BIANCHERI, Giuseppe
Nacque a Ventimiglia il 2 dic. 1821 da Andrea e da Caterina Isnardi di Loano, in una famiglia appartenente alla borghesia agricola e commerciante, in cui circolavano opinioni politiche abbastanza avanzate. Non dimostrando una grande inclinazione allo studio, egli fu inviato a Monaco a frequentare una scuola di indirizzo pratico-commerciale. In seguito, tuttavia, ripresi gli studi, frequentò la facoltà di giurisprudenza di Torino, dove si laureò nel 1846. Nel 1853 si presentò alle elezioni nel collegio di Sanremo, dove fu preferito al deputato uscente Nicola Ricotti.
Nel Parlamento subalpino il B. sedette a sinistra, tra i seguaci di U. Rattazzi: ma nei confronti del ministero Cavour tenne un atteggiamento di distacco, votando più volte contro il governo.
La prima iniziativa di rilievo della attività parlamentare del B. fu il discorso sui trattati di alleanza con Francia e Inghilterra in vista della guerra di Crimea, con cui egli si rese interprete delle perplessità suscitate dall'iniziativa cavouriana, rilevando che il Piemonte, ormai definitivamente legato alla causa nazionale, non avrebbe potuto e dovuto impegnarsi in una guerra estranea agli interessi italiani. Tuttavia, la posizione anticavouriana e di sinistra moderata assunta dal B. si attenuò progressivamente: nel 1857, quando si discusse il trasferimento del porto militare da Genova alla Spezia e l'opposizione dei deputati liguri aveva raggiunto punte assai accese, il B. mostrò di intendere la portata e il valore della decisione cavouriana. La conferma definitiva di questo nuovo atteggiamento si ebbe nel corso della discussione parlamentare sulla cessione di Nizza e della Savoia alla Francia, allorché il B. si limitò a discutere gli aspetti tecnici della questione, propugnando soltanto qualche rettifica dei confini italo-francesi proposti.
Frattanto il B. veniva acquistando una maggiore influenza parlamentare, dovuta a doti effettive di misura e ponderazione. Nel 1864 fu scelto come componente della commissione d'inchiesta sulle Ferrovie meridionali.
Nel dibattito che seguì la conclusione dell'inchiesta, dalla quale risultarono - se non reati - una serie di fatti moralmente censurabili compiuti da alcuni deputati, la Sinistra avrebbe voluto una proclamazione espressa delle incompatibilità parlamentari, mentre la Destra sosteneva posizioni molto più sfumate. Il B. propose un ordine del giorno nel quale, pur prevedendosi la presentazione di un disegno di legge per regolare la materia, non si faceva menzione delle incompatibilità. La proposta venne approvata con i voti della Destra e del Centro, e da allora il B. assunse la veste di mediatore tra le parti in conflitto. Infatti - finché divenne presidente della Camera - il B. fece parte delle più importanti commissioni d'inchiesta, da quella sulla marina dopo Lissa (anzi, da questo incarico gli derivò l'altro, tenuto per pochi mesi, di ministro della Marina nel secondo ministero Ricasoli) a quella sulla Regia dei tabacchi: tuttavia, pur continuando a dare prove di equanimità e di notevoli capacità di mediazione, si veniva sempre più avvicinando alla Destra.
Nel 1870 G. Lanza aveva deciso di portare Rattazzi alla presidenza della Camera: ma gli esponenti della Destra nel gabinetto si opposero recisamente alla candidatura: venne così a profilarsi il nome del B., che - per i suoi trascorsi -poteva essere bene accetto alla Sinistra. Egli fu eletto in ballottaggio, superando il candidato di sinistra, Cairoli. La prima ascesa del B. alla presidenza della Camera, dunque, avveniva sulla base di una precisa scelta politica. Ciononostante il B. seppe conquistarsi in breve tempo il rispetto di tutta l'assemblea e, nel 1873, fu rieletto senza che gli venisse contrapposto alcun candidato. Il 25 nov. 1874 venne ancora confermato in contrapposizione a Depretis, candidato della Sinistra.
Un notevole successo personale fu il rigetto delle sue dimissioni da presidente della Camera, il 29 marzo 1876, in seguito alla "rivoluzione parlamentare" e alla caduta della Destra. In quell'occasione Depretis - che era successo a Minghetti alla presidenza del Consiglio - lo stesso Minghetti e poi Crispi, come leader della maggioranza, riaffermando la loro fiducia nel B., giungevano anche a teorizzare la possibilità che non vi fosse un legame necessario tra presidenza della Camera e maggioranza governativa. Tuttavia il 21 novembre il B. era sostituito da Crispi, rimanendo assente dal seggio fino al 1884, quando, con la formazione del quarto ministero Depretis, si pose la necessità di dare una soddisfazione alla Destra, proponendo per la presidenza della Camera un candidato ad essa non sgradito.
Nel periodo in cui fu semplice deputato il B. non svolse un'attività parlamentare di grande rilievo: i suoi interventi riguardavano per lo più questioni di carattere procedurale o la tutela di interessi locali liguri. Soltanto nel dirigere senza troppe scosse i lavori di Montecitorio conseguì vertici di efficienza e riconoscimenti veramente notevoli, al punto di divenire - nel linguaggio corrente dei circoli politici - il "presidente" per antonomasia. Dopo la rielezione del 1887 il B. restò in carica per cinque anni ininterrotti, ottenendo spesso votazioni quasi plebiscitarie in quanto si presentava non come candidato di partito, ma di tutti i gruppi.
Sostituito nel 1892 da Zanardelli, il B. fu ancora presidente della Camera dal 20 febbr. 1894 al 12 genn. 1895. Rieletto il 26 genn. 1898, al momento delle prime repressioni seguite ai tumulti del maggio dello stesso anno, il B. assunse posizioni di una certa indipendenza nei confronti del governo Di Rudinì, erigendosi a difensore delle prerogative parlamentari (celebre è l'episodio del deputato socialista fiorentino Pescetti che, per sfuggire all'arresto, fu autorizzato a risiedere per più giorni a Montecitorio). Durante l'ostruzionismo e il periodo della crisi di fine secolo il B. restò lontano dalla presidenza: i promotori del tentativo reazionario lo ritenevano troppo debole per poter domare la resistenza dei socialisti e degli altri gruppi dell'Estrema in un momento in cui le regole della procedura costituivano un intralcio all'attuazione di un preciso disegno politico. Durante gli ultimi anni il B. - salvo alcune brevi ricomparse alla presidenza della Camera (10 marzo 1902 -18 ott. 1904 e 10 marzo 1906-2 febbr. 1907) - esercitò la funzione di primo segretario del re per gli ordini cavallereschi.
Morì a Torino il 28 ott. 1908.
Fonti e Bibl.: D. Farini,Diario, a c. di E. Morelli, I-II, Roma 1961-1962,ad Ind.; Dalle carte di G. Giolitti: Quarant'anni di polit. ital., I-II, Milano 1962,ad Indicem; G. Pompili,Un giubileo parlamentare (13dic. 1853-13dic. 1903), in Nuova Antologia, 1ºgennaio 1904, pp. 87 ss.; E. A. Foperti, G. B., in Rassegna nazionale, XXX(1908), pp. 121 ss.; P. Vigo,Storia degli ultimi trent'anni del sec. XIX, Milano 1908,ad Indicem; G. De Cesare,G. B. olivicoltore e uomo politico, Roma 1090; S. Cilibrizzi,Storia parlamentare polit. e diplom. d'Italia da Novara a Vittorio Veneto, I-III, Roma 1923-1952,ad Ind.; G. Carocci,Depretis e la polit. interna ital. dal 1876 al 1887, Torino1956, pp. 311, 382, 645; T. Sarti,Il Parlam. subalp. e nazionale, Roma 1896, p. 127; Diz. del Risorg. naz., II, p. 280.