BORIO, Giuseppe
Nato a Niella Tanaro (Cuneo) il 23 dic. 1761 dal maggior generale Gugliehno e da Anna Solaro, si laureò in legge all'università, di Torino il 15 maggio 1782. Dopo aver fatto per alcuni anni pratica forense a Torino nell'ufficio dell'avvocato fiscale del senato di Piemonte, il 3 sett. 1790 fu nominato avvocato fiscale della provincia di Pallanza con la facoltà di patrocinare nelle cause civili, nonostante il divieto esistente per i pubblici ufficiali, "purché non a detrimento degli affari del fisco". Il 23 sett. 1791 il B. divenne sostituto avvocato fiscale generale rimanendo in tale ufficio fin verso il 1799. Durante la dominazione francese ricoprì la carica di giudice presso il tribunale di Cuneo, sempre palesando un profondo attaccamento alle consuetudini e alle forme di giustizia criminale del passato governo: per tale ragione fu considerato contrario al regime dominante.
Ma la sua probità era ammessa anche da coloro che lo avversavano, come ad esempio dal consigliere di stato Vincent in una lettera (del 26 giugno 1809) indirizzata da Parigi al principe C. Borghese, governatore generale del Piemonte, invitato ad indurre il B. a un atteggiamento più ligio al governo. Tuttavia la stima che il B. era riuscito a conquistarsi era tale che alcuni mesi dopo, nel novembre 1809, Luigi Peyretti di Condove, primo presidente della corte d'appello di Torino, in un suo progetto relativo alla nuova organizzazione giudiziaria, non esitava a proporlo per uno dei posti di consigliere alla "Cour Imperial" di Torino.
La lacunosità della documentazione non permette di seguire le vicende del B. durante il periodo francese, ma è molto probabile che sempre nel 1809, o poco più tardi, egli si sia ritirato dalle funzioni pubbliche. La sua rottura completa con le autorità francesi apparirebbe confermata dal fatto che, al ritorno dei Savoia in Piemonte, egli fu subito nominato membro del senato, "reggente provvisorio l'Uffizio dell'avvocato fiscale generale" (3 giugno 1814), e il 2 sett. 1514 avvocato fiscale generale effettivo. Il 26 apr. 1816 ebbe l'incarico di reggere la classe criminale del senato di Piemonte con il titolo e il grado di presidente e il 25 dic. 1818 ebbe l'anzianità di presidente. Molto intensa fu l'attività di giudice del Borio. Dopo il fallimento dei moti piemontesi del 1821, egli fece parte della delegazione creata con le regie patenti 26 apr. 1821 dal luogotenente generale Thaon de Revel e presieduta dal conte de Varax, e fu relatore (23 agosto e 20 sett. 1821) in due dei ventisei processi che si svolsero di fronte a questo tribunale e che si conclusero con numerose condanne a morte, quasi tutte in contumacia. Soppressa la delegazione, dal 22 ott. 1821 al 18 marzo 1823 il B. firmò ben ventisei sentenze per delitti politici, contenenti condanne non miti, tanto che il Dionisotti, a proposito del suo operato in questo periodo, scrisse che "non fu dei più umani". Il giudizio non appare troppo azzardato: è tuttavia da dire che nel corso della revisione di molti processi, in seguito all'editto 30 sett. 1821, il B., tra l'ottobre 1821 e il giugno 1824, firmò molte concessioni d'indulto.
Altro episodio notevole nella carriera di magistrato del B. fu il suo intervento in un'inchiesta sul Mazzini.
Il 13 nov. 1830 questi veniva arrestato assieme a sei compagni dalla polizia di Genova sotto l'accusa di appartenenza alla carboneria. Carlo Felice, piuttosto che sottoporli a un formale procedimento, preferì far trasmettere dal suo capo-gabinetto conte Barbaroux, tramite la segreteria per gli Affari interni, tutta la documentazione al B. e a Giuseppe Antonio Gromo, presidente del senato di Genova. Costoro il 9 genn. 1831 emisero il loro parere, contenuto in una lunga relazione di ventisei pagine. In essa si diceva, tra l'altro, che "le spiegazioni date dai detenuti sulle circostanze che potevano far nascere qualche sospetto a loro carico, sono generalmente così precise, appaganti ed uniformi, benché non abbiano potuto appagarle insieme, che non lasciano quasi più nulla a desiderare". Alla fine così concludevano i due magistrati: "noi siamo del parere che per l'assoluta mancanza di prova che i detti ditenuti siano membri o appartengano alla pretesa alta vendita di Carbonari, la cui esistenza non è nemmeno giustificata, debbano tutti essere rimessi in libertà". Qualche riserva si avanzava per il Mazzini e un altro per il fatto ché erano state trovate armi nelle loro case. Le conclusioni del B. e del Gromo venivano poi sanzionate dal re il 28 genn. 1831. Si può, quindi, senz'altro concordare con lo Spellanzon nel dire che i due magistrati "attesero alla missione... con temperanza e obiettività, veramente ammirevoli, tenuto conto del periodo in cui si svolse il processo".Il B., che già il 17 genn. 1830 era stato creato cavaliere di gran croce dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, il 22 nov. 1833 ebbe il titolo e il grado di presidente capo del senato. Il 28 genn. 1840 fu collocato in pensione su sua richiesta con il grado di primo presidente e coll'annua giubilazione di lire 9.000. Morì a Torino il 15 apr. 1843.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Torino, Sezione I, Carte epoca francese, s.2, mazzo 26; Ibid., Materie giuridiche, Senato di Piemonte, mazzo 1 d'addizione e mazzi da inventariare; Ibid., Affari criminali, mazzi da inventariare; Ibid., Ministero Interno, Registri Cariche;Ibid., Polizia, Materie criminali, mazzo 2; Ibid., Polizia, Registro indulti politici; Ibid., Polizia, Processi politici, cartella 2 (numerata 3);Arch. St. di Torino, Sezioni Riunite, Sez. 3, Senato di Piemonte;Ibid., Patenti Controllo Finanze;C.Dionisotti, Storia della magistratura piemontese, II, Torino 1881, p. 295;A. Luzio, Giuseppe Mazzini carbonaro, Torino 1970, pp. 250 ss.; C. Spellanzon, Storia del Risorgimento e dell'unità d'Italia, II, Milano 1934, pp. 411 ss.