CAPPAROZZO, Giuseppe
Nato a Lanzè di Quinto Vicentino, piccola borgata nei pressi di Vicenza, da Angelo e Lucrezia Matteazzi il 10 dic. 1802, passò la fanciullezza presso lo zio paterno Matteo, arciprete a Villaverla, e la giovinezza nel seminario di Vicenza, terminando a ventidue anni gli studi seminarili. Con brevi intervalli, dovuti prevalentemente alla precaria salute, si dedicò ininterrottamente all'insegnamento delle lettere nei ginnasi di Castelfranco Veneto e di Ceneda (1823-31), di Vicenza (1833-34), di Verona (1835-40) e di Venezia (1840-48).
Buon insegnante, diede preminenza all'italiano sul latino, e alla poesia sulla prosa; il suo metodo, articolato in tre momenti, lingua stile fantasia, non si discostava da quello generalmente diffuso nelle scuole seminarili del Veneto, fondato sulla lettura (Dante, Petrarca, Ariosto, Tasso), sulla traduzione (specialmente da Virgilio), e su componimenti settimanali, in prosa e in verso, per i quali suggeriva la compilazione di "scheletri", progressivamente ridotti. Ebbe allievi, fra gli altri, P. Perez, dantista rosminiano docente all'università di Graz, O. Occioni, docente di letteratura latina e prorettore dell'università di Roma, entrambi editori delle sue poesie, G. Zanardelli, A. Serena e il Fusinato.
Trasferitosi nel 1840 a Venezia, dove erano ormai chiusi i salotti della Michiel, della Teotochi Albrizzi e della Cicognara, fece nuove esperienze. Nella casa di Adriana Renier Zannini, patrizia veneziana nipote di Giustina Renier Michiel, il C. incontrava il Carrer, il Canal, il Filippi, il Barbieri, il Montanari e il Veludo in quei "giovedì epigrammatici" da cui poi nacque la raccolta di epigrammi composti a gara Api e vespe, poistampata alla vigilia del '48; la "colta e virtuosa donzella" veneziana, ch'egli cantò immaturamente morta e dice di aver amato, deve quasi certamente riconoscersi per Meonora Schiavo, figlia del suo amico e biografo. Gli epigrammi hanno forza incisiva e ironia di buona lega, e possono considerarsi tra i migliori che ebbe l'Italia, encomiati almeno quanto quelli dei Carrer per la felice combinazione, pur senza vitale rinnovamento, di classico e di romantico.
Con le poesie sacre (La preghiera del povero,del mattino,della sera,del giustiziato,dell'orfano, e altre) preparò la maniera dello Zanella, anche se osteggiò la moda dei romantici cristianeggianti ("Un dì fra gli Arcadi / d'amor cantava / chi non amava; / or fra i romantici / fa chi non crede / inni alla fede"). Schiettamente romantico si mostrò però da ultimo, a Venezia, quando si pose a scrivere le più pregevoli ballate; e, sebbene mettesse in guardia contro "l'imitazione degli stranieri", considerata "nemica dell'italiana poesia" (fantasie settentrionali e orientali, carceri, scheletri e pugnali) e censurasse La cena d'Alboino del Prati come non corrispondente al genio della poesia italiana, cantò tuttavia La sposa del trovatore (dove la figlia del re di Castiglia, che ama un trovatore, combatte travestita e vince un torneo del quale avrebbe dovuto esser premio essa stessa), La morte di Klefta e Il vecchio di Suli, esaltando l'eroismo greco contro i Turchi.
Nel 1831, in una pubblica adunanza dell'Accademia dei Filoglotti di Castelfranco (della quale era socio dal '25), commemorava la veneziana Vittoria alle Curzolari collegando il valor militare all'indipendenza. Pochi giorni prima di morire dettava la canzone, poi pubblicata subito dopo la liberazione, Venezia liberata dalla dominazione austriaca (in Gazzetta di Venezia, 6aprile 1848), "un sol petto, un sol confine / stringe l'itale città; / è poter di forze unite / il poter dilibertà".
Dal 1844 era socio corrispondente dell'Ateneo veneto, e dal 1846 dell'Ateneo di Bassano. Morì a Venezia il 13 maggio 1848, pochi giorni dopo aver benedetto i moti rivoluzionari; fu inumato a Vicenza nella cappella della famiglia Schiavo.
Sacerdote era stato anche lo zio paterno Matteo (1770-1841), insegnante successivamente di grammatica, lettere, metafisica e matematica nel seminario di Vicenza dal 1900 al 1810, poi, fino alla morte, arciprete di Villaverla. Verseggiatore frugoniano, nemico della rivoluzione e di Napoleone non meno che diRousseau e di Voltaire, raccolse nel 1832 il meglio della sua produzione in tre volumi dell'Alvisopoli.
Anche gli altri due zii paterni Andrea Antonio (1754-1804) e Giambattista (1758-1830) erano stati preti, verseggiatori, insegnanti nello stesso seminario, e in seguito il primo arciprete a Quinto e il secondo a San Giorgio in Brenta.
Figura di maggior rilievo fu il fratello del C., Andrea, nato a Vicenza l'8 apr. 1816. Terminati gli studi sacerdotali, insegnò grammatica a Castelfranco Veneto, e umanità nel seminario di Rovigo, da dove, per alcuni scritti politicamente non allineati su un giornale rodigino (Morsolin), fu costretto nel 1848 a imboccare la via dell'esilio (Bologna, Roma e Firenze). Alla fine del '49 ritornò a Vicenza, aprendovi una scuola privata per giovani e dedicandosi alla raccolta delle poesie del C.; dopo la morte del bibliotecario Ignazio Savi, il 10 nov. 1857 fu chiamato a succedergli nella direzione della Bertoliana, dove attese all'ordinamento e all'incremento delle raccolte (da cui trasse in luce e illustrò testi letterari e documentari) e che resse fino alla morte. È autore di numerose pubblicazioni d'occasione, in prosa e in verso, e di varie biografie elogiative di eruditi e letterati vicentini contemporanei (fra cui Angelo Beltrame, Ambrogio Fusinieri, Ortensio Zago, Giambattista Trecco e lo stesso Ignazio Savi).
Morì a Venezia il 29 apr. 1884.
Opere: Le opere del C. vanno recuperate nelle due successive edizioni, dovute alle cure dei suoi allievi P. Perez e O. Occioni. La prima, Poesie dell'abate G. C., Vicenza 1851, con premesso uno studio del Perez Intorno alla vita e agli studi di G. C., è basata sulla scelta che ne fece il fratello Andrea, escludendo le poesie latine (la letterata Circus è pubblicata nella premessa a pp. XXVIII-XXIX), le poesie giovanili e quelle che il C. avrebbe voluto rifare; furono trascelte, da raccolte a stampa e manoscritti, quelle che allora parvero le migliori, divise in sei gruppi: di vario argomento, di argomento sacro, ballate, sonetti, apologhi, epigrammi. La scelta fu sconfessata più tardi dallo stesso Perez (in una lettera, rimasta ined., del 5 nov. 1878): dei canti patriottici egli non poté allora che riferire alcune strofe "innocue" a pie' di pagina. Questi vennero tutti accolti nell'edizione Poesie edite ed inedite di G. C., a cura e precedute da uno studio di O. Occioni, Torino 1877, edizione meno accurata ma più completa della prima (v'è aggiunto Il falso celibe, i sonetti dal Perez stampati a parte, e v'è raddoppiata la raccolta degli apologhi e degli epigrammi). Sette nuovi apologhi, rispetto all'edizione del Perez, sono nella raccolta Apologhimoderni in versi del Carrer,Capparozzo,Fiacchi,Monti e Parini, Venezia 1853, altri si possono leggere nella raccolta Api e vespe già ricordata, col proemio L'apologo e la penna e con prefazione di Tommaso Locatelli, Milano - Venezia s.d. (ma fine del 1846: venne stampata cioè come strenna dell'anno 1847, mentre nella ristampa del 1882 di Venezia l'editore Ferdinando Ongania dice, con evidente errore, che l'edizione fu del 1848). Numerosi componimenti, soprattutto dopo la morte del C., furono stampati isolati per varie occasioni o in brevi raccolte: tra queste si ricorda L'arpa sacra nella poesia, Verona 1899.
La Biblioteca Bertoliana di Vicenza, che ha la raccolta pressoché completa delle opere a stampa del C., conserva manoscritti discorsi accademici, sonetti, orazioni e poesie latine; dissertaz. e abbozzi di lavori scolastici in latino, rimasti presso l'ab. Domenico Pesavento, che fu ospite del poeta, sono andati invece smarriti. Il fratello del C., Andrea, bibliotecario della Bertoliana, donò quasi tutti gli inediti per pubblicazioni per nozze.
Fonti e Bibl.: Tre biogr. manoscritte siconservano nella Bertoliana di Vicenza, dove si trovano anche lettere al fratello e documenti vari sulla sua attività didattica e sulle sue nomine accademiche: di Domenico Pesavento, Vita in panegyricae orationis formam digesta qua demonstratur fuisse illum: I civem optimum,II magistrum incomparabilem,III scriptorem elegantissimum... quae triginta post mortem diebus habenda erat (Gonz. 26.6.21); di Sebastiano Schiavo, alle cc. 165-168 del I vol. delle Biografie degli uomini celebri vicentini a cura di Pietro Marasca, datato 1865 (Gonz. 26.9.19); di G. da Schio, alle cc. 717-720 del vol. LI (appendice) dei Memorabili (Gonz. 26.6.26).
Dell'ampia bibl. riportata da S. Rumor, Gli scrittori vicentini dei secc. XVIII-XIX, Venezia 1905-1908, debbono esser considerati fondamentali i due citati studi del Perez e dell'Occioni. Si vedano inoltre: P. Perez, Intorno al modo che tenne nell'istruire la gioventù G. C., Padova 1851; A. Serena, G. C., Milano 1898; T. Ortolani, La poesia di G. C., Catania 1899 (estr. dal Gazzettino letterario, I, fasc. 6); Inaugurandosi in Lanzè un ricordo marmoreo a G. C., Vicenza 1899 (con ricordi vari e documenti); F. Trevisan, Spigolature capparozziane, Verona 1899; G. Rizzato, Studi di G. C., Vicenza 1921, con bibliografia degli scritti di e sul C.; un elenco di 44 pubblicazioni del C. era stata compiuto dal Rumor, cit., I, pp. 354-358; O. Ciardulli, G. C. a Castelfranco Veneto, in Fanfulla della Domenica, 15 febbr. 1914; A. Scarpa, Un epigono di Zanella, in Studi in onore di F. M. Mistrorigo, Vicenza 1958, pp. 564-571. Sugli altri componenti della famiglia Capparozzo si v. le relative voci nella cit. bibliografia del Rumor (che peraltro non ricorda gli scritti "patriottici" di Andrea); inoltre, su Matteo si veda S. Schiavo, Biografia dell'ab. Matteo Capparozzo, Venezia 1854; su Andrea Antonio si veda Id., Biografia dell'ab. Andrea Capparozzo, Vicenza 1854; su Andrea si vedano B. Morsolin, Andrea Capparozzo, in Arch. veneto, XXVII (1884, pp. 472-80, e C. Frati, Diz.bio-bibliogr. dei bibliotecari e bibliofili ital., Firenze 1933, pp. 138 s.