BONFIGLI, Giuseppe
Nacque a Roma intorno al 1796. Si laureò probabilmente nel locale Studio in giurisprudenza, esercitando poi la professione forense. Il suo nome compare tuttavia per la prima volta soltanto nel 1844, in calce ad un "umanitario progetto" che, per il contenuto e la persona che lo caldeggiò, il barone Corvaia, ci permette di collocarlo tra i seguaci italiani delle dottrine sansimoniane.
Tale piano finanziario, non lontano dai disegni "bancocratici" del Corvaia, nella Roma di Gregorio XVI, gli valse soltanto delle noie politiche. Fu ancora il Corvaia a riproporlo nel 1846 alla segreteria di Pio IX; ma occorse la fuga del papa da Roma, perché la sua voce cominciasse a trovare ascolto, anzitutto in Carlo Luciano Bonaparte, che caldeggiò "al Consiglio dei deputati del 6 dicembre 1848, l'istituzione di un prestito e di una Banca, nazionale". Il B. infatti, sulla intelaiatura ideologica di una "lega matematica" delle forze politiche e degli interessi sociali fondamentali - "Trono, Altare e Popolo; nonché Capitalisti, Capacità, Braccianti" -, proponeva la fondazione di una banca a controllo statale su larga base creditizia, garantita da un ampio processo di mercantilizzazione della ricchezza e in specie, il che costituiva l'obiettivo principale, della rendita fondiaria.
Instaurata la Repubblica, il B. riappariva con una petizione. All'inclito popolo di Roma e dello Stato, discussa dalla Costituente il 16 febbr. '49. Grazie all'interessamento del Bonaparte, il progetto del B., nello scorcio tra la fine febbraio e gli inizi di marzo, venne a costituire uno degli elementi della discussione sul tipo di banca cui la Repubblica dovesse dar vita, se rispondente alle pressanti esigenze dei ceti commerciali e finanziari (per es., i manifatturieri e banchieri di Bologna), o se, come traspariva dal progetto e sembrava essere a cuore allo stesso ministro delle Finanze, dovesse poggiare su interessi sociali più vasti.
La commissione tecnica delle Finanze, invitata a prendere in esame più da vicino la proposta del "filantropico avvocato", di fronte alle sue reticenze formali e, soprattutto forse, alle messe a punto ideologiche, secondo cui sarebbe stato "necessario armonizzare coll'istituzione di quella (la banca nazionale) lo statuto fondamentale della repubblica", proprio da queste prendeva spunto, il 18 marzo, per mettere definitivamente da parte il progetto del Bonfigli.
La mancata attuazione lasciava la proposta del B. nella forma che noi conosciamo attraverso l'opuscolo di risposta alla commissione, edito a Roma il 24 marzo: Il diluviodelle Banche monopolistiche mascherate da banche nazionali. Protesta del sottoscritto cittadino contro i rilievi fatti, circa la di lui riforma radicale economico-finanziera, dal deputato Audinot, presidente della Commissione tecnica della Finanze. Lariforma poggiava sulla capitalizzazione del credito pubblico, assunto in veste di quote della intera collettività, e sull'inglobamento di ogni iniziativa filantropica o mutualistica, di tipo finanziario (assicurazioni, casse di risparmio), in forma che garantisse una larga incetta del risparmio.Fortemente selettivo era invece il momento della ridistribuzione dei capitali, quando l'accento, la direzione d'investimento, veniva posto sugli "intraprendenti (fossero essi Agricoltori, Industriali, Commercianti)", su una classe sociale determinata, che "ne abbia bisogno e possa garantirlo". Non per nulla, infatti, la riforma, nelle sue intenzioni, non veniva sottratta al controllo dei "Banchieri", purché "onesti e dabbene", poneva anzi nelle loro mani "l'organizzazione del ramo finanziero, in tutto lo Stato".
Il non essersi, in realtà, compromesso con l'esperimento repubblicano giovò al B., preservandolo dai fastidi della polizia pontificia, dalla quale, nel 1852, ottenne un passaporto per gli Stati Uniti (paese di cui si diceva rappresentante in qualità di viceconsole: l'espediente gli avrebbe permesso di far espatriare molti compatrioti), che egli utilizzò per stabilirsi in Piemonte.
Qui non attese molto tempo per divulgare i suoi propositi, sotto forma dell'opuscolo, edito a Torino nel 1852, Per l'associazione d'interessi positivi tra Popolo, Trono ed Altare; Denaro, Ingegno, e Braccia; Sistema italico producente Abolizione progressiva delle pubbliche imposte, prosperità e sicurezza, richiamato a vita con opportune varianti, che, tramite l'Asproni, l'8 apr. 1852, rese noto al Parlamento subalpino e, per interessamento del re, fece pervenire al ministro delle Finanze, per sua disgrazia (Bulferetti), allora il Cavour.
Una scarsa sensibilità per le scelte politiche e la necessità insieme di un supporto pratico alle proprie "richieste socialisteggianti" spinsero il B. - dalle pagine di un "oscuro periodico" (Bartoccini, p. 69) da lui diretto: nel nome, La riforma economico-finanziaria, riecheggiava le sue idee - ad associarsi alle fortune del murattismo.
Il che, se pareva fornirgli la garanzia di un certo respiro politico (una "pietra angolare per l'italico nuovo edificio"), non favorì certo, nel difficile ambiente piemontese, il rilancio, nell'anno 1855, dei suoi propositi di riforma, rilancio tentato scrivendo un nuovo opuscolo su La questione italiana, ponendole a base l'attuale impossibilità dell'unificazione politica d'Italia e la suprema necessità pe' suoi stati di ricongiungersi presto mediante un patto politico-sociale-commerciale. L'ostracismo indispensabile degli spergiuri dagl'Italici troni e l'urgente riorganizzazione della Penisola. Luigi Napoleone III e Vittorio Emanuele II rigeneratori d'Italia e Luciano Murat pietra angolare per l'italico nuovo edificio (Torino 1855). Era sempre l'idea, ora più sfocata, di una più larga permeabilità tra società politica e società civile, sulla base di un "patto politico-sociale-commerciale", di un "sistema economico-sociale", il cui asse avrebbe dovuto, ancora una volta, ruotare attorno alla "vera Banca Nazionale".
Labili erano le fondamenta del "Patto" da lui proposto per garantire la pace sociale (un socialismo antisocialista, è stato detto), come labile, ma non incongrua (per quanto probabilmente fondata su urgenze finanziarie e legami settari), l'alleanza politica cui l'aveva affidato. La preminenza della questione nazionale doveva rimandare questo ordine di problemi ad altra data, e comunque affidarli ad altri approcci, condannando, il B. ad essere dimenticato.
Si ignorano il luogo e la data di morte.
Fonti e Bibl.: Le Assemblee del Risorg., Roma, II, pp. 174-175; III, pp. 212-214, 528, 598-599, 777; M. Minghetti, Miei ricordi, Torino 1888-1890, III, p. 386; A. Luzio, La massoneria e il Risorgimento italiano, Bologna 1925, I, App. III, p. 269; L. Bulferetti, Socialismo risorgimentale, Torino 1949, ad Indicem; F.Bartoccini, Il murattismo, Milano 1959, ad Indicem; G. Berti, Idemocratici e l'iniziativa merid. nel Risorgimento, Milano 1962, ad Indicem.