceva al principio della leva la ragione onde l'asta è più debole e si spezza quanto più è lunga, mentre una più corta, anche se più sottile, resiste.
Al volume è acclusa una De Mathematicarum natura dissertatio una cum clarorum mathematicorum chronologia, spesso infarcita di vistosi errori di cronologia: così, Campano di Novara è collocato nel sec. XI insieme con Alliazen e Arzachel (p. 57), la prima traduzione dall'arabo dell'Almagesto è attribuita a Federico II, Thebit ben Corat figura tra i matematici del sec. XIII, Ruggero Bacone e Marco Polo sono nel XIV, Leonardo da Pisa nel XV, Giovanni Bianchini nel XVI (p. 58). Di Galileo, in riferimento alla scoperta delle macchie solari, si dice che "se primum earum repertorem esse contendit"; di Apelle, che "maculas solares proprio Marte animadvertit, quid circam eas eodem fere tempore alii agerent, omnino nescius. Eas tamen primus, livello ficti nominis, publici iuris fecit" (p. 64).
Del 1620è la Sphaera mundi seu cosmographia demonstrativa ac facili methodo tradita (pubblicata a Bologna, di nuovo nel 1653 a Modena, ma accresciuta di un trattatello Novum instrumentum ad Horologia describenda, a sua volta ripubblicato a parte nel 1654 come Constructio Instrumenti ad horologia solaria describendi peropportuni ... ).
In essa il B. intendeva riassumere, ad uso dei suoi allievi, la somma dei progressi compiuti dall'astronomia dopo la scoperta del telescopio. Del suo valore scientifico, anche in relazione all'epoca in cui fu scritta, testimonia la frase con cui inizia il Tractatus tertius: "Dicimus terram esse in medio sphaerae mundi, seu firmamenti... quod primus omnium Parmenides Eleates... animadvertit" (p. 72). Da tale premessa scaturisce poi la condanna della "opinionem falsam... ac rejciendam" di Copernico (p. 75).
Non ci sono pervenuti gli studi di storia del B., di poesia e sui classici greci e latini. Abbiamo solo la notizia di una Etimologia de' vocaboli italiani. Morì a Parma, il 7 giugno 1624.
Fonti e Bibl.: G. Galilei,Opere, Firenze 1929-1939,ad Indices; G. Fantuzzi,Notiz. degli scrittori bolognesi, Bologna 1782, II, pp. 167-68 (sono indicate tutte le fonti anteriori); C. Sommervogel,Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, Bruxelles-Paris 1890, I, cc. 1436-1437; di A. Favaro, oltre agli studi citati, v. Ancora del Problema di Mantova sull'altezza dei monti lunari, in Atti e Mem. di R. Acc. di sc. lett. ed arti in Padova, IX (1893), pp. 22-26; L. Thorndike,A History of magic and experimental Science, VII, New York-London 1964, pp. 48-51, 423.