CAPELLETTI, Giuseppe
Nacque a Rieti il 1º dic. 1755 da Muzio, barone di S. Maria del Ponte a Rocca Preturo nella provincia dell'Aquila, e Caterina Colelli, patrizia reatina. Terzo di otto figli, fu educato nel Collegio dei nobili a Urbino. Dopo la morte del padre il fratello primogenito Filippo ottenne, tramite la principessa di Santacroce cui la famiglia Capelletti era imparentata, e J. Moñino conte di Floridablanca primo ministro di Spagna, che il C. entrasse a far parte del corpo delle guardie reali di Carlo III di Borbone. Giunto in Spagna nell'estate del 1780, partecipò all'assedio di Gibilterra nel 1782 agli ordini del duca di Crillon, comandante dell'esercito franco-ispano.
Nell'abbondante epistolario diretto alla sua famiglia in questa occasione come in seguito, nel corso delle numerose traversie della sua vita, si nota come egli assolse a questi compiti con zelo e buona volontà, lamentando tuttavia il soldo insufficiente che lo costringeva a indebitarsi.
A campagna finita ebbe dal re l'ulteriore distinzione di entrare a far parte della Compagnia italiana delle Guardie del Corpo col grado di capitano di cavalleria. Il 31 gennaio 1791 veniva nominato esente delle reali guardie italiane del corpo e cioè colonnello di cavalleria col soldo di 1.100 scudi annui e il mantenimento di cinque cavalli a spese delle reali scuderie. Ma egli ambiva ad ottenere un impiego civile e l'ottenne il 13 ott. 1791 quando fu nominato coadiutore del conte Zambeccari, incaricato degli affari di Spagna in Bologna. Inoltre gli fu attribuito l'incarico di pagatore delle pensioni degli ex gesuiti spagnoli che, in numero di oltre seicento, si erano rifugiati nello Stato pontificio dopo la soppressione della Compagnia di Gesù. Questa "commissione ex gesuitica" era certamente delicata poiché non priva di implicazioni politiche. Il C. prendeva possesso della sua carica in Bologna il 29 luglio 1792.
Era allora ministro di Spagna a Roma, e perciò superiore diretto del C., José Nicolas de Azara, che aveva assunto quell'ufficio nel 1784, ma che fin dal 1765 era sempre vissuto a Roma in qualità di coadiutore dei vari rappresentanti spagnoli presso la S. Sede. Egli si era legato in intima amicizia con J. Moñino, conte di Floridablanca, che era stato ministro del re di Spagna presso il papa dal 1772 al 1777. Insieme avevano svolto un'azione politica determinante che aveva avuto come risultato l'abolizione della Compagnia di Gesù (1773).
Dopo la pace di Basilea (1795) tra Francia e Spagna, l'Azara dette pieno appoggio, da cortigiano qual era, alle idee politiche del nuovo favorito della corte di Spagna Manuel Godoy tendenti a restaurare, attraverso una stretta collaborazione con la Francia del Direttorio, l'influenza spagnola in Italia.
Assai abile nell'intrigo, riuscì (maggio 1796) a farsi affidare, secondo quanto convenuto anche nel trattato di Basilea, la mediazione per la pace tra Roma e la Francia, incarico che il debole Pio VI gli conferì peraltro a malincuore, costretto dall'incalzare degli avvenimenti che vedevano al nord il generale Bonaparte vittorioso dopo la brevissima campagna contro gli Austriaci e il formarsi di un pericoloso movimento secessionista nelle Legazioni causato, oltre che da motivi ideali, anche da ragioni economiche e finanziarie. L'incapacità dell'Azara di comprendere questa realtà politica assai complessa fu una delle cause dell'infelice armistizio di Bologna (23 giugno 1796), finanziariamente assai oneroso, senza che peraltro riuscisse alla S. Sede di evitare il progressivo disfacimento dello Stato.
In quell'occasione l'Azara scontentò tutti, sia i ceti abbienti delle Legazioni che desideravano un completo distacco da Roma, sia il partito degli "zelanti" che predicava la resistenza ad oltranza ai Francesi.
In queste circostanze il C. ebbe un atteggiamento assai rettilineo, adoperandosi con vigore per la difesa della comunità spagnola in Bologna e per la sicurezza degli ex gesuiti spagnoli residenti nelle Legazioni, attirando su di sé la collera del Bonaparte e l'antipatia dell'Azara che, nel suo sforzo di attuare una politica ormai anacronistica, non aveva capito che Bonaparte a Bologna non si era soltanto preso gioco dell'incertezza di Roma, ma anche della debolezza della Spagna e, in definitiva, dell'Azara stesso.
A seguito delle forti requisizioni spesso eseguite in modo brutale scoppiarono in Romagna sollevazioni a carattere sanfedista: le varie municipalità, che avevano avallato il movimento secessionista per avere un migliore trattamento dai Francesi e fronteggiare così l'anarchia, si trovarono prese tra due fuochi. Scoppiata la rivolta a Lugo, il C. fu incaricato dal generale Augereau, che aveva fretta di raggiungere Bonaparte al nord, dove si temeva un ritorno offensivo degli Austriaci, di far da mediatore con gli insorti. In realtà l'Augereau mirava a guadagnare tempo: senza rispettare la tregua concordata dal C., assalì Lugo e la mise a sacco. A differenza dell'Azara, in questa occasione il C. accusò apertamente il generale francese di aver mancato ai patti e di essersi servito della sua mediazione come di uno stratagemma. Né si discostò il C. da questa coraggiosa linea di condotta quando nell'agosto il Bonaparte minacciò di espellere gli ex gesuiti spagnoli dalle Legazioni, meritando da parte del Cacault, rappresentante francese a Roma, l'appellativo di "fanatique sans ésprit" e dall'Azara quello di "sot", detto sia pure nell'intenzione di proteggerlo. Il C. condusse da allora, pur conservando i suoi incarichi, vita alquanto ritirata. Mentre gli eserciti austro-russi invadevano l'Italia il C. portò a termine la difficile missione di condurre un certo numero di cavalli di razza in Spagna, dietro esplicita richiesta del re. Restò in Spagna dal luglio 1800 al febbraio 1801, ottenendo in quell'occasione la nomina di brigadiere, cioè generale di cavalleria. Fu in amicizia con Ludovico di Parma e sua moglie Maria Luisa di Spagna, che in virtù del trattato di Aranjuez (1801) erano divenuti re e regina di Etruria. Il 26 maggio del 1805 il C. assisteva a Milano alla incoronazione di Napoleone a re d'Italia. La gentile accoglienza avuta dall'imperatore determinò nel C. una certa attenuazione dell'ostilità che aveva sempre nutrito nei suoi confronti. La fedeltà del C. verso i Borboni permaneva tuttavia indefettibile. Nell'inverno 1807-08 accompagnò prima a Milano, dove incontrò un'altra volta l'imperatore, e poi in Spagna la spodestata regina d'Etruria. Ivi fu sorpreso dalla guerra e partecipò alla difesa di Madrid, combattendo contro i Francesi fino al dicembre 1808. Caduto prigioniero, nel febbraio 1809 riuscì a fuggire raggiungendo a Siviglia la giunta centrale di governo che reggeva la Spagna in nome del re Ferdinando VII prigioniero. Nel maggio 1809 il C. veniva inviato in Austria con lo scopo palese di occuparsi della sorte degli ex gesuiti spagnoli in Italia, e con quello segreto di procurare armi e uomini alla resistenza spagnola. A Vienna apprendeva dal fratello Orazio dell'avvenuta deportazione di altri due fratelli, Giovanfrancesco, vescovo di Ascoli, e Benedetto, il futuro cardinale. Ebbe anche contatti con alcuni emissari degli insorti tirolesi. Espulso dall'Austria su istigazione francese, dal settembre 1810 intraprendeva il lungo viaggio di ritorno attraverso la Bosnia fino a Scutari. Per Malta, Palermo e la Sardegna raggiungeva Cadice nel maggio 1811, dopo essere stato colto a Gibilterra da un attacco di paralisi.
Il C. morì il 7 marzo 1813 a Cadice, dove fu sepolto.
Fonti e Bibl.: La numerosa corrispondenza di C. è conservata nell'Archivio della famiglia (oggi Cappelletti) a Rieti. Molte lettere di lui si trovano anche a Madrid (Biblioteca nacional, Mss. 20156 e 20157). V. Fiorini, Catal. illustrativo dei libri,doc. ed oggetti esposti dalle prov. dell'Emilia e delle Romagne al tempo del Risorg. ital., II, 1, Bologna 1897, pp. 590-99; A. Sacchetti Sassetti, Il brigadiere G. C. (1755-1813), Rieti 1913; C. Zaghi, Il gen. Augereau,il card. Chiaramonti e il sacco di Lugo, Ferrara 1934, pp. 34 ss.; G. Filippone, Le relaz. tra lo Stato pontificio e la Francia rivoluzionaria,Storia diplomatica del trattato di Tolentino, parte 2, Milano 1967, pp. 104, 153 s., 191 s., 194 s., 434 ss., 476; Enc. Ital., VIII, p. 833.