CASALINUOVO, Giuseppe
Nacque il 16 ag. 1885 da Vito e da Eleonora Nisticò a San Vito Jonio, in provincia di Catanzaro, dove il padre possedeva un podere. A Catanzaro, dove consegui la maturità classica nel 1905, ebbe come insegnante Vincenzo Vivaldi, letterato e studioso di un certo valore, che anni prima era stato tra i fondatori di una Associazione progressista che combatteva gli esponenti della Destra locale, e ne rimase influenzato. A questo primo periodo risalgono due sue raccolte poetiche, Prima luce (Catanzaro 1900) e Tra due fosse (ibid. 1903). Laureatosi in giurisprudenza nell'università di Roma nel 1909, tornò a Catanzaro per esercitarvi la professione di penalista. Qui diventò presto un punto di riferimento Per il nuovo ceto di intellettuali di estrazione piccolo e medio-borghese, ostile al governo e al trasformismo, aperto alle idee socialiste e sensibile ai problemi economici e sociali della regione, in lotta con la vecchia classe dirigente, espressione degli interessi dei grandi proprietari terrieri e delle forze clericali.
Nel 1903 il C. pubblicò sulla Giostra, organo della borghesia radicalizzata, una interessante analisi delle condizioni della Calabria, e condannò gli eccidi di Cerignola, Buggerru e Castelluzzo, inneggiando alla fraternità e al lavoro umano, in Anno di sangue, dedicato a Giolitti; nelle elezioni del 1904 appoggiò il filosofo positivista A. Asturaro, presentato dai socialisti; nel 1909, contro il giolittismo e il trasformismo, appoggiò ancora il candidato socialista. Una nuova convergenza di tutte le forze di sinistra sul socialista Enrico Mastracchi si ebbe nel 1913; il C., ostile al patto Gentiloni e all'alleanza tra giolittiani e cattolici conservatori, prese parte attiva alla campagna elettorale. In quello stesso anno fu relatore al V Congresso operaio calabrese, che si tenne a Catanzaro.
Negli anni della grande guerra il C. fu combattuto tra il pacifismo di ispirazione socialista e la condanna cristiana della guerra, da un lato, e il patriottismo tipico di tanta piccola borghesia, dall'altro. Nel dopoguerra i suoi interessi professionali e culturali presero il sopravvento su quelli politici, fino al definitivo ritiro dalla vita pubblica. D'altra parte il suo socialismo poggiava su un fondo di umanitarismo e di evangelismo in cui si perdevano le reali dimensioni della lotta politica: nel '19 dichiarò pubblicamente: "Noi abbiamo bisogno di sottrarci alle passioni di piazza che ci immiseriscono". In quello stesso anno assunse la presidenza del Circolo di cultura catanzarese, che gestì con notevole impegno. Anche se il circolo si dichiarava "agnostico in materia politica", i giovani professionisti raccolti intorno al C. durante il fascismo facevano la fronda, sia pure attraverso il più innocuo discorso letterario; le autorità fasciste non tardarono ad accorgersene e il circolo fu costretto a sciogliersi. L'ultima conferenza che il C. tenne in pubblico, alla presenza delle autorità locali, fu quella su F. Berardelli, del 1933. Nel '19 aveva fondato La Calabria giudiziaria - Rivista di dottrina e di giurisprudenza, che diresse ininterrottamente fino alla morte avvenuta a Catanzaro, il 25 ott. 1942; le autorità fasciste cercarono inutilmente di evitare che si formasse un corteo durante la cerimonia funebre.
In Prima luce, una raccolta di poesie dedicate a persone care, la madre morta, la "bionda sorellina", la nonna morta, compaiono quelli che saranno i motivi consueti della poesia del C.: l'evasione georgica, gli affetti familiari, i casti e teneri amori, le delusioni e le tristezze giovanili; il linguaggio e le strutture formali rinviano a certa poesia dell'800 (Carducci minore, V. Padula) ma anche a modelli più remoti e aulici. Nella più consistente raccolta Dall'ombra, uscita a Torino nel 1907, il linguaggio è meno letterario e più vivo, vi compaiono movenze pascoliane e si avverte a volte l'influsso dei crepuscolari (Corazzini e Gozzano). L'opera alla quale il C. dovette un discreto successo, che superò i limiti della regione, è la Lampada del poeta, volume di poesie pubblicato nel 1929 a Bologna da Zanichelli e ristampato dopo soli tre mesi. Piacque probabilmente per l'aria di sana provincia che vi si avverte subito, e per il linguaggio tradizionalissimo la cui semplicità e chiarezza dovette sembrare una reazione alla sperimentazione linguistica, difficile e iniziatica, della poesia italiana a cavallo della prima guerra mondiale. Momenti di evasione e di consolazione, non già di approfondimento dei problemi dell'esistenza, sono per il C. le occasioni della poesia: dichiarazioni di poetica in questo senso non mancano nei suoi scritti, e di esse si possono trovare motivazioni biografiche (l'insofferenza per un'esistenza da lui spesa tra codici e processi, in una piccola e grigia città di provincia) e motivazioni storiche (il trauma prodotto dalla "stupida" guerra mondiale e dall'acuirsi della lotta di classe nel dopoguerra). Già nel 1912 egli aveva detto del Pascoli, come parlando di se stesso: "la vita affannosa e tumultuosa degli avvenimenti politici non era fatta per G. Pascoli. Gli ardori internazionalisti della sua giovinezza erano ormai lontani. Egli aveva bisogno di pace". Non a caso il Pascoli, ma non quello delle poesie civili, patriottiche e storiche, bensì delle Myricae e dei Canti di Castelvecchio, era ora il suo modello più importante. A queste due raccolte pascoliane rinvia il repertorio tematico della Lampada del poeta:il gusto delle cose piccole e semplici, l'amore per la gente povera e umile, l'invito alla bontà e alla fratellanza, l'idillio agreste, il senso fortissimo del nido familiare, la rievocazione dei propri morti, il gusto del dolore e delle lacrime tristi. Si tratta di un Pascoli rimasto incompreso nei suoi aspetti più innovatori e novecenteschi, riletto attraverso la lezione della lirica borghese e realistica ottocentesca, di A. Negri, G. Cena e dei crepuscolari; da questi ultimi, soprattutto da Gozzano, deriva la tendenza a sliricizzare il linguaggio, evidente in alcune poesie, come "In biblioteca".
A Catanzaro, specie nel periodo in cui diresse il Circolo di cultura, tenne conferenze e discorsi che pubblicò in parte, col titolo Celebrazioni, nel 1936, a Napoli. Dedicati a poeti a lui particolarmente cari (Pascoli, Shelley), a scrittori calabresi (Serrao, Gerace, Berardelli), a musicisti (Puccini, Wagner), sono soltanto un documento della sua cultura, non vasta né profonda. Il C. stesso li definì "pagine assai modeste", scritte "senza alcuna competenza speciale e senza alcuna preparazione conveniente"; stilisticamente mescolano l'eloquenza passionale delle sue arringhe e i toni più tenui della sua poesia. Le più celebri arringhe, costruite, nonostante il pathos e la retorica, con rigore logico e scientifico, sono state pubblicate sulla Calabria giudiziaria e sull'Eloquenza. Tra gli inediti (conservati presso il figlio Mario Casalinuovo, a Catanzaro) è da ricordare un'ultima raccolta di versi, Ore di vespero, di cui solo qualche poesia è stata stampata su giornali locali.
Altri scritti: V. Vivaldi, in La Giovane Calabria, n. 37, 1927, pp. 3 s.; La poesia di M. Pane, Catanzaro 1900; Virgilio e la Calabria, in Nosside, XI (1930), pp. 20 s.; La tragedia dell'onore e dell'amore, in L'Eloquenza, XX (1931), pp. 818 ss.; Il vecchio teatro di Catanzaro, Catanzaro 1938; Il ratto della bella americana, in L'Eloquenza, XXIX (1940), pp. 521 ss.; Il delitto di una sedotta, ibid., XXXI (1942), pp. 365 ss.; In difesa di G. Paparone, ibid., XLIV (1954), pp. 23 ss.
Bibl.: G. Sardiello, G. C. poeta, in Nosside, VIII (1928), 10, pp. 30-35; U. Bosco, La lampada del poeta, in Leonardo, I (1930), pp. 667 s.; V. Galati, La lampada del poeta, in Il Pensiero, VI (1931), 7, pp. 19 s.; R. Bisceglia, Toghe alla sbarra, Roma-Imperia 1934, pp. 90-98; A. Galletti, Il Novecento, Milano 1935, p. 494; N. Lombardi, G. C., Catanzaro 1943; A. De Marsico, G. C., in La Calabria giudiz., XXIV (1943), 1-2, pp. 46-50; A. Turco, Il Circolo di cultura e G. C., Catanzaro 1944; G. Sardiello, G. C., Napoli 1946; F. O. Palermo, Ilpoeta G. C., Corigliano 1947; U. Bosco, G. C., in L'Eloquenza, XLIV (1954), 5-6, pp. 1-22; A. Piromalli, La letter. calabrese, Cosenza 1965, pp. 112-15; A. Santini, Umanesimo e religios. di G. C., in Religioni oggi, XII (1967), pp. 26 ss.; G. Guasco, La poesia di G. C., in Nuovi Quad. del Merid., IV (1969), 2, pp. 50-58; L. Aliquò Lenzi-F. Aliquò Taverniti, Gli scrittori calabresi, I, Reggio Calabria 1955, ad vocem.