CARESANA, Giuseppe
Nacque a Vercelli con tutta probabilità tra il 1510 ed il 1520; certo non dopo tale periodo dal momento che nel 1516 il suo servizio è computato come venticinquennale. Il padre è forse da identificarsi con un Francesco appaltatore dei dazi di Vercelli nel 1516 e familiare della casa ducale nel 1519.
Il nome di questo casato, che ricalca un toponimo del Vercellese, potrebbe indicare una sua signoria su tale località, o anche solo una provenienza da essa; ma mancano elementi atti a precisare tali ipotesi. Tuttavia è da segnalare che proprio il C. fu legato al luogo di Caresana, dal momento che richiese ed ottenne dal duca Emanuele Filiberto la concessione di costruire uno o più molini a pontone sul fiume Sesia entro i confini di tale terra. Per quanto riguarda i titoli feudali di questa famiglia, in primo luogo Carisio, poi Larissate e Lachelle, essi furono tutti conseguiti da successori del C., tranne la signoria del Nebbione (Vercelli) che egli acquistò con il castello e le terre adiacenti il 22 nov. 1568 dal nobile vercellese Bartolomeo Avogadro. Cosicché è lecito presumere che l'artefice dell'ascesa e delle fortune famigliari sia stato il C., che Emanuele Filiberto arricchì in modo cospicuo con larghe donazioni e concessioni di vari privilegi.
Sul primo periodo della sua vita mancano testimonianze. Assai giovane egli dovette esser attratto dalla professione delle armi, se pur non continuativamente, in varie occasioni. Ma, se si eccettua la notizia di un grave fatto di cui divenne protagonista nel 1551 a Vercelli, il ferimento mortale dei fratelli Ercole e Simone Crotti con cui era venuto a lite, con la susseguente condanna al bando e alla confisca dei beni, è solo dal 1553 che si possono con continuità seguirne le vicende. Nel novembre di tale anno egli si segnalò una prima volta recando un contributo decisivo alla liberazione di Vercelli, presa per tradimento dal Brissac nella notte tra il 18 e il 19.
Dalla relazione del fatto contenuta in una lettera di concessione ducale si apprendono nei dettagli le circostanze che accompagnarono la sua valorosa azione; in particolare che, pur non essendo "in quel tempo da sua Maestà Cattolica stipendiato mosso solo dall'affezione… sprezzato ogni pericolo tanto della persona quanto della casa et facoltà sue et di suo fratello fu il primo ch'intrasse per soccorso armato nella cittadella… et in essa… condusse 4 trombe et 12 pignate di fuogo artificiale et 2 rubbi di polvere d'archibuso; le quali munizioni esso … si trovava in quel tempo avere in casa sua…" (Arch. di Stato di Torino, Sez. Cam., Controllo finanze, reg. 1561, I, f. 118); che si spinse per due volte a spiare i Francesi che si erano impadroniti della città; che con il suo personale apporto rese possibile, l'invio di due messi per chiedere soccorso a Casale e Novara; che provvide ad una fortificazione di emergenza e infine, visto cadere un artigliere, si sostituì a lui nella manovra del pezzo.
Fu probabilmente in questa occasione che il C. si mise in luce presso Emanuele Filiberto, cui la triste vicenda di Vercelli era riuscita particolarmente dolorosa. Ormai legato strettamente alla causa sabauda, nel dicembre 1554, chiamato in soccorso dal luogotenente ducale Giovanni Amedeo Valperga conte di Masino, il C. con quaranta uomini, passando tra le sentinelle nemiche, riusciva ad entrare in Ivrea assediata dai Francesi, dove procedeva a fortificazioni di emergenza. Nel gennaio 1556, incaricato di difendere il castello di Crevacuore, costringeva le truppe del Brissac a ritirarsi quand'ancora erano a due miglia dalla piazzaforte. Eguale successo conseguiva l'anno seguente contro i presidi francesi stanziatisi in Bornate e Flecchia. La missione, affidatagli dal marchese di Pescara, si concludeva in otto giorni, permettendo al C. di fare ritorno al presidio di Vercelli. Nel 1558 contribuiva in modo determinante alla liberazione di San Germano, consolidando la sua fama di soldato.
L'invio, il 10 nov. 1558 da Vercelli, di un suo Discorso intorno il forte di Villafranca ad Emanuele Filiberto conferma l'esistenza di un rapporto diretto tra lui ed il principe (cfr. Promis, Gl'ingegneri militari), attesta al tempo stesso come ormai venisse ampiamente riconosciuta al C. un'esperienza in materia militare, in particolare nella scienza delle fortificazioni. Il suo apporto non è quello dell'architetto militare, è lo stesso C. ad affermarlo nel proprio scritto; ma piuttosto dell'uomo d'armi che dalla esperienza quotidiana ha tratto quelle norme pratiche la cui validità non era sottovalutata da Emanuele Filiberto.
Dal Nizzardo, dove si sarebbe recato fin dal 1557 combattendo alla difesa di Nizza attaccata dai Turchi (1557), il C. veniva però tosto richiamato per assumere quei nuovi e più alti uffici cui la riconoscenza di Emanuele Filiberto ed il capovolgimento della fortuna sabauda, determinatosi con la stipulazione della pace di Cateau Gambrésis (3 apr. 1559), lo destinarono. Il 28 luglio 1559 entrava in Mondovì per assumere dalle mani del governatore francese Della Val il comando di questa città che era allora la più popolosa del ricostituito ducato.
Il compito esigeva doti di fermezza e prudenza nei confronti di una comunità a cui non era riuscito inviso il lungo dominio francese e che si mostrava invece assai timorosa di perdere i privilegi e le franchigie cittadine. Circondatosi di amministratori locali fidati ed onesti, stabilite alcune misure di sicurezza fra cui il divieto di portare l'archibugio, il C. riusciva ad instaurare uno stato d'ordine che permetteva alla vita pubblica cittadina di riprendere il suo normale andamento.
Rimasto alcuni mesi in questa località, certamente se ne allontanò verso la fine del 1560. Il 7 novembre infatti partecipò, in qualità di "tenente del colonnello conte Masino", alla testa di millecinquecento soldati, archibugieri e sei capitani (fra cui un Francesco Caresana: quasi certamente il figlio di suo fratello Gian Domenico), allo spendido corteo che da Vercelli si fece incontro ai duchi che facevano il loro primo solenne ingresso nella capitale. Poco dopo, con patente del 20 febbr. 1561, il C. veniva nominato governatore di Savigliano e della sua nuova cittadella, allora compiuta da Francesco Paciotto, con lo specifico compito di provvedere in modo adeguato ad una efficiente organizzazione del nuovo presidio. Ma il 9 dicembre dell'anno successivo era costretto a dismettere la carica per assumere quella di commissario per la rimessione della piazza di Savigliano e del villaggio di Genola ai Francesi (10 novembre), cui l'accordo di Blois (8 agosto), ribadito a Fossano (2 novembre), l'aveva destinato. Alcuni anni dopo il C. sarebbe ritornato in Savigliano, da poco recuperata al dominio sabaudo - 15 nov. 1574 -, per tentare assieme a Bernardino di Racconigi di comporre le discordie cittadine senza per altro riuscirvi nei quindici giorni assegnati (a partire dal 3 genn. 1575). Ormai diventato uno dei principali collaboratori ("consiliarius") del duca nel riassetto difensivo del territorio e nella attuazione di quella cintura fortificata attorno ai confini dello Stato che fu tra i principali obbiettivi di Emanuele Filiberto, il C. ottenne, il 17 marzo 1566, l'ambito governo della nuova cittadella di Torino, avendo forse già dall'anno prima anche quello della città e mantenendo l'uno e l'altro per alcuni anni. Nel 1566 la promozione a colonnello, cioè capo di una delle zone di reclutamento della milizia paesana creata, nel più ampio quadro delle riforme militari, in quello stesso anno, lo pose tra i più eminenti uomini del ducato.
Al governo della cittadella torinese sono legati i gravi dissapori sorti tra il C. ed il costruttore di quella, l'architetto Francesco Paciotto, che in una lettera al duca si esprime con grande amarezza nei suoi confronti dicendolo suo principale nemico e alludendo a contrasti nati fra loro per la disparità delle vedute nell'edificazione della fortezza.
Rimasto a Torino fin verso la fine del 1573, il 16 novembre di quell'anno il C. veniva nominato governatore di Mondovì dove una duplice serie di motivi imponeva, a parere del duca, la sua presenza: cioè da una parte la necessità di organizzare in modo conveniente la cittadella appena costruita; dall'altra quella di affidare ad una mano esperta, prudente ed energica questo luogo agitato da gravi discordie interne e percorso da inquietudini ricorrenti nei confronti del governo ducale. Al C., inviato a prendere possesso del nuovo governatorato, il duca ordinò di non prestare il solito giuramento di fedeltà e di osservanza delle particolari convenzioni della città; ma dovette mutare parere di fronte alla ostinata resistenza dei Monregalesi.
Nel 1574 e nel 1575 il C., che ancora reggeva il governo di Mondovì, fu più volte inviato come delegato ducale presso Renata di Savoia e il 16 nov. 1575 presenziò in Torino alla stipulazione dell'atto con cui la stessa cedeva al duca i propri diritti sul Maro, Prelà, Pornassio, Carpassio e Oneglia.
La morte lo colse nei primi mesi del 1582, non oltre l'aprile.
A definire più completamente la figura del C. pare opportuno citare l'elogio che Emanuele Filiberto ne fece in una sua patente in cui lo definì "come uno di quelli che seguitando la fortuna nostra nella perturbatione delle passate guerre seguite per il raquisto dei nostri stati non ha sparagnato ad alcuna faticha ne temuto alcun periglio, per farci fede che in lui hera quella fedeltà et affectione che in qualsivoglia de nostri vassalli esser puotesse. Anci… con spesa grande de sue proprie facoltà…" (Archivio di Stato di Torino, Sez. I, Protocolli di corte, n. 232, f. 276).Il duca gli mostrò in seguito largamente la sua riconoscenza. Con una lettera di concessione del 15 aprile 1561gli diede nuove armi gentilizie, mutando il suo stemma familiare in uno che meglio potesse conservare ai posteri memoria del suo valore. A lui ed al fratello Gian Domenico, entrambi conti palatini del Sacro Romano Impero, fu in tale occasione decretato il diritto di portare il bastone del baldacchino a Vercelli in ogni festa solenne. Il 4 maggio 1566, nel confermargli la donazione di 12.000 franchi in monete di Francia fattagli il 16dic. 1565e nell'impossibilità di pagarglieli per indisponibilità di una somma che era assai ingente, gli costituì una rendita di 400 scudi d'orod'Italia annui da esigersi direttamente sui dazi di Vercelli. Il 27settembre successivo gli diede in concessione lo sfruttamento della miniera di piombo in regione Rocca Cornia; il 14 febbr. 1571infine gli riconobbe la già menzionata facoltà di erigere mulini sul fiume Sesia e il diritto di derivare acqua per irrigazione dal fiume Elvo per portarla nelle sue terre del Nebbione o "altrove". Va segnalato che queste concessioni sono spesso ricordate come tipico esempio della abile politica economica svolta da Emanuele Filiberto.
Ammogliatosi con Lucrezia d'Arelly che, il 16 dic. 1564, ricevette in dono dal duca una somma il cui equivalente veniva stabilito (aprile 1565)in lire 3.000 tomesi e ciò in deroga alle stesse disposizioni ducali che vietavano di menzionare nei contratti moneta straniera, ne ebbe almeno un figlio, Carlo Emanuele, che fu poi gentiluomo di camera del duca.
Il De Gregory afferma che il C. lasciò alcuni manoscriti Sull'arte della guerra, ma non dà notizie sulla loro ubicazione.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Sez. I, Protocolli di corte, nn. 224, f. 8; 224 bis, f. 253; 225 bis, f. 122; 226, ff.207, 245; 227 bis, f. 278; 232, f. 276; 233, ff. 145, 147, 165; Lett. partic., mazzo C, n. 23, 15 apr. 1573; 21 agosto e novembre 1575; Ibid., Sez.Camerale, Controllo finanze, reg. 1561, I, f. 118; Tesor. gener. Piemonte, regg. 47, ff.26, 47, 125; 48, f. 50; F. Pingone, Augusta Taurin., Torino 1577, pp. 86, 90; G.Tonso, De vita Emmanuelis Philiberti…, Augustae Taurinorum 1596, pp. 162 s., 188; P.Gioffredo, Storia delle Alpi Marittime, in Monum. historiae patriae, Scriptores, II, Augustae Taurinorum 1839, coll. 1575, 1579; Gius. Cambiano di Ruffia, Histor. discorso…, ibid., Scriptores, I, ibid. 1840, col. 1160; Giulio Cambiano di Ruffia,Memorabili dal 1542 al 1611, in Miscellanea di storia italiana, IX(1870), p. 213; G.De Gregory, Istoria della vercellese letter. ed arti, II, Torino 1820, pp. 106 s.; G. Casalis, Diz. geografico-storico-statistico-commerc. degli Stati di S. M. il re di Sardegna…, XXI, Torino 1851, pp. 219, 221; E. Ricotti, Storia della monarchia piemontese, II, Firenze 1861, pp. 517, 520; C. Dionisotti, Notizie biogr. dei Vercellesi illustri, Biella 1862, p. 150; C. Promis, La vita di Francesco Paciotto da Urbino…, in Misc. di storia italiana, IV(1863), pp. 410-413; C. Promis, Gl'ingegneri milit. che operarono e scrissero in Piemonte dall'anno 1300 all'anno 1650, in Miscellanea di storia italiana, XII(1871), pp. 465, 546; G. Claretta, Ferrante Vitelli alla corte di Savoia nel sec. XVI, in Atti della R. Accad. delle scienze di Torino, XIV(1878-1879), pp. 800-802 n.; F. Guasco, Diz. feudale degli antichi Stati sardi…, III, Pinerolo, 1911, p. 80; A. Segre, Emanuele Filiberto (1528-1559), Torino-Milano-Firenze 1928, p. 93; P. Egidi, Emanuele Filiberto (1559-1580), Torino-Milano-Firenze 1928, p. 110; A. Garino Canina, Ilrisorgimento dell'industria, dell'agric. e del comm. in Piemonte, in Emanuele Filiberto, Torino 1928, pp. 292 s., 296 s.; C. F. Savio, Savigliano ai tempi di Emanuele Filiberto, in LoStato sabaudo ai tempi di Emanuele Filiberto, II, Torino 1928, pp. 86 s., 89; Id., Tenda ai tempi di Emanuele Filiberto, ibid., pp.134, 136, 139; G. C. Faccio, L'ingresso di Emanuele Filiberto in Vercelli il 7 nov. 1560, ibid., p.307; L. Berra, Emanuele Filiberto e la città di Mondovì, ibid., III, ibid. 1928, pp. 99 s., 123, 169; Torino, Bibl. naz., A. Manno, Il patriziato subalpino, III, (datt.), sub voce Caresana, p. 395.