CENCELLI, Giuseppe
Nacque il 16sett. 1819 a Fabrica di Roma (Viterbo) dal conte Carlo e da Anna Leali; laureatosi in giurisprudenza si dedicò alla professione forense. Nel 1848, sottotenente di cavalleria del corpo pontificio, combatté nel Veneto, fu ferito negli scontri di Treviso e Vicenza e promosso tenente. Partecipò poi alla difesa della Repubblica romana, alla testa di uno squadrone di cavalleria sul confine meridionale nella zona di Terracina, e conseguì il grado di capitano. Vigilato dopo la restaurazione papale, ma non colpito da particolari provvedimenti, si ritirò nelle sue proprietà dedicandosi al miglioramento dei fondi e in parte alla professione legale. Sposò nel 1858 Albina Polidori. Col congiungimento del Lazio all'Italia fu eletto primo deputato del collegio di Viterbo per l'XI legislatura e rieletto per la XII (1874) e la XIII (1876), militando nella Sinistra costituzionale.
Attaccò il governo Lanza per la accentratrice abolizione delle province laziali, declassate a circondari dell'unica provincia di Roma, e per gli aggravi fiscali. In particolare propose il rinvio della perequazione fondiaria nel Lazio, in vista di una contestuale unificazione dei sistemi d'esazione della tassa sul macinato, il cui ammontare superava nella regione, col sistema degli appalti, la media nazionale. Su questi temi, nella tornata del 2 giugno 1871, ebbe un'aspra polemica col ministro delle Finanze Q. Sella e con R. Bonghi, il quale, recependo in parte le ragioni del C. e degli altri deputati laziali, presentò un emendamento, approvato dalla Camera, al disegno di legge sulla perequazione fondiaria per l'applicazione graduale nell'arco di un triennio. Nel 1872 si oppose alla legge forestale, che riteneva troppo vincolante per il Lazio. Queste posizioni s'inquadrano in un orientamento economico liberistico, costante mei programmi elettorali del C., insieme con la promozione autonomistica degli enti locali a maggiori responsabilità e possibilità operative. Questa esigenza era sentita nel Viterbese, dove la perdita dell'autonomia provinciale e i controlli delle autorità tutorie sui comuni (privati di cespiti a favore dello Stato) erano aggravati dall'assenza dei collegamenti ferroviari, con un conseguente disagio che si ripercuoteva sulla funzionalità dell'organismo municipale del capoluogo. A questi problemi locali e soprattutto all'urgenza della ferrovia interessò il Consiglio provinciale romano, di cui fu eletto a far parte fin dal 1870 e di cui alla fine del 1873 divenne pfesidente, esercitando la carica, con successive rielezioni, fino al 1881 e restando consigliere fino al 1889. Con l'avvento della Sinistra al potere richiamò sulla Tuscia l'attenzione dei nuovi governanti, in particolare del ministro dei Lavori Pubblici G. Zanardelli, che, da lui invitato, visitò Viterbo al principio del 1877.
Nominato senatore nel 1879, il C. partecipò assiduamente ai lavori parlamentari; fu segretario del Senato dalla XVI alla XIX legislatura (dal 1886 al 1896), e membro e presidente di commissioni (ad es., della commissione di vigilanza sulla Cassa depositi e prestiti).
Nel 1881interveniva sul disegno di legge relativo al concorso dello Stato per l'ampliamento della capitale, facendo presenti le necessità di immobili per il municipio di Roma. Intervenne anche sulle modifiche alla legge provinciale e comunale presentate dal Crispi, sostenendo, nella tornata del 1° dic. 1888, di doversi limitare l'elettività dei sindaci ai capiluoghi di provincia e di circondano e ai centri con popolazione superiore ai 10.000 abitanti; di qui l'emendamento, da lui proposto ed approvato dal Senato, all'art. 50 del disegno di legge, che escluse dall'innovazione i capiluoghi di mandamento.
Nella vita politica viterbese, inasprita dopo l'introduzione dello scrutinio di lista, l'ampliamento del suffragio e l'ingresso d'ambiziosi protagonisti, il C. rappresentò un elemento di signorilità e correttezza.
Era in rapporti col "Tempio", un circolo liberale locale, così detto dai fautori per il tono serio e raccolto, ma dagli avversari per il chiuso esclusivismo consortile. Questo ambiente, tendenzialmente inoderato, proprio tramite il C. poteva, nel clima del trasformismo, intendersi con esponenti nazionali della Sinistra costituzionale. Fu vicepresidente per il Lazio della Società generale dei viticoltori italiani.
Morì a Fabrica il 22 marzo 1899.
Fonti e Bibl.: Oltre all'archivio familiare a Roma, si vedano gli Atti del Consiglio provinciale di Roma (anni 1870-1889); gli Atti Parlamentari. Camera dei deputati. Discussioni, legislature XI, XII, XIII (1870-1879), ad Indices; gli Atti parlamentari. Senato. Discussioni, legislature XIII-XX (1879-1899), ad Indices; e la collez. della Gazzetta di Viterbo (specialmente i numeri del 29 giugno 1872, 1° febbr. 1873, 31 ott. 1874, 28 ott. 1876). Si veda poi T.Sarti, Il Parlam. subalpino e nazionale, Terni 1890, pp, 268 s.; A.De' Gubernatis, Piccolo diz. dei contemp. ital., Roma 1895, p. 221; A. Malatesta, Ministri, deputati e senatori, I, Roma 1940, pp. 239 s.; M. Signorelli, Le famiglie nobili viterbesi nella storia, Genova 1968, p. 187; B. Di Porto, Il primo ventennio di Viterbo ital, in Annali della libera Univ. della Tuscia, IV(1972-73), 3-4, pp. 14-16, 18 s.; Id., Ed. Arbib deputatodi Viterbo, in Rass. mensile di Israel, XL (1973), pp. 429-443; V. Spreti, Encicl. storico-nobiliareital., II, pp. 415 s.