CECCARELLI, Giuseppe (Ceccarius)
Nacque a Roma il 26 genn. 1889 da Eugenio e da Clelia Raffaelli, commercianti, e frequentò, fra il 1904 e il 1909, il liceo E. Q. Visconti dove conobbe fra gli altri A. Baldini e B. De Ritis, stringendo con loro una duratura amicizia. Sempre agli anni della scuola risale la prima manifestazione del suo atteggiamento politico, con l'adesione al circolo giovanile della Lega navale italiana che, nella difesa della marina militare, esprimeva una chiara volontà nazionalistica. Allo scoppio della guerra mondiale fu al fronte come ufficiale di fanteria; fatto prigioniero, fu deportato nel campo di Mauthausen, dove conobbe E. Gadda e B. Tecchi. Rientrato a Roma, alla fine del conflitto, si trovò di fronte a serie difficoltà economiche, con una figlia (nata dal matrimonio con la ex compagna di scuola Clara Villa, morta di parto), risposatosi da poco (con Lavinia Mengarelli, da cui, avrà gli altri due figli), e senza l'appoggio finanziario della famiglia (il negozio del padre era fallito nel 1917). Così nel 1919 si impiegò presso la Società Ilva. Il C. vi percorse una brillante carriera, diventando presto direttore centrale dell'ufficio di rappresentanza nella capitale. Nel 1955 preferì passare all'incarico di consulente per il settore della stampa aziendale, ricoperto fino al 1963.
La sua attività all'Ilva fu duplice. Da un lato, fu competente funzionario nei suoi incarichi di pubbliche relazioni con gli esponenti del mondo politico e ministeriale romano; dall'altro, uomo di cultura, promosse varie iniziative, fra cui la stampa aziendale. Nel secondo dopoguerra, come membro del comitato di redazione, si occupò della rivista Noi dell'Ilva, divenuta poi nel 1960 Rivista Italsider, chiamando a collaborare intellettuali estranei all'ambiente industriale quali, ad esempio, il vecchio amico "romanista" A. Baldini. Nel 1926, sempre per l'Ilva, come regista e in collaborazione con l'operatore E. Fontana, aveva diretto Col ferro e col fuoco, la prima esperienza italiana di documentario industriale. Il negativo, ritrovato nel 1951 dal figlio Luigi e riedito, è depositato ora presso l'archivio della Finsider.
Il C. aveva anche iniziato, fin dall'immediato primo dopoguerra, a coltivare metodicamente il suo profondo interesse per Roma, le sue tradizioni, la sua cultura. Fu così fra i promotori del gruppo dei "Romani della Cisterna" (dal nome del ristorante dove erano soliti riunirsi), cui aderirono fra gli altri A. Jandolo, F. Mastrigli, A. Muñoz, oltre ovviamente a E. Petrolini e a Trilussa, col fine di divulgare, nelle sedi più diverse, il culto di Roma e della sua storia. Fra il 1933 e il 1934 da questo nucleo iniziale nacque il gruppo dei "romanisti", di cui il C. divenne presidente nel 1951, alla morte di Jandolo. Architetti come G. Giovannoni, poeti come M. Dell'Arco e L. Zanazzo, raffinati intellettuali come S. D'Amico, U. Ojetti e P. P. Trompeo, rappresentarono col C. fin d'allora il gruppo, in un comune riferimento (al di sopra delle diversità culturali e politiche che li contraddistinguevano) a un indifferenziato ma appassionato omaggio a Roma. In quest'ambito il C. strinse amicizia con G. Bottai, il quale, divenuto nel 1935 governatore di Roma, lo chiamò quale consultore (carica che il C. ricoprì fra il 1935, e il 1936, e poi, governatore il principe G. G. Borghese, nel 1942-43).
Nel 1919 il C. aveva iniziato anche una attività di pubblicista (che proseguì fino agli ultimi anni di vita, per complessivamente più di duemila articoli) prima sulla Idea nazionale, poi dal 1925, al 1943 sulla Tribuna, e dal 1945 su Il Tempo (oltre chesu riviste come l'Illustrazione italiana, la Nuova Antologia, l'Illustrazione vaticana,l'Almanacco dei bibliotecari, e altre), occupandosi principalmente di argomenti storici, artistici e archeologici riguardanti Roma.
Erano anni in cui il dibattito e il quadro politico non permettevano estraneità né indifferenza, e il C., pur senza calorosa partecipazione, ma sulla scia delle sue convinzioni nazionalistiche (dal 1920 al 1923 fu consigliere e deputato provinciale per il partito nazionalista), aderì al partito fascista, iscrivendovisi nel 1919 e ricoprendo la carica di, vicefederale di Roma nel 1925. A questa partecipazione del C. non fu estranea anche la volontà del fascismo di recuperare le presunte tradizioni della latinità e della grandezza di Roma. Se sul piano della città, all'aspirazione a risolvere le necessità igieniche, logistiche e dinamiche di una moderna capitale si univa il progetto di una fisionomia "imperiale" che proseguisse la grande tradizione della Roma dei Cesari e dei papi rinascimentali, sul piano ideologico si promuoveva quel mito di Roma che alle nuove aspirazioni imperialistiche abilmente conciliasse eredità retoriche e accademiche, tradizioni patriottiche, sentimenti cattolici.
Un risultato fu forse lo stesso Istituto di studi romani, alla cui fondazione, nel 1925, promossa da C. Galassi Paluzzi direttore della rivista Roma, il C. aderì prontamente.
Al di là dell'evidente validità dei suoi scopi scientifici, l'Istituto trovava infatti consensi e appoggi proprio in quel clima culturale, promosso e incoraggiato dal fascismo, che tendeva a promuovere "una rinascita dello spirito romano e latino in Italia e all'Estero, facendo conoscere e valorizzando, con severo metodo scientifico, l'immenso e fondamentale contributo elargito da Roma al mondo civile" (C. Galassi Paluzzi, L'Istituto di studiromani,in F. Sapori, Scrittori di Roma, Roma 1938, p. 424).
L'Istituto si muoveva sostanzialmente in tre direzioni: ricerca e produzione scientifica (con congressi, studi, riviste e rassegne bibliografiche); organizzazione metodica degli studi romani (con azioni per la salvaguardia e il ripristino di monumenti romani, sistemazioni di zone archeologiche, studi di carattere urbanistico, creazione di musei); divulgazione scientifica (con corsi superiori di studi romani su argomenti storici, artistici e archeologici, con cieli annuali di conferenze e, soprattutto, con mostre storico-artistiche).Dal 1925 al 1944 il C. fu membro della giunta direttiva dell'Istituto. Successivamente, quando nel dopoguerra questo venne regolato con un nuovo statuto, che prevedeva un corpo accademico di membri ordinari e corrispondenti, il C. venne nominato, nel 1952, membro ordinario; dal 1961 al 1970 infine fu consigliere dell'organo direttivo. Collaborò, fino al 1942, alla rivista Roma, legata all'Istituto anche, se fondata alcuni anni prima (nel 1922); quando, nel 1941 nacque la rivista Studi romani, sin dal secondo numero, in appendice alla Strenna dei Romanisti,vi tenne la rubrica "Segnalazioni bibliografiche romane", che rappresenta l'inizio della sua fondamentale Bibliografia romana, edita prima dalla casa editrice Staderini, e successivamente, dal 1954, stampata a cura dell'Istituto di studi romani.
Già in precedenza, negli anni 1926-1928, Galassi Paluzzi aveva fatto uscire presso la casa edit. Olschki di Firenze una Bibliografia romana. Bollettino metodico critico delle pubblicazioni italiane e straniere riguardanti Roma, riprendendo poi nel 1939 l'iniziativa con la pubblicazione del Bollettino sistematico di bibliografia romana, fra i cui collaboratori il C. compariva per le sezioni "Dialettologia e popolaresca" e "Rassegna della stampa quotidiana". Fu però per iniziativa e ad opera esclusiva di quest'ultimo che nell'anno 1943 furipresa la rassegna bibliografica di tutto ciò che in Italia e all'estero veniva pubblicato su Roma. Il materiale raccolto, censito e riportato è vastissimo; il catalogo per soggetti, dal C. redatto nel corso di tutta la vita con puntiglioso lavoro, è ora presso la Biblioteca nazionale di Roma insieme con il ricchissimo fondo di circa tremila volumi di autori italiani e stranieri di soggetto romano, di circa cinquemila opuscoli, di più di centomila ritagli di giornali, oltre alle collezioni di centinaia di periodici. La catalogazione rivela la pluralità di interessi del C., coscienzioso cultore e raccoglitore di cronache e curiosità: attraverso voci come "biblioteche", "briganti", "caffè", "danze", "dialetti", "osterie", "selci" o "tombe", pur sfiorando a volte una superficiale aneddotica, giunge però spesso a una nuova strutturazione dei problemi della storia delle tradizioni popolari romane e laziali.
Per l'Istituto tenne una serie di conferenze, di cui alcune pubblicate in volume, e fra il 1933 e il 1935 quando all'Istituto fu destinata una rubrica radiofonica, vi partecipò con trasmissioni su usanze romane. Attorno all'attività dell'Istituto il C. realizzò anche altre iniziative, relative ad aspetti della storia di Roma specie dei secoli XVII-XIX. Iniziò, come vice presidente della Commissione straordinaria per la provincia di Roma, nel 1927, con la mostra a palazzo Valentini del costume della provincia di Roma, mostra "plastico-pittorica", come la definì, realizzata con la collaborazione dei suoi amici pittori romani O. Amato e A. Barrera, e proseguì poi nel dopoguerra (quando ilMuseo di Roma, la cui fondazione aveva patrocinato sin dal 1929, trasferito a palazzo Braschi, divenne una sede ideale per simili iniziative), con la mostra (1953) della fotografia a Roma dal 1840 al 1915 (di cui organizzò la sezione "Usi e costumi"), con quelle su B. Pinelli (1956), su Belli e la Roma del suo tempo (1963), e altre. Nel 1936, infine, aveva fondato, insieme con E. Amadei e con il Muñoz,la rivista L'Urbe, della quale divenne nel 1960 direttore.
Le nascenti contraddizioni tra il "viaggio" intellettuale del C., e il senso che veniva assumendo la ripresa fascista del mito di Roma, risaltano durante la sua carica di consultore del governatorato, quando, lui appassionato cultore della "vecchia" Roma, si trovò a partecipare in prima persona alla "ristrutturazione" urbanistica di quegli anni.
Corresponsabile della distruzione di una parte dei vecchi rioni Parione e Sant'Eustachio, il C. non potè non venirne cogliendo gli aspetti devianti di retorica politica. "Batte il piccone tra Corso Vittorio Emanuele e Via di Tor Sapienza dal 21 aprile dell'anno XIV, allorché il Duce, salito sul terrazzo della casa che fu di Tagliacozzo, di fronte alla Chiesa di Sant'Andrea della Valle, diede risoluto il "via" alle demolizioni, per far luogo al corso del Rinascimento", scriveva in Capitolium (XII [1937], 2, p. 90), per poi dilungarsi però (dopo aver omaggiato come di dovere all'"opera risanatrice del fascismo") sulla storia e i piccoli negozietti di quelle vie, e terminare, prima dell'ultimo inno alla "mirabile sintesi architettonica futura", con palese rimpianto: "scompaiono fra i calcinacci e la polvere altri ricordi universitari [si riferisce a via della Sapienza], rimangono nella storia e nelle cronache i documenti del fasto e della munificenza di Clemente XI, che vi abitò da cardinale" (p. 95). La sua opera La "Spina" dei Borghi, pubblicata a Roma nel 1938 con i disegni di L. Cartocci, valida e appassionata ricostruzione della storia di quel quartiere, attesta in fondo la sua resa alla politica urbanistica del fascismo, contraddittoria alla sua consapevolezza di quale enorme documento storico fosse l'antico assetto edilizio della capitale. Politica urbanistica, quella del fascismo, la cui connotazione scenografica era del resto prosecuzione di orientamenti ottocenteschi, e che corrispondeva a tutto un indirizzo della cultura internazionale: si pensi al monumentalismo di coeve architetture urbanistiche tedesche e sovietiche, ed ai progetti lecorbusieriani di sventramento a Parigi e di grattacieli "cartesiani".
Del C. restano, oltre al contributo promozionale, una serie di strumenti fondamentali (quali la ricerca bibliografica ed il relativo fondo) e vari validi saggi in cui può essere colta una nuova, più attenta e fertile, tipologia di ricerca storica (quali ad esempio, quelli stampati a Roma su alcune famiglie romane: I Sacchetti, 1946; I Braschi, 1949; I Massimo, 1954; o la notevole Strada Giulia, 1940). U contraddizione intellettuale implicita nel suo consenso al potere, il suo stesso gusto per l'erudizione (valida prosecuzione di una matrice ottocentesca, ed insieme evasione e ambigua accettazione della realtà politica) sono tipiche di una tradizione culturale del moderatismo conservatore italiano. Ma va osservato che il suo appassionato omaggio a Roma non fa tanto il culto dell'eroismo e insieme della gerarchia monolitica, né stimolo "storico" a ideali di potenza e di gloria; non fu tanto il culto di una "romanità" e di un classicismo che fosse ricupero di un ordine irrecusabile e prestabilito, e di una certezza disciplinare di modelli; quanto fu rivolto alla "romanità" di uno specifico popolare che sottintendeva, a suo modo, adesione populistica alla libertà dell'individuale.
Morì a Roma, nella sua casa dell'Aventino, punto di incontro per tanti cultori delle tradizioni romane (lo stesso P. P. Pasolini gli si rivolgeva per pareri di "linguista romanesco"), il 17 febbr. 1972.
Fra le altre cariche ricoperte, si ricordano quelle di accademico cultore dell'Accademia nazionale di S.Luca (dal 1925), della Pontificia Accademia dei virtuosi del Pantheon, presidente del Comitato romano del Regio Istituto per la storia del Risorgimento, presidente del Comitato direttivo del Regio Museo emografico di Tivoli, socio della Società romana di storia patria, membro del Consiglio nazionale delle corporazioni, vice presidente della Federazione fascista dei dirigenti d'azienda industriali, e, nel secondo dopoguerra, membro della Commissione nazionale per le tradizioni popolari, consigliere dell'Oratorio Filippino (dal 1951), socio della Romana Accademia degli Arcadi (dal 1952, con il nome di Ostilio Cisseio), e membro del Consiglio direttivo della stampa romana. Nel 1965, inoltre, ricevette il premio "Cultori di Roma".
Bibl.: Per una bibliografia completa del C. si veda quella di E. Amadei, in L'Urbe, XXXV (1972), 3-4, nonché l'esponente "Ceccarius" nei volumi della Bibliografia romana. Per un primo quadro della politica urbanistica perseguita dal regime fascista, sufficiente l'opera di I. Insolera, Roma moderna, Torino 1971, e Le città e il fascismo, a cura di M.Sanfilippo, in La Rivista, I(1978), 2-3. Si veda inoltre La nuova Consulta di Roma, in Capitolium XVII (1942), 3-4, p. 67; G. Collini, Ceccarius, sossantasei anni, romano, ibid.,XL(1965), 3, pp. 154-57; il numero monografico dedicato al C. dalla rivista L'Urbe, XXXV(1972), 3-4; B. Palma, È morto Ceccarius, in Il Tempo, 18 febbr. 1972; È morto il romanista Ceccarius, in Il Messaggero, 19 febbr. 1972; E. Amadei, Un po' di storia dei Romanisti, in Strenna dei Romanisti, XXXIII(1972), pp. 7-11; Ceccarius, ibid., XXXIV (1973), omaggio di firme autografe.