CARCASSI, Giuseppe
Nacque a Genova il 24 giugno 1823 dall'avvocato Pietro e da Elisabetta Simeon. Compì regolari studi umanistici laureandosi in legge nel 1846 nell'università di Genova. Nel 1848 fu nominato dal governo sabaudo magistrato negli uffici del Pubblico Ministero, carica che abbandonò nel 1853 quando, convinto dell'innocenza di due imputati, ritirò l'accusa contro di loro e si rifiutò di sottoscrivere la richiesta di appello presentata dal procuratore generale Costa. Cominciò allora la libera professione forense, specialmente come penalista, procurandosi in breve la fama di eloquente e coraggioso patrocinatore di uomini anche invisi al governo per motivi politici. La facoltà giuridica dell'ateneo genovese lo iscrisse nel numero dei suoi dottori.
Nel 1858 visse il momento più drammatico della sua attività professionale, quando entrò nel collegio di difesa di un gruppo di cittadini accusati di aver tentato il 29 giugno 1857 di fare insorgere la popolazione di Genova contro il governo sabaudo e di impadronirsi dei punti strategici della città.
Questo moto, ispirato alle note idee mazziniane e alimentato dallo spirito di repubblicana indipendenza vivissimo nella cittadinanza, aveva lo scopo di fingere un attacco alle località fortificate poste sulle alture di Genova per distrarre le forze governative dal porto, dal quale volevano salpare gruppi di armati in appoggio alla spedizione di Carlo Pisacane. Fallito il tentativo, gli uomini arrestati, posti sotto gravi accuse di sedizione specialmente per la spietata requisitoria del pubblico accusatore Galliani, trovarono solo nel C. un difensore eloquente e appassionato: lo riconobbe lo stesso Mazzini che, seguendo dall'esilio le fasi di questo penoso episodio, confidò in una lettera a Gerolamo Ramorino del 6 apr. 1858 la sua delusione per l'arringa di altri difensori e la soddisfazione per le parole del Carcassi. Questi invero, nella seduta del processo del 5 marzo, ribatté alle accuse del pubblico ministero: gli rimproverò di non conoscere neppure gli ideali di patria, di non sapere lo scopo che perseguivano i patrioti italiani affrontando il martirio con ammirevole tenacia e sublime coraggio; sostenne con calore che l'Italia non era più spinta da meschine ire di municipio, ma combatteva per esistere, per trasformarsi da "popolo" a "nazione"; richiamandosi poi alle giornate di Goito, Pastrengo, Cernaia, il C. insistette sull'idea che gli Italiani combattevano per l'"indipendenza" e la "libertà", non per guerra civile e fratricida. Delineato un quadro della vita del Mazzini, dei suoi ideali, dello spirito di sacrificio che lo animava, il C. sostenne che gli imputati avevano tentato di portare soccorso ai fratelli di altre province, sfidando il rischio di incontrare navi armate e battaglioni concentrati nel luogo del probabile sbarco. Il Mazzini, che il pubblico ministero aveva definito "funesto oltre ogni dire alla patria sua", per il C. era "colui che vuole redenta la patria sua dal servaggio straniero, vuole che dall'Alpi al mare sventoli una sola bandiera, e attraverso delusioni e dolori persegue da ventisei anni con indomita costanza questo splendido e santo ideale" (Gazzetta dei tribunali, supplem. 30 e 31 ai nn. 7 e 8 marzo 1858).
Questo storico processo, anche se non diede piena soddisfazione al C., ne aumentò la fama presso i concittadini e ne rafforzò la fede negli ideali. Egli militò nel Partito d'azione partecipando attivamente alle riunioni. Per meglio divulgare il suo pensiero politico e patriottico, nel dicembre 1858 fondò un giornale, il San Giorgio, affidandone la direzione a Vittorio Poggi. Dopo pochi mesi di vita stentata, soprattutto a causa della diffidenza governativa verso un periodico di chiara ispirazione municipale e repubblicana, il giornale cambiò il titolo in La Nazione, con intendimenti e visuale più ampi. In questa veste il giornale, di cui il C. fu collaboratore con Agostino Bertani e Nino Bixio, rivelò la sua chiara ispirazione patriottica sostenendo la necessità di unificare i programmi e l'attività di tutte le forze, sia democratiche sia cavouriane, concordi nella necessità di una guerra contro l'Austria. E questa idea fu sostenuta con tanta convinzione che nel maggio del 1859 il giornale dovette cessare. le pubblicazioni perché il direttore e quasi tutti i redattori, raccogliendo l'appello della patria, si erano arruolati nelle file dei volontari. Il C. rimase a Genova, dove continuò la sua opera di propaganda delle idee mazziniane e il coordinamento delle azioni garibaldine. Il suo studio negli anni 1859-60 fu il luogo di convegno per i raduni dei patrioti: in esso si presero decisioni e si raggiunsero accordi per organizzare e finanziare la spedizione dei Mille; egli stesso fu membro del Comitato centrale dell'associazione dei comitati di provvedimento. Nel 1864 il C. fece parte della commissione di nove membri incaricata di formare la lista dei candidati democratici alle elezioni comunali, per sostenere la quale fece pubblicare un bisettimanale, L'Elettore, che uscì per quell'occasione nei mesi di giugno e luglio.
Ma il suo impegno maggiore fu sempre l'attività forense: si segnalò in famosi processi politici: nel 1864 difese a Milano l'Antongini; nel 1865 a Ravenna i Faentini; nel 1870 Canzio, Mosto, Stallo, Mazzini stesso ed altri patrioti. Numerose e appassionate le sue difese della stampa democratica, specialmente nel processo intentato contro l'Unità italiana. Legata a questa attività fu anche la partecipazione alla fondazione e alla collaborazione a riviste giuridico-forensi: La Gazzetta dei tribunali (giornale politico-legale); la Rivista di diritto; La Giurisprudenza commerciale italiana, diretta da A. Caveri ma compilata da un gruppo di avvocati, tra cui appunto il Carcassi.
Il 10 marzo 1867 il C. fu eletto deputato nel collegio di Lugo, che rappresentò per l'intera X legislatura sedendo a sinistra, in pieno accordo con Bertani, Cairoli e Crispi, con i quali fondò il giornale La Riforma, che però poco dopo abbandonò. Fu rieletto deputato per la XII legislatura nel I collegio di Ferrara nel novembre del 1874, ma conservò il mandato per pochi mesi: colpito da grave malattia, non si allontanò più da Genova, dove morì il 22 apr. 1875.
Fonti e Bibl.: Le carte di Agostino Bertani a cura di I. Marchetti, Milano 1962, ad Indicem; Ediz. naz. degli scritti di G. Mazzi,Epistolario, XXV, Imola 1931, pp. 93, 341; A. G. Barrili, Voci del passato. Discorsi e conferenze, Milano 1909, p. 306; F. Ridella, La vita e i tempi di C. Cabella, Genova 1923, pp. 433 s.; E. Piscitelli, F. Crispi,Primo Levi e "La Riforma", in Rass. stor. del Risorg., XXXVII (1950), p. 412; A. Depoli La spediz. di Sapri ed i moti di Genova del 1857…, in L'emigrazione polit. a Genova ed in Liguria dal 1848 al 1857…, III, Modena 1957, p., 653; L. Balestrieri, Breviario della storia del giornalismo genovese, Savona 1970, p. 57; L. Tamburini-G. Petti Balbi, La stampa period. a Torino e a Genova dal 1861 al 1870, Torino 1972, pp. 137, 142, 159; T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale, Roma 1896, p. 231; Diz. del Risorgimento naz., II, pp. 549 s.