CAPECE, Giuseppe
Nato forse a Napoli in data imprecisabile, pare abbia partecipato nel marzo 1692 con i fratelli ad una azione di vendetta culminata nel ferimento di un cocchiere di casa Venuti che con la carrozza aveva investito quella della loro madre, marchesa di Rofrano. Per questo delitto i fratelli Capece erano stati incarcerati in Castel dell'Ovo. Il 21febbr. 1694 il C. fu autore insieme con il cugino Bartolomeo Ceva Grimaldi duca di Telese del clamoroso assassinio di Pompeo d'Anna, giovane figlio di un ricco mercante della città già eletto del popolo. L'episodio ebbe luogo durante una rappresentazione nel teatro di S. Bartolomeo, presente il viceré, e fu originato da un banale alterco. I due cugini riuscirono a fuggire dal teatro nel tumulto generale e a rifugiarsi in una chiesa, grazie anche, come pare, alle porte fatte provvidenzialmente aprire dal viceré per evitare ulteriore spargimento di sangue. Abbandonata Napoli, il C. trovò temporaneo rifugio in Germania, ma l'anno successivo rientrò clandestinamente nel Regno, dove frattanto era stato processato e condannato in contumacia da una giunta straordinaria. Nel luglio 1695 egli fu arrestato ad Aversa, travestito da contadino. Dopo essere stato trasferito a Napoli, in considerazione della reclamata condizione di chierico, venne inviato al castello di Portolongone, dove scontò in carcere la pena comminatagli.
Nel novembre del 1700, all'annuncio della morte del re Carlo II di Spagna, il C., ormai libero, fu tra i pochi che criticarono la decisione degli eletti della città di Napoli di invitare il viceré duca di Medinacoeli a restare in carica durante la vacanza del trono. Negò pubblicamente che gli eletti ne avessero l'autorità, affermando che il governo dello Stato doveva tornare di diritto alle "piazze" per la mancanza di un successore legittimo al trono. Chiese anche al viceré che si servisse almeno della collaborazione degli eletti per l'amministrazione del Regno, ma ottenne dal Medinacoeli soltanto una generica promessa di convocazione di un parlamento generale.
Frattanto il C. aderì alla congiura che prese nome dal principe di Macchia. Per la conoscenza che aveva acquistato della lingua tedesca, oltre che di quella francese, e per le passate esperienze di viaggio, fu scelto come il più adatto per recarsi alla corte di Vienna a prendervi, a nome dei congiurati napoletani, i primi contatti col governo imperiale.
Lasciata Napoli col pretesto di recarsi in Fiandra per arruolarsi nell'esercito spagnolo, si fermò a Benevento presso il principe della Riccia, che gli fornì il denaro per il viaggio, in attesa di istruzioni scritte per la missione a Vienna. Giunte queste, si diresse a Roma, dove entrò in contatto col fratello Girolamo, marchese di Rofrano, e con gli altri congiurati lì residenti e ottenne il benestare al proseguimento del viaggio dal rappresentante imperiale, conte di Lamberg. Nella primavera del 1701 si portò a Venezia e quindi a Vienna, dove la sua missione venne accolta favorevolmente, tanto che fu anche personalmente ricevuto dall'imperatore Leopoldo. Il C. ne approfittò per chiedere per sé la concessione della contea di Nola. Nel giugno tornò a Roma, mantenendo qui i contatti segreti tra i congiurati napoletani e i rappresentanti imperiali per l'attuazione della congiura.
A Napoli intanto si levarono lamentele contro di lui, specie da parte del duca della Castelluccia che già si era opposto alla scelta del C., perché non forniva esaurienti informazioni sull'esito della missione a Vienna e sull'andamento delle ulteriori trattative romane. Queste critiche si concretarono anche in una dura lettera inviatagli da Tiberio Carafa a nome di tutti i congiurati rimasti a Napoli, per le ormai palesi tergiversazioni imperiali nella concessione dei privilegi richiesti. È difficile stabilire quale fondamento avessero le accuse mosse al modo in cui il C. conduceva le trattative, ma certo il 19 settembre, quando venne a conoscenza, per la speciale fiducia che godeva tra gli Imperiali, della definitiva risposta negativa del principe Eugenio di Savoia e quindi dell'impossibilità di ottenere aiuti militari per la rivolta progettata contro il governo spagnuolo, egli non esitò ad impegnarsi con gli Austriaci a nascondere agli altri congiurati la realtà della situazione, tanto da annunciare il prossimo arrivo a Napoli delle truppe imperiali.
Proprio in conseguenza delle proteste del Carafa, i rappresentanti asburgici decisero di affrettare i tempi di attuazione della congiura. L'11 settembre il C. fu fatto partire da Roma, accompagnato da Carlo di Sangro e dall'inviato imperiale barone di Chassignet. Dopo una breve sosta a Cisterna, il 15 essi giunsero a Benevento dove presero segretamente contatto con il principe della Riccia e quindi si incontrarono con il duca di Telese e con Tiberio Carafa, giunti appositamente da Napoli per concordare i piani di azione: fu deciso che il moto avrebbe avuto inizio con l'occupazione di Castelnuovo, come aveva proposto il Carafa, il quale si era dichiarato contrario al progetto dei congiurati provenienti da Roma, i quali invece ritenevano necessaria come prima mossa l'assassinio del viceré da compiere nella notte della festa di s. Gennaro. La sera del 20 ripartirono tutti da Benevento e, trascorsa la giornata successiva nascosti in un feudo del Ceva Grimaldi, giunsero a Casoria la mattina del 22 settembre. Nel podere di un sarto che partecipava alla congiura, incontrarono il duca della Castelluccia, i due Carafa e il principe di Macchia. Il C. e i suoi due compagni vennero poi fatti nascondere nelle catacombe di S. Gennaro, in quanto i congiurati napoletani intendevano tenere all'oscuro e lontano dal teatro della congiura i tre, con i quali si erano solo apparentemente riconciliati, perché non fossero d'ostacolo all'azione. Fallito il tentativo di impadronirsi di Castelnuovo, il C., fatto uscire con gli altri dalle catacombe, partecipò alla tumultuosa riunione dei congiurati a casa del sarto Chiariello.
Col principe di Macchia e con Tiberio Carafa egli fu dell'avviso che si dovesse proseguire l'azione e tentare di sollevare la popolazione, avversando il parere contrario del di Sangro e dello Chassignet, favorevoli ad abbandonare ogni ulteriore tentativo e cercare la salvezza nella fuga. Prevalso alla fine il parere da lui sostenuto, il C. partecipò a tutte le azioni d'arme successive, che ebbero luogo tra la sera del 22 e la mattina del 24 settembre, sottoscrivendo pure l'editto con cui si convocavano le "piazze" e contribuendo a incitare la popolazione alla rivolta. Al comando di centocinquanta uomini resistette sulla scalinata della chiesa di S. Paolo fino all'ultimo alle truppe viceregie, pur unendosi ora al parere del di Sangro e dello Chassignet, i quali, consci come lui che non potevano giungere dall'imperatore gli aiuti militari promessi, consigliavano i compagni alla fuga.
Il 24 settembre egli pose fine alla disperata resistenza lasciando Napoli con il principe di Macchia e con Tiberio Carafa, ma, distaccatosi poi dai compagni, si avventurò per gli Appennini, dove venne raggiunto dagli inseguitori. Resistendo ancora, riuscì a non farsi prendere vivo e si lasciò uccidere dalle guardie o, forse, si uccise, il 25 sett. 1701, nei pressi di Mugnano, sul monte detto dell'Incoronata, o Montevergine. La sua testa, troncata, venne esposta a Napoli in una gabbia di ferro su uno dei torrioni di Castelnuovo, accanto a quella di Carlo di Sangro. Ad entrambi, per volontà di Carlo d'Asburgo, furono tributati a Napoli solenni funerali pubblici, dopo l'ingresso delle truppe austriache. Le ossa del C., temporaneamente sepolte nel luogo stesso della morte, nella chiesa di S. Maria Incoronata, furono traslate a Napoli, dove lo scheletro venne ricomposto e il 21 febbr. 1708 trovò solenne sepoltura nella chiesa di S. Domenico Maggiore. Le epigrafi funerarie furono dettate da Giambattista Vico, per incarico del viceré.
Fonti e Bibl.: Diario napolitano dal 1700 al 1709, a cura di G. d. B., in Arch. stor. per le prov. napoletane, X (1885), pp. 95 ss., 104, 602, 628; Racconto di varie notizie accad. nella città di Napoli dall'anno 1700 al 1732, ibid., XXXI (1906) pp. 431, 433; D. Confuorto, Giornali di Napoli dal MDCLXXIX al MDCIC, a cura di N. Nicolini, Napoli 1930, II, pp. 6, 115, 175; G. B. Vico, Principum Neapolitanorum coniurationts anni MDCCI historia, in Scritti stor., a cura di F. Nicolini, Bari 1939, pp. 317 ss., 325 s., 328, 332, 349, 353, 355; Id., Iscrizioni e distici nei funerali di Carlo di Sangro e G. C.,ibid., pp. 363-386; F. M. Ottieri, Istoria delle guerre avvenute in Europa e particolarm. in Italia per la successione alla Monarchia delle Spagne dall'anno 1696 all'anno 1725, II, Roma 1752, pp. 198 ss.; A. Granito di Belmonte, Storia della congiura del Principe di Macchia e della occup. fatta dalle armi austriache del Regno di Napoli nel 1707, Napoli 1861, I, passim; G. Ferrarelli, Tiberio Carafa e la congiura di Macchia, Napoli 1884, pp. 36 ss., 153; R. Colapietra, Vita pubblica e classi politiche del Viceregno napoletano (1656-1734), Roma 1961, pp. 81, 135; G. Galasso, Napoli nel Viceregno spagnolo 1696-1707, in Storia di Napoli, VII, Napoli 1972, pp. 162, 196, 200-210, 220, 225.