CARTELLA GELARDI, Giuseppe
Nato a Messina il 31 ag. 1885 da Giovanni, figlio di pittori e pittore lui stesso, e da Angela Gelardi di Massa Santa Lucia, dopo aver frequentato la locale scuola d'arte, e studiato presso i gesuiti del collegio dell'Accademia Carolina, si diplomò presso l'istituto S. Filippo Neri in ragioneria. Spinto dalla necessità, per le modeste condizioni economiche della famiglia che non gli consentivano di frequentare l'università, partecipò a un concorso dell'amministrazione finanziaria, dalla quale fu assunto nel 1903. Prima residenza di lavoro fu Lagonegro di Basilicata, e subito dopo la vicina Chiaromonte. Nel 1908 venne trasferito a Cirò di Calabria; in questi anni affiancò al suo lavoro gli studi umanistici, creandosi, da autodidatta, una educazione classica. Dopo altri trasferimenti, nel 1912 si stabilì a Piacenza dove, accanto all'impiego, si dedicò all'insegnamento di materie tributarie.
Ancor giovanissimo aveva tentato le prime esperienze poetiche nel cenacolo simbolista messinese "Ars Nova", insieme con E. Cardile, suo compagno di studi. Aveva iniziato l'attività letteraria con Silentia lunae (Messina 1906), composto in Chiaromonte di Basilicata: poesia simbolica, evocatrice di un mondo mitico, incantato, dove sono descritte estatiche visioni notturne, rischiarate dal pallore della Luna, cantata nei molteplici volti di Ecate, Trivia, Latmia, Diana, Gamelia: a richiami tipicamente classicheggianti si uniscono venature di un "romanticismo sostanziale espresso nelle immagini e nella colorazione dell'ambiente" (Zamboni). Aveva poi pubblicato Nuptialia (Messina 1908), tre epitalami composti in occasione delle nozze delle sorelle Santina Rosalia ed Emma, in cui l'amore sessuale viene da lui rappresentato "come virtù cosmica di concepimento" (Gallippi): è la Venus lucreziana che riempie del suo sorriso fecondatore il mondo. Si ricordano inoltre: Agli eroi del cielo (Genova 1911); I sonetti della morte (La Spezia 1913); Per la lupa d'azzurro e il dado d'argento (Piacenza 1914), in cui tenta la poesia epica e celebrativa in omaggio alla città di Piacenza.
Nel 1913 sposava Maria Viale, di Torino, e nell'anno successivo nasceva il primo figlio Marco. Ed è di questi anni, probabilmente, la conoscenza del poeta Mario Virgilio Garea, il "fedelissimo amico primevo", che possedeva una villa a Varazze - Punta d'Aspera -, dove fu più volte ospitato G. P. Lucini, negli ultimi anni di vita, e che, anche dopo la morte di questo, continuò ad essere frequentata, oltre che dal G., da poeti e artisti della "frateria luciniana", come E. Cardile, dalle prime esperienze passato al futurismo, il poeta armeno Hrand Nazariantz, esule in seguito ai tragici massacri degli Armeni ad opera dei Curdi, Terenzio Grandi, scrittore e storico, poi fondatore e direttore della casa editrice "L'Impronta" di Torino.
Nel 1917 si trasferì a Milano (dove gli nacque nell'anno 1918 il secondo figlio Gabriele); qui insegnò alla scuola Cavalli e Conti materie giuridico-sociali e tributarie, collaborò a giornali e riviste, esercitando anche la libera professione di commercialista e, consulente in diritto finanziario. Conobbe in questi anni, tramite il Nazariantz, il pittore C. P. Agazzi e, presentato dal Garea, lo scultore Alberti, anche essi legati ai tramontanti cenacoli luciniani. Si legò inoltre di duratura amicizia con P. Buzzi, uno dei protagonisti del futurismo, movimento che il C. avversò.
Con l'avvento del fascismo il C. espresse la sua simpatia con l'ode La Marcia su Roma, sebbene l'adesione rimanesse ideale e fosse piuttosto moderata. Lavorava frattanto ad Alba canora (Milano 1926) che, divisa in dodici libri, comprese tutta la sua produzione poetica dal 1905 al 1926; vi raccolse tutte le opere già ricordate, rivedute e corrette, e vi inserì La corona di Energeja, incoronazione ideale di G. D'Annunzio, pubblicata nello stesso anno a Milano.
Alba canora, accolta con consensi indubbiamente eccessivi dalla critica del tempo, può rivelare le ambigue e inconsce disponibilità della tradizione letteraria. Non manca di sentimento lirico e di passione, entrambi composti e rattenuti dalla forma puramente classicista, come si nota nei sonetti ben costruiti e incatenati, nelle rime e nei ritmi musicalmente perfetti e nelle tonalità cromatiche. Il classicismo del C., pur non seguendo particolari scuole o cenacoli letterari, risente di alcuni scrittori del tardo Ottocento, del Rapisardi e del Lucini, in particolare, ma soprattutto del D'Annunzio, suo vero nume tutelare; il Carducci è presente nella poesia epica e civile dell'VIII libro, "Remis velisque", e specialmente nei poemetti "Zancle" e "Per la lupa d'azzurro e il dado d'argento". In altri libri, come il X, "Vexilla gentium prodeunt", e nelle poesie familiari e domestiche del III, "Dum vultu ridet laetitia sereno", e del VI, "Et nuptias celebro" si avverte l'influenza di moduli pascoliani. L'opera trova la sua unità lirica nel canto dell'ascesa dell'anima, in uno slancio catartico e di redenzione spirituale il cui leitmotiv "èdato dall'anelito alla libertà e alla conquista di un'irreale Bellezza" (Zamboni).
Iniziò in questi anni una corrispondenza epistolare col poeta V. Gerace, che ammirava sin dagli anni della sua residenza a Cirò e che conobbe soltanto il 15 maggio 1930, recandosi, insieme col poeta A. Turla, alla clinica romana dove quegli era stato ricoverato e dove morì tre giorni dopo. Il C. era di ritorno da Bari, dove il 10 maggio aveva tenuto una conferenza, ad iniziativa del circolo artistico del poeta Nazariantz, per celebrare, nella colonia armena di Nor Arax, "Bari e il Nor Arax nella vita e nell'arte". Nello stesso anno diede alle stampe Vincenzo Gerace (Torino 1930), una monografia critica in cui esaltava l'aspetto classicista e tradizionale di quella poesia, fortemente imitativa del Leopardi; in seguito pubblicò Achille Alberti (Torino 1932), biografia critica dello scultore milanese; Per la luce degli oscuri (Milano 1933), una raccolta di articoli, conferenze e saggi di argomento letterario e, inoltre, discorsi, articoli delle sue campagne armenofile, prose culturali e varie, composti dal 1910 al 1932, "per trarre dall'ombra - come afferma il C. - scrittori e opere, uomini e fatti, ignorati o negletti"; Sui laghi del sogno (Torino 1935), che rivelava lo sforzo di "disimpegnarsi da un suo classicismo iniziale forse troppo erudito, per conquistare l'assoluto dominio dell'espressione metrica e idiomatica" (Mandel); in realtà la metrica più snella, agile e fluida supera la "solennità marmorea" della raccolta di Alba canora, e anche la materia poetica diventa più eterea, si affranca dalla sensualità e passionalità "fino alla conquista di una superiorità serena" (Mandel).
Nel 1935 gli moriva le moglie, dopo lunga malattia. Dopo la conquista dell'Etiopia e la fondazione dell'impero fascista pubblicò Il poema dell'Impero (Torino 1938). In seguito ai primi bombardamenti di Milano sfollava a Brunate, dove conobbe Giulia Mattioli che sposò il 5 apr. 1945. L'ultima sua opera, Ambrosios (Torino 1952), è costituita da cento sonetti del più vasto poema civico Mediolanum, che non venne mai pubblicato.
Morì a Milano il 7 nov. 1962.
La Biblioteca comunale di Milano conserva i manoscritti inediti del C., donati dalla vedova il 12 sett. 1963: Orchestre d'angeli e tamburi di Belzebù, novelle e frammenti; Santo Francesco, peana; Mahatma, poema tragico in prosa; Laude della vita e della morte, poema; Mediolanum, poema; tre voll. dei Poemi ambrosiani; Il poema delle Dolomiti; Melpomene, commedia; raccolte di corrispondenza, di prose critiche e traduzioni.
Bibl.: P. Mignosi, La poesia ital. di questo secolo, Palermo 1929, pp. 270 s.;A. Zamboni, Scrittori nostri, Reggio Emilia 1931, pp. 85-94; A. Gallippi, G.C.G., Torino 1931; G. Cultrera, G.C.G., Signa-Firenze 1933; R. Mandel, Il libro deilibri, Milano 1930, pp. 55 s.; L'opera di G.C.G., giudicata in Italia e all'estero. Prima raccolta di giudizi critici (s.d. ma 1930), tra i quali sivedano in particolar modo quelli di E. Cardile, P. Buzzi e G. Umani.