BRUCCOLERI, Giuseppe
Nacque a Favara (Agrigento) il 6 nov. 1875 da Giuseppe e da Domenica Giudice. Laureato in giurisprudenza, esercitò l'avvocatura a Roma, rimanendo, però, legato alle province natali, che costituiscono l'oggetto principale dei suoi interessi di studioso e la base naturale delle sue successive attività pubbliche, giornalistiche e politiche. Il suo esordio di giornalista avvenne, così, sulle colonne di un giornale palermitano, L'Ora, e fu sulla Rassegna contemporanea, rivista che aveva tra i direttori un deputato radicale, eletto nei collegi della regione siciliana, il Di Cesarò, che - tra il 1908 e il 1910 - apparvero le sue "cronache parlamentari".
Si trattava di corsivi che riecheggiavano le critiche, allora in voga, alla molteplice rete dei compromessi, che avvincevano in un placido torpore la vita politica italiana. Ma, pur mostrandosi sensibile all'influenza che simili motivi di insoddisfazione esercitavano sulle mode giornalistiche, o, più latamente, sulla cultura politica, il B. non aderiva a correnti che, come quelle nazionalistiche, tendessero a porsi al di fuori delle forze politiche tradizionali. Al contrario, tanto la sua collocazione politica all'interno del conservatorismo liberale, quanto la sua più sincera ispirazione contribuiscono a fare della sua figura una espressione, in tono minore, di quelle ragioni ideali che animavano gli schieramenti che, sebbene su diverse e contrastanti posizioni, rientravano nello Stato risorgimentale. In questo quadro il B. apparteneva a coloro che identificavano il problema principale della politica italiana nell'abbattimento del Giolitti, e dei metodi e del sistema di potere che il Giolitti impersonava.
Idee che il B. dichiarava senza sottintesi ai concittadini di Girgenti, quando, durante le elezioni del 1913 si presentò, in quella sede, candidato del Partito radicale, al quale aveva finito con l'iscriversi (vedi l'intervista rilasciata al Giornale di Sicilia, 13-14 ott. 1913). Era tale antigiolittismo, più che il concreto contenuto delle rivendicazioni programmatiche, che lo sospingeva all'opposizione, e che lo induceva a considerare con cauto favore personaggi come il Sònnino o il Salandra.
La sostanziale moderazione del B. si rivelava, d'altronde, proprio nelle sue opere di più largo respiro, come, soprattutto, lo studio La Sicilia di oggi. Appunti economici, Roma 1913 (con prefazione di N. Colajanni). Scritti con i quali il B., nonostante qualche sporadico affiorare di accenti regionalistici, rientrava nel tradizionale filone della letteratura meridionalistica: i problemi della Sicilia infatti - nonostante il peso e la particolare compattezza della grande proprietà fondiaria, o la presenza di alcune consistenti produzioni locali, come quelle degli agrumi e dello zolfo, fenomeni ai quali, del resto, il B. dedicava un'analisi coscienziosa - non si discostavano da quelli comuni a tutta l'economia meridionale. Erano, cioè - secondo il B. -, i problemi di un'economia che traeva dalla terra tutte le sue risorse e si basava su un meccanismo che non presentava alcuno stimolo che sollecitasse un'elevazione del livello produttivo: dove, "quindi, tutte le iniziative prese in questa direzione (come il credito e il cooperativismo agricolo, la camera agrumaria ed il consorzio zolfifero) si dovevano ad atti di volontà politica, ed erano condotte a termine grazie al sostegno dell'intervento pubblico. Considerata sotto questa luce, la questione siciliana veniva risolta, da un lato, nei termini della necessità di una riorganizzazione delle strutture agrarie; dall'altro lato, in quelli di un problema morale, e cioè di una rinnovata coscienza degli individui, che dovevano finalmente rivelarsi volenterosi cittadini disinteressatamente dediti al bene pubblico.
All'esplodere del conflitto mondiale il B. non ebbe esitazioni nell'attribuire l'intera responsabilità della guerra agli imperi dell'Europa centrale. Impostazione che, tuttavia, non lo sospinse sulle posizioni dell'interventismo più acceso, nemmeno su quelle dell'ala democratica e salveminiana.
La sua funzione fu quella di predisporre favorevolmente l'opinione pubblica nei confronti dell'attività del governo Salandra, dapprima insistendo sulla necessità di una responsabile attesa dei risultati dell'iniziativa diplomatica, e, poi, man mano che si profilavano le scelte decisive, battendo invece sul tasto dell'impossibilità di un accordo con l'Austria. Funzione che ebbe un certo rilievo, dal momento che fu nel 1914 che il B. divenne il corrispondente politico abituale del Giornale di Sicilia, il più autorevole quotidiano dell'isola, del quale egli era stato collaboratore dal 1910 (le sue note furono raccolte nel volume Dal conflitto europeo alla guerra nostra. Diario di un giornalista. Agosto 1914-giugno 1915. Contributo alla storia della guerra, Roma 1915).
L'interventismo del B., inoltre, si presentò sempre intrecciato con le note di un irriducibile antigiolittismo, e con l'intento di infliggere al Giolitti una definitiva sconfitta politica. E, del resto, mettere in luce - in ogni circostanza - l'opportunità di escludere il Giolitti dal gioco del potere, e galvanizzare le energie nazionali furono gli obiettivi che il B. assegnò, durante il corso della guerra, alla sua opera di cronista politico. Sotto tale impulso, in questi anni, egli ricoprì la carica di segretario del Fascio d'azione parlamentare.
Tra il 1919 e il 1920 il B. mantenne una posizione sostanzialmente equilibrata nei confronti delle rivendicazioni nazionali. Certamente, anch'egli partecipava a quella ripresa dei valori patriottici che il prolungato sforzo della condotta bellica aveva favorito, ma, se ciò lo rendeva particolarmente sensibile di fronte a ogni tentativo di svalutare l'intervento, o la guerra, o anche di fronte ad accenti che sembrassero poco intonati con le idealità nazionali, non lo induceva, però, a sostenere una politica estera imperialistica. Durante tutto il dopoguerra, inoltre, tra il '19 e il '22 il B. - che rimaneva il cronista politico del Giornale di Sicilia - da una una parte non mostrò d'aver raggiunto un'adeguata nozione dell'ampiezza della crisi in corso, dall'altra parve pensare che, quando si fosse dovuto parlare di minacce al regime liberale, queste si dovessero ricercare nel malcontento e nella irrequietudine delle masse lavoratrici. Sulla scorta di queste convinzioni fu sempre, ostile ai tentativi del Nitti - che gli pareva disposto ad abbassare la bandiera patriottica, troppo indulgente di fronte alle agitazioni operaie (Un anno di governo dell'on. Nitti, in Rivistad'Italia, 15 ag. 1920) - mentre, rivedendo alcune sue non troppo lontane affermazioni, l'ultimo ministero Giolitti gli sembrò una soluzione da non scoraggiare, come la sola che forse avrebbe saputo garantire il ristabilimento dell'ordine. Infine, dopo i fallimenti del Bonomi e del Facta, dava il suo riluttante consenso al ministero Mussolini.
L'attività del B. durante i primi anni del fascismo non si esaurì in quella di cronista politico. Sotto la sua guida, infatti, si pubblicò a Roma, tra il 1922 e il 1923, la rivista Problemi italiani, che raccolse nel comitato, direttivo tecnici come Angelo Omodeo e agronomi come l'Alpe, e scelse i suoi collaboratori in, un vario ma non eterogeneo arco di forze, che comprendeva tanto personaggi quali il Salvemini o il De Viti de Marco, quanto altri, di diversi interessi, quali il Serpieri. La rivista, dedicata soprattutto alle questioni dell'economia e della società italiana, a un alto livello di competenza e di specializzazione, s'inseriva sul filo di una tradizione che risaliva a esperienze - ancora in corso - come quelle della Riforma sociale o del Giornale degli economisti. Essa tuttavia non mancò di occuparsi dei problemi della nostra politica internazionale, ma mantenne il più assoluto silenzio sugli sviluppi della politica interna.
Nel 1923 il B. divenne membro dell'Ufficio informazioni della sezione italiana della Società delle Nazioni, presso la cui sede finì col trasferirsi. Egli si poneva così, in un certo senso, ai margini della vera e propria attività giornalistica. Curò la pubblicazione degli atti della delegazione italiana (L'opera dei delegati italiani alla Società delle Nazioni, I-IV, Roma 1935-37).
Morì a Ginevra il 12 marzo 1937.
Oltre che delle opere citate, il B. fu autore di numerosi scritti: L'emigrazione siciliana. Caratteri ed effetti secondo le più recenti inchieste..., Roma 1911; Francesco Crispi ministro degli Esteri, in Riv. d'Italia, 30 giugno 1915; I risultati di un sindacato semistatale (Consorzio obbligatorio per le miniere di Sicilia), con pref. di L. Einaudi, Roma 1917; La legislazione sulle miniere dello zolfo in Italia, Roma 1919; Il Banco di Sicilia. Saggio critico storico, Roma 1919; Ilprimo esperimento Orlando, in Rivista d'Italia, 31 agosto 1919; Il disegno di legge sul latifondo, in Problemi italiani, 10 marzo 1922.
Bibl.: Manca una bibliografia sul Bruccoleri. Si possono trovare notizie biografiche sugli Annuari della stampa, Roma, tra il 1916 e il 1936; in T. Rovito, Letterati e giornalisti italiani contemporanei, Napoli 1922, p. 66; e sul Chi è?, Roma 1936, p. 138.