CAPRA, Giuseppe
Figlio di Giannantonio, originario di Chiusa (nel Palermitano), e di Perna Macrì, secondo il rivelo presentato dal padre in Caltagirone il 31 genn. 1584, era nato a Caltagirone l'anno prima ed aveva due sorelle, Antonia ed Isabella. Fu iniziato all'arte del cesello, come pare, da Giuseppe Benincasa, argentiere palermitano operante in Caltagirone e autore, fra l'altro, della vistosa croce processionale della locale chiesa di S. Giacomo, firmata e datata 1590. Tosto, però, dové entrare nell'orbita degli scultori Antonuzzo e Giandomenico Gagini, padre e figlio, di stanza a Caltagirone, e per loro mezzo passare a Palermo alla bottega di Nibilio e Giuseppe Gagini, loro parenti, che per conto della città di Caltagirone lavoravano all'arca argentea per le reliquie di s. Giacomo. Ritornato in patria, Sposò il 3 ott. 1600, nella parrocchia di S. Giacomo, Nunzia Palmeri, il cui fratello Nunzio orefice, nel 1615 lavorava insieme con Antonino Bisignano una croce argentea per la chiesa del Carmine, a spese della città. Da essa fra il 1601 e il 1611 ebbe diversi figli fra cui Giambattista, poi chierico, e Giacomo che lo aiutò nell'arte. Nello stesso periodo il C. era impegnato in patria nella fattura di arredi argentei per varie chiese e delle due mazze per i mazzieri del corteo del Senato cittadino, per le quali ultime ebbe onze 73, tarì 7 e grani 10. Fra gli anni 1601 e 1609, è probabile qualche viaggio del C. a Roma. Questo spiegherebbe l'amicizia con l'argentiere Niccolò Pellegrini da Fermo.
Il 28 ag. 1612 il C. a Piazza Armerina, per atto del notaio G. Palermo, si obbliga insieme con gli argentieri Niccolò Pellegrini da Fermo e Giampaolo Lo Re catanese, di cesellare per la chiesa madre, in esecuzione di un legato lasciato da F. Trigona, due candelieri argentei di palmi tre di stile classico "alla romana", al pari di quelli esistenti nel duomo di Monreale, provenienti da Roma. Tranne qualche prolungata sortita nel 1619 a Melia nei pressi di Taormina, al servizio della principessa di Butera (Giovanna di Austria), in quel luogo convalescente sotto le cure del medico Giovanni Leonardo Boscarelli, e tranne qualche suo viaggio successivo a Lentini, dove lavorò per la chiesa di S. Alfio, il C. ebbe stabile dimora in Piazza nel vecchio quartiere di S. Venera, al servizio dei fidecommissari dell'eredità che i coniugi Marco e Lauria Trigona avevano lasciato alla chiesa madre.
A ritmo continuato, oltre a restaurare la custodia del SS. Sacramento, pregevole opera degli argentieri Paolo Guarna e Giovanni Garipoli catanesi, cesellò vasellame vario, incensieri, un reliquiario, una croce processionale, il bacolo per il ciantro con la figura della Madonna e soprattutto il suo capolavoro, la custodia della Madonna del Vessillo, opera monumentale a guisa di edicola portatile a tutto tondo (alta tre metri circa), includente due sportelli argentei, di fattura anteriore, fra colonne lavorate, ricche modanature, pannelli con ornati, stemmi, battaglie, storie tolte dalla tradizione locale, per cui Sebastiano Candrilli, chierico e pittore piazzese, fornì i disegni di tre figure.
L'opera assunta dal C. per atto del notaio G. Palermo dell'11 dic. 1621, nella sua intelaiatura architettonica era stata progettata da Giandomenico Gagini e trasformata in ossatura lignea dal bravo intagliatore G. B. Baldanza da Militello che, al pari del C., fu anche al servizio della principessa di Butera. Aiuti del C. furono il figlio Giacomo e soprattutto il valente allievo Giammichele Ancona caltagironese, che fu poi incaricato dalla sua città di realizzare le due mensole d'appoggio dell'arca argentea delle reliquie di s. Giacomo, lasciata incompleta dai Gagini. Il 4 nov. 1626 (atto del notaio G. Palermo) l'opera del C., ancora non completa del tutto, veniva stimata dall'argentiere palermitano Pietro Rizzo, allievo e compagno di Nibilio Gagini, onze 1762 e tarì 24. Il C., che nelle facce di due plinti della parte posteriore aveva firmato l'opera "Hoc opus Ioseph Capra confecit / argenticoelator calataieronensis", vi continuò a lavorare fino al 26 apr. 1627, data della completa consegna dell'opera (atto del notaio G. Palermo). In pari data venivano al C. saldati diversi conti di precedenti lavori eseguiti per conto degli stessi committenti. È da pensare che nuovi impegni lo attendessero altrove. Probabilmente l'artista si trasferì in Palermo, come lascia pensare il fatto che ivi si fece cesellare la piastra grande per la chiusura della parte posteriore della custodia. Tale piastra con la figura del Conte Ruggiero normanno a cavallo, disegnata dal Candrili, e già cesellata nel luglio del 1629, fu sistemata dal figlio Giacomo nel giugno del 1632. Ciò fa sospettare che a tale data il C. fosse morto. Comunque nel rivelo che Giacomo presentò in Piazza Armerina il 16 febbr. 1637, risulta esplicita la morte del genitore.
Assai poco si conosce dell'attività del figlio Giacomo. Si sa solo che egli nel 1635 insieme con il suo compagno Scipione di Catania faceva qualche aggiunta e sistemava il pettorale d'oro, argento, gemme e smalti fatto dall'orafo e smaltatore palermitano don Camillo Barbavara. Tale pettorale, destinato alla stessa immagine della Madonna del Vessillo per cui il padre aveva fatto l'imponente custodia, era stato stimato nel 1632 dall'orefice messinese Giampaolo Ciranna onze 1400.
Fonti e Bibl.: Caltagirone, Arch. parr. di S. Giuliano, Libri dei battezzati e degli sposati,ad annos; Ibid., Arch. parr. di S. Giorgio, Libri dei battezzati,ad annos; Ibid., Arch. parr. di G. Giacomo, Libri degli sposati,ad annos; Arch. di Stato di Palermo, Riveli del comune di Caltagirone dell'anno 1584, vol. 1898, f. 445; Ibid., Riveli del comune di Piazza del 1623, vol. 2509, f. 180; Riveli del comune di Piazza del 1636, vol. 2520, f. 239; Arch. di Stato di Enna, Atti del not. G. Palermo di Piazza, voll. anni 1612-1627; Piazza Armerina, Archivio del duomo, Mandati eredità Trigona anni 1612-1637; G. P. Chiarandà, Piazza città di Sicilia, Messina 1654, pp. 182 s.; A. Bertolotti, Alcuni artisti siciliani a Roma neisecc. XVI e XVII, Palermo 1879, p. 34; A. Ragona, Storia,arte e tradiz. calatine nelle vicende del tempio di S. Giacomo, Caltagirone 1946, p. 140; Id., L'opera di G. C., in Giorn. di Sicilia, 28 ag. 1951; Id., Un cesellatore caltagironese del XVII sec., in La Croce di Costantino (Caltagirone), 2 sett. 1951; G. Bellafiore, La civiltà artistica della Sicilia, Firenze 1963, p. 254; A. Ragona, Caltagirone: lineamenti di storia ed arte, Caltagirone 1965, p. 33; M. Accascina, Oreficeria di Sicilia, Palermo 1974, p. 197.