BITONTO, Giuseppe
Nacque a San Giorgio Morgeto in Calabria, da famiglia oscura, probabilmente nel 1567, perché nell'ottobre 1599 si dichiarò "d'anni trenta dui in circa" e già orfano di entrambi i genitori; quindicenne, entrò nell'Ordine domenicano e nel 1584-85 fu compagno di noviziato, per otto mesi, nel grande convento di S. Giorgio, di Tommaso Campanella, che rivide poi di "passata" a Napoli nel 1591. Studente di teologia, si legò di amicizia in Catanzaro con un altro coetaneo, fra' Dionisio Ponzio, ch'era destinato a diventare il più focoso e imprudente banditore della ribellione calabrese del 1599, ispirata dal Campanella. Ordinato prete, insignito del titolo di "lettore" di teologia, che sembra contrastare con la sua parlata dialettale e la palese incultura, il B. nel 1599 era vicario nel conventino domenicano di Condoianni, dove fu raggiunto da fra' Dionisio, ch'egli accompagnò in viaggio per Oppido e Bagnara fino a Messina, con la scusa di "comperar matarazzi", ma verosimilmente per tessere le fila del complotto. Al ritorno, con altri adepti i due si spinsero a Stilo per conferire col Campanella ed ebbero con lui un lungo abboccamento a Monasterace; il B. giustificò poi questo incontro asserendo che cercava appoggi per ottenere incarichi di predicazione, ma ai primi di luglio a Castelvetere (oggi Caulonia) si compromise ulteriormente, tentando di guadagnare alla causa un tal Felice Gagliardo, giovinastro di mala vita carcerato per delitti, cui promise "novità" clamorose, toccando propositi ereticali e auspicando l'adesione di uomini decisi a tutto per una imminente "fazione" risolutiva e lucrosa.
Scoperta la congiura, il B. cercò di sfuggire con la fuga alla dura repressione del governo vicereale e si nascose a San Giorgio nella vigna dello zio Giovan Tommaso Campo, dove ai primi di settembre venne sorpreso nel suo nascondiglio in un pagliaio e catturato: era in abiti civili, senza tonsura, con una gran "barba castagnaccia", armato di schioppo e di pugnale.
Tradotto a Gerace, il B. subì il 16 ottobre il primo interrogatorio di fronte al tribunale ecclesiastico e si difese, negando ogni addebito, con una tattica lineare che avrebbe poi seguito con ferma determinazione nei mesi successivi, senza mai rilasciare dichiarazioni compromettenti a carico dei compagni. Nella lunga fila dei carcerati in catene il B. mosse poi a piedi fino a Bivona presso il Pizzo, e si imbarcò sulle galere dirette a Napoli, dove giunse l'8 novembre per venire rinchiuso in Castel Nuovo. Al cadere del febbraio 1600 sostenne per due ore il tormento della corda, senza piegarsi a confessione alcuna, e ostinati dinieghi rinnovò nei successivi interrogatori del 17 e 19 maggio, del 21 giugno, del 15 novembre, quando si dilungò a spiegare le accuse dei correi quali echi di vecchie rivalità fratesche. Il 2 ag. 1601 ebbe parte in una rissa provocata da certe scritture di scongiuri e artifici magici, che egli serbava in una sua cassetta e di cui certo si dilettava; chiamato a deporre nella speciale inchiesta che ne seguì, il 7 marzo 1602 negò che quelle carte superstiziose fossero sue e ritorse su altri prigionieri il sospetto di pratiche demoniache. Fin dall'11 gennaio, insieme agli altri frati reclusi, aveva sottoscritto una supplica volta a ottenere condizioni di vita meno dure; finalmente nel settembre 1602, i giudici ecclesiastici votarono per la spedizione della sua causa, proponendo di infliggergli un'ora di tortura e di rilasciarlo poi sotto cauzione.
A tre anni dalla cattura la sentenza dei giudici ecclesiastici era, alla fine, un epilogo sopportabile, ma il B. non dovette averne contezza o non seppe più pazientare; sempre legato all'affascinante personalità di fra' Dionisio, lo seguì infatti in un temerario tentativo di fuga, cui si associò un tal Giovan Francesco d'Apostolico, detenuto per causa ignota. All'alba del 16 ott. 1602 i tre, grazie ad un piano abilmente concertato, riuscirono ad evadere dal Castel Nuovo, destando in città l'"universale meraviglia"; il carceriere Antonio de Torres, forse colpevole di incuria, cercò asilo nella chiesa di Monserrato, ma ne fu cavato a forza e due anni più tardi ancora languiva in carcere, forse per sospetti di complicità. Da Roma giunsero ordini di rintracciare i fuggiaschi con ogni mezzo e violando qualunque immunità; il 27 febbr. 1603 Filippo III insisteva da Madrid presso il vicerè perché fossero catturati ad ogni costo, sia per il gran danno che potevano arrecare dovunque con le loro funeste dottrine, sia per il sospetto che l'evasione da fortezza tanto sicura fosse stata resa possibile da qualche potente aiuto esterno. Si seppe poi che fra' Dionisio era riuscito ad imbarcarsi su una galera di Malta e che nel maggio 1603 era comparso a Costantinopoli, dove s'era fatto maomettano; poco più tardi venne ucciso in rissa da un giannizzero. Non si sa se il devoto B. lo seguisse fin là, perché dopo l'evasione la sua traccia si perde. Resta di lui questa immagine di religioso di tepida vocazione, incolto, credulo, superstizioso, ma ostinatamente fedele, tra amicizia e omertà, a una sua ruvida lealtà contadina.
Bibl.: Napoli, Bibl. Nazionale, cod. XI.AA. 24, ff. 80-81; L. Amabile,Fra' T. Campanella,la sua congiura,i suoi processi..., Napoli 1882, I, pp. 176 s., 181, 286 s., 343 s., 359; II, pp. 1, 13 s., 74, 125, 128, 135, 186, 231 s., 253 s., 307, 314 s.; III, pp. 75, 122 s., 167 s., 231 s., 411 s., 459 s., 506 s., 531 s.; Id.,Fra' T. Campanella ne' Castelli di Napoli…, Napoli 1887, I, pp. 2-3; II, docc. 1-7.