CASTELLANO, Giuseppe
Nato probabilmente prima del 1660 a Napoli, fu qui pittore di una certa notorietà, anche se di lui Bernardo De Dominici (Vite de' pittori, scultori ed architetti napoletani, Napoli 1742-1745), il quale perfino degli artisti minori del suo tempo dà notizie spesso dettagliate, stranamente non parla. Sta di fatto che, entrato nel gennaio del 1686 nella corporazione dei pittori napoletani - la "Confraternita di S. Anna e di S. Luca dei Pittori" al Gesù Nuovo -, l'anno seguente il C. ne fu eletto prefetto. Ricopri tale carica anche nel 1695 e nel 1700, mentre nel 1699, essendo stato pure eletto, "per sua modestia" non l'accettò, ma volle "cederla al sign.r Luca Giordano, et esso... esistere per primo assistente". Si trattò evidentemente di un atto di omaggio al maestro che, trovandosi in Spagna, doveva aver ottenuto qualche voto in meno e che il C. in effetti sostituì. D'altra parte egli fu abbastanza attivo nella corporazione, se durante il suo primo governo, nel 1687, promosse la fondazione del Monte dei maritaggi per le figlie dei pittori iscritti e se poi fu tra quelli che offrirono gratuitamente la loro opera per la decorazione della cappella della Confr.aternita: nel 1689, allorché con Paolo de Matteis ed altri ornò la volta, e dieci anni dopo, quando nella tribuna eseguì, accanto ad affreschi di altri pittori, i busti di S. Maria Maddalena de' Pazzi e di S. Caterina da Siena, di S. Pietro e di S. Paolo in monocromato e, nel catino, una Gloria di puttini e di angeli. Ed è significativo che nel 1710, allorché la decorazione della cappella venne rinnovata, questa conservò, per la loro qualità, la Gloria stessa e l'affresco centrale della volta del de Matteis.
Chiaramente suggestionato dall'intonazione classicheggiante che quest'ultimo aveva attinto a Roma direttamente dal Maratta, ma incapace di adeguarsi alla sua grazia ormai settecentesca, il C. fu essenzialmente un giordanesco. Sebbene di quando in quando tentasse di temperarne la foga, scadendo peraltro in una fredda maniera, egli rimase legato fino alla fine alla movimentata visione del Giordano, nella quale, del resto, anche attraverso il riecheggiamento dell'opera di Giovan Battista Benaschi, si innestava quella del Lanfranco. Rimase fermo, perciò, in una posizione che, senza dire del grande Solimena, al quale il C. pure si rifece, fu per qualche altro giordanesco più dotato solo di partenza. Ma, nonostante i limiti, per una certa scioltezza di accenti e un colorito caldo e luminoso, egli fu capace di qualche raggiungimento degno di nota, che spiega la fortuna di cui godette.
Le opere superstiti, giunte non sempre in buono stato, attestano una lunga attività svolta, oltre che a Napoli, in diversi centri della Campania e in particolare a Benevento. Qui, nella basilica di S. Bartolomeo si conserva la sua opera più antica, la grande tela del 1690 raffigurante, con una composizione affollata e mossa, Ottone III che chiede ai Beneventani il corpo dell'Apostolo. Della stessa epoca è anche La Madonna con i ss. Stefano e Francesco e il committente nella basilica di S. Michele di Piano di Sorrento, mentre sono del 1697 le tele con i SS. Francesco e Domenico e S. Lorenzo Martire, e del 1701 quella con S. Giuseppe da Copertino del convento dei frati minori di Benevento, provenienti dalla chiesa francescana di S. Lorenzo distrutta durante l'ultima guerra. Nell'anno 1704, poi, l'artista attese, insieme con Orazio Frezza, al completamento della decorazione della parte alta della navata nella chiesa napoletana di S. Maria delle Grazie a Caponapoli, lasciata interrotta dal Benaschi, e con una più viva adesione ai modi del maestro piemontese eseguì, nel quarto riquadro a sinistra, L'ossesso liberato nella città di Galilea, e nel secondo a destra Gesù e la Samaritana, giunti a noi purtroppo ridipinti. Dell'anno successivo è La Vergine col Bambino e santi della chiesa di S. Giovanni Battista di Montesarchio e dello stesso momento devono ritenersi La Madonna venerata dai dottori della Chiesa, S. Benedetto, s. Lucia e s. Caterina d'Alessandria, L'Annunciazione e santi della stessa chiesa e La Madonna col Bambino e santi della parrocchiale della vicina Apollosa. Del 1709 è La Madonna del Rosario della chiesa omonima di Pastene, frazione di S. Angelo a Cupolo, nella cui parrocchiale è La Visitazione, di poco posteriore. Nel 17113 Poi, il C. dipinse per l'Annunziata di Benevento il S. Ciriaco e forse anche allora il S. Cristoforo, che, per larghezza e vigore di impianto e fluidità di colore, è tra le opere sue più significative. E degna di nota è anche l'Assunta, eseguita due anni dopo per la chiesa del Gesù della stessa città, ora nel Museo del Sannio, nella quale lo schema consueto della Vergine che sale al cielo circondata da un coro di angeli lasciando gli apostoli attoniti è avvivato da una luminosità dolcemente graduata che bene definisce le figure e rileva i ricchi panneggi. Alla parte alta del quadro si collega il bozzetto di un'Assunzione, destinata forse ad una volta, ora in collezione privata a Nizza. Del 1713 sono anche i quadri della chiesetta del Conserv. di S. Nicola a Nilo a Napoli con S. Tommaso che rivela il mistero della Trinità e La Madonna del Rosario (la cui data, per il cattivo stato di conservazione, era stata letta in passato 1700), e forse di un momento non lontano le tre tele del soffitto della navata mediana della chiesa di Sant'Agnello di Sorrento, raffiguranti l'Ultima Cena, la Trinità e La lavanda dei piedi, e l'altra dei depositi della Galleria nazionale di Capodimonte a Napoli, con Il sacrificio a Diana, l'unica di soggetto profano finora nota del pittore.
Nel 1720 il C. dipinse ancora La glorificazione della Vergine e I santi protettori della città per il rinnovato coro dell'Annunziata di Benevento, che, come si è visto e come risulta dal ricordo di numerosi altri dipinti andati perduti nella città stessa e in diverse altre località della archidiocesi beneventana, fu forse il principale centro dell'attività del pittore, grazie alla protezione del cardinale arcivescovo Vincenzo Maria Orsini. Ed è da ritenere che al seguito di questo, il quale il 29 maggio 1724 divenne papa Benedetto XIII, il C. si recasse a Roma. Dovette andarvi insieme con i personaggi della cerchia beneventana del nuovo pontefice, tra i quali erano altri artisti. È certo, comunque, che lì morì il 13 genn. 1725 (e non, come si era creduto, il 13 febbr. 1724), ma, a quanto risulta dalle ricerche finora compiute, prima che cominciasse ad operarvi.
Fonti e Bibl.: G. B. D'Addosio, Docc. inediti di artisti napol. dei secc. XVI e XVII dalle polizze dei banchi, in Arch. stor. per le prov. nap., XXXVIII (1913), p. 40; G. Sigismondo, Descr. della città di Napoli..., Napoli 1789, II, p. 84; B. Capasso, Mem. stor. della Chiesa sorrentina, Napoli 1854, p. 434; G. B. Chiarini, Aggiunzioni a C. Celano, Not. del Bello e dell'Antico e del Curioso della città di Napoli [1856-1860], Napoli 1970, I, p. 613; II, p. 1129; G. Filangieri di Satriano, Descriz. storica e artist. della chiesa e del convento di S. Maria delle Grazie a Caponapoli, Napoli 1888, p. 216; R. Carafa d'Andria, Di alcune opere d'arte conservate negli ospedali orfanotrofi ed ospizi di mendicità di Napoli, in Napoli nobilissima, III (1894), pp. 180-182; G. Ceci, La Corporazione dei pittori, ibid., VII (1898), pp. 8-13; M. Rotili, L'arte nel Sannio, Benevento 1952, pp. 126 s.; F. Strazzullo, La Corporazione dei pittori napoletani, Napoli 1962, pp. 7, 9-11, 25, 26, 28; M. Rotili, IlMuseo del Sannio, Roma 1967, p. 23; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VI, p. 144.