CAVALLI, Giuseppe
Figlio di Daniele, avvocato, e di Mariannina Cairelli, nacque a Lucera (Foggia) il 29 nov. 1904, gemello di Emanuele; studiò a Roma, dove la famiglia si trasferì nel 1921 e qui frequentò il liceo classico e poi l'università, laureandosi in giurisprudenza nel 1929 e facendo quindi pratica in uno studio legale. Dal 1935 si trasferì a Senigallia (Ancona), dove abitò fino alla morte, svolgendo la professione di avvocato, ma dedicandosi contemporaneamente alla fotografia, sia come operatore, sia come critico e animatore culturale, emergendo nel mondo fotoamatoriale italiano a partire dal 1940.
Il sodalizio dei C. con il fratello pittore Emanuele ebbe certamente molta importanza nella formazione estetica del fotografo, che cercò sistematicamente di riflettere nella sua opera, anche quella saltuaria di critico, molte istanze programmatiche indicate dalla scuola tonale romana. Lo stretto rapporto con il fratello, culturale oltre che affettivo, continuò anche dopo la partenza di entrambi da Roma. Si incontrarono ripetutamente a Firenze, ampliando un dibattito sui rapporti tra pittura e fotografia, che si rivelò in seguito fondamentale, ed al quale parteciparono, tra gli altri, Vincenzo Balocchi, Alex Franchini Stappo e Giuseppe Vannucci Zauli, tutti toscani, impegnati, specialmente gli ultimi due, in un riesame dei problemi estetici della fotografia, che cercarono di definire nel 1943 in un sintetico ma lucido saggio in cui vennero individuati alcuni principi tecnici ritenuti specifici della fotografia ("istantaneità, momento, resa"), per avviare uno studio sul linguaggio fotografico.
Questa formula estetica era già stata acquisita spontaneamente nell'opera dei C., ed anzi alcune sue fotografie vennero allora assunte come modello ed esempio emblematico dai due giovani studiosi, che le utilizzarono come illustrazioni del loro volume.
"Quando mi appassionai molti anni fa di fotografia [mi resi conto] che essa aveva, sì, fortissime possibilità di espressione ma, salvo le solite eccezioni onorevoli, i fotografi italiani erano in condizioni di notevole inferiorità rispetto ai cultori delle altre arti in quanto a gusto e a studio", scriveva il C. nel 1955 (Arch. Zannier); e a Firenze egli definì la sua ideologia della fotografia, che si caratterizzò in seguito sempre di più nel "geometrismo" della struttura dell'immagine, affidata a soggetti spesso irrilevanti in quanto tali, ossia senza pretese referenziali significative, che il C. visualizzava in fotografie dal tono "alto" (l'highkey degli americani), di una grande luminosità, che all'estero piacquero subito e vennero chiamate "mediterranee". Queste bianche fotografie del C. per, diversi anni connotarono addirittura la fotografia italiana, nei salons e nelle riviste specializzate mondiali.
Nel 1942, dopo avere pubblicato una cartella di fotografie, avviando la collana "Immagini" dell'Istituto italiano d'arti grafiche di Bergamo (1940), il C. precisò ulteriormente le sue ricerche visive e le sue idee sulla fotografia, anche mediante un continuo dialogo culturale con alcuni fotografi dei quali condivideva il pensiero e lo stile: Federico Vender, Ercole Marelli, Walter Faccini, di Milano; Mario Finazzi, di Bergamo; Ferruccio Leiss, di Venezia. Un dialogo che venne condotto tra Senigallia e, soprattutto, Firenze presso il fratello Emanuele, dove incontrava i colleghi toscani.
Assieme a questi amici realizzò (1942) un libro, Otto fotografi italiani d'oggi che, pur nella sua schematicità, assunse il valore di manifesto ideologico di un gruppo che si opponeva sia al romanticume pittorialista, sia alle retoriche formule della fotografia fascista, per esprimere piuttosto un concetto di fotografia "pura", semplice nella forma, sempre essenziale e rigorosa, e dal tono "alto", lattiginoso, fattori questi che attribuivano all'immagine un valore estetico, estraneo al soggetto, ma determinato piuttosto dal "modo" in cui questo era stato visualizzato fotograficamente.
Nella ricerca di uno "specifico fotografico", iniziata in America da Stieglitz, poi da Strand e Weston, e in Europa soprattutto da MoholyNagy e da Man Ray, il C. svolse in Italia un ruolo molto importante individuando modelli che rimarranno costanti, come risulta dalle sue immagini pubblicate nel volume degli Otto fotografi: una serie di quattro nature morte di piccoli oggetti, ripresi da vicino, che, allontanati da un contesto, assumono valori metafisici, in sintonia con certa pittura dell'epoca.
Il lirismo fu sempre alla base delle ricerche del C., tese a sintesi poetiche, nell'esclusione del documentarismo, che venne da lui considerato come un elemento funzionale alla fotografia ma non creativo, secondo il tradizionale dibattito sull'artisticità del mezzo, considerato ancora meccanico e riproduttivo, se applicato all'informazione, come nel caso del fotogiornalismo, dal C. perlo più detestato.
Durante gli anni della seconda guerra mondiale, il C. si impegnò con Finazzi, Vender e Leiss, a mettere in evidenza e a chiarire il concetto di fotografia pura da lui sostenuto, e nel contempo si inserì in gruppi d'avanguardia, come quello che diede vita all'annuario Fotografia dell'Editoriale Domus, nel 1943, dove il C. fu presente con due immagini, tra cui Bambola cieca di evidente ispirazione metafisica.
Nell'immediato dopoguerra, durante un incontro a Rimini con i suoi vecchi amici, in occasione di una mostra fotografica, nacque l'idea di istituire un gruppo, che potesse agire promozionalmente nei confronti del nuovo concetto di fotografia proposto specialmente dal C., affinché questo "divulgasse seriamente e senza schemi preconcetti cultura e arte della fotografia" (Arch. Zannier); nacque così il gruppo fotografico La Bussola, istituito ufficialmente nell'aprile 1947.
Il testo del "manifesto" venne scritto dal C. e fu firmato, oltreché da lui, da Mario Finazzi, Ferruccio Leiss, Federico Vender e Luigi Veronesi. In esso vennero ribadite le istanze del gruppo "degli otto": "Noi crediamo alla fotografia come arte … Chi dicesse che la fotografia artistica deve soltanto documentare i nostri tempi, commetterebbe lo stesso sorprendente errore d'un critico d'arte o letterario, che volesse imporre a pittori o poeti l'obbligo di trarre ispirazione da cose ed avvenimenti determinati e solo da quelli, dimenticando, con siffatta curiosa pretesa, l'assioma fondamentale che inarte il soggetto non ha nessuna importanza" (cfr. Ferrania, 1947). Il riferimento all'estetica crociana risultava evidente; fra i fotografi l'opposizione venne soprattutto da parte dei neorealisti.
Alfredo Ornano, tra i tecnici più importanti della nostra storia fotografica, già direttore dell'Agfa-Italia e allora redattore di una nuova rivista specializzata, Ferrania, pur aderendo concettualmente a La Bussola, preferì rimanerne estraneo e non firmò il breve appello ideologico dell'aprile 1947, pubblicato nel maggio 1947 appunto su Ferrania.
Il gruppo La Bussola ebbe notevole influenza in Italia, specialmente negli ambienti fotoamatoriali, ma fu in effetti una "scuola" di estetica fotografica aperta a tutti, anche tramite manifestazioni espositive e pubblicazioni curate da questi fotografi "puristi", in continua dialettica con i fotogiornalisti e i neorealisti, tra cui in prima fila i membri dell'Unione fotografica, capeggiata da Pietro Donzelli.
Il C. continuò nella sua attività promozionale per una "fotografia artistica" improntata ai suoi stilemi (high-key, geornetrismo, essenzialità della composizione), anche mediante una intensa attività pubblicistica sull'estetica fotografica dispersa soprattutto nelle riviste specializzate dei settore (Ferrania, Fotografia, La Bussola, Il Progresso fotografico, Vita fotografica italiana, Il Corriere fotografico). Nel contempo, fondò e diresse un altro gruppo, il MISA di Senigallia (1954), in cui confluirono molti giovani fotografi di talento, tra cui Mario Giacomelli, Alfredo Carnisa, Piergiorgio Branzi, che però ben presto si orientarono su linee di ricerca per molti aspetti piuttosto lontane dalla poetica del Cavalli.
Il C. morì a Senigallia il 25 ott. 1961.
Il C. ebbe numerosi riconoscimenti, come fotografo e come critico, tra cui la distinzione internazionale di Excellenee della Fédération international de l'art photographique. Tenne molte personali: Rimini, Ancona, Milano (1940), Venezia e Firenze (1948 e 1951), Genova, Roma (1952). Dopo la sua morte, sono state realizzate alcune antologiche: a Senigallia e Lucera (1964), a Osimo (1974), ancora a Senigallia nel 1979 e a Lucera nel 1980. Partecipò, tra l'altro, alle seguenti rassegne internazionali di fotografia: Mostra de arte fotografica, Lisbona 1941; "Photokina", Colonia 1951; "Subjektive fotografie", Saarbrücken 1952, "là Bussola Photography Group", Londra 1952; "IV photo Biennaie", Bema 1957; "Venezia '79 - La fotografia", Venezia 1979; "Les réalismes", Parigi 1980. Ha pubblicato una cartella di fotografie: Immagini, Bergamo 1940. Varie sue immagini sono inoltre apparse in pubblicazioni specifiche e in annuari, tra cui: Otto fotografi italiani d'oggi, Bergamo 1942; Fotografia, Milano 1943; Il Progresso fotografico, maggio 1951, n. 5; Il Corriere fotografico, 1952, n. 7, Fotografia, 1953, n. 2, Nuova fotografia italiana, Milano 1959; Il dopoguerra dei fotografi, Bologna 1985.
Le opere del C. sono conservate a Lucera (Foggia) presso la famiglia.
Fonti e Bibl.: Venezia, Arch. Zannier, nota autografa e autobiografia del C. datata 5 luglio 1955; A. Franchini Stappo-G. Vannucci Zauli, Introduzione per una estetica fotografica, Firenze 1943, p. 172; Il gruppo fotografico "La Bussola", in Ferrania, maggio 1947, n. 5, p. 5; G. Turroni, Nuova fotografia italiana, Milano 1959, ad Indicem; C. Marra, in La metafisica: gli Anni Venti (catal.), II, Bologna 1980, pp. 703 s. e passim; F. Alinovi, in Annitrenta (catal.), Milano 1983, p. 504 e passim; I. Zannier, Storia della fotografia italiana, Bari 1986, ad Indicem.