CENZATO, Giuseppe
Nato a Lonigo, in provincia di Vicenza, il 20 marzo 1882 da Luigi e Teresa Gaspari, si formò a Milano, ove si laureò ingegnere elettromeccanico nel 1904. Per interessamento di G. Belluzzo, che lo aveva conosciuto e apprezzato al politecnico milanese, dopo la laurea fu assunto dalla ditta Gadda & C., che costruiva a Milano macchine elettriche, tra cui una turbina idraulica e a vapore su brevetto Belluzzo. Per conto della Gadda nel 1905 soggiornò a Baden presso la Brown Boveri, dove ebbe modo di stabilire proficue relazioni umane e di maturare un'esperienza a livello europeo sulla istallazione e attivazione di turbine, dinamo e trasformatori. Nel 1906 fu inviato dalla Gadda a Napoli per curare l'impianto di una turbina a vapore Belluzzo della potenza di 2.000 kW per conto della Società napoletana per imprese elettriche (S.N.I.E.) nella centrale termoelettrica della Bufala, situata nel centro del vecchio quartiere industriale che la legge speciale 8 luglio 1904 n. 351 aveva trasformato in zona franca, accordando esenzioni e agevolazioni fiscali alle imprese di nuovo insediamento ed alle vecchie ristrutturate.
La breve permanenza nel capoluogo campano consentì al C. di prendere un primo contatto con la realtà industriale napoletana e di scoprire le enormi potenzialità di mercato che si presentavano alle imprese produttrici e distributrici di elettricità, nel clima euforico suscitato dalla legge sul "risorgimento industriale" di Napoli. L'iniziativa della S.N.I.E. era stata presa nel quadro di un potenziamento della sua capacità produttiva in previsione dell'accresciuta domanda e per fronteggiare la concorrenza dell'Ente autonomo Volturno, il quale era stato costituito di recente (1905) e posto sotto il controllo del comune di Napoli al fine di svolgere azione calmieratrice contro il monopolio elettrico privato nel settore della produzione e distribuzione dell'energia elettrica. Il soggiorno napoletano gli offrì anche l'occasione per rivelare le sue capacità tecniche a Maurizio Capuano, uomo di fiducia dei finanzieri ginevrini che controllavano, attraverso la Société financière italo-suisse, la Società meridionale di elettricità (S.M.E.), la Società italiana di elettrochimica (produzione con processo elettrolitico di alluminio, soda e cellulosa nelle fabbriche di Bussi in provincia di Pescara), la Società napoletana di illuminazione e riscaldamento a gas, la Società generale per illuminazione, e la S.N.I.E.
Nel 1907 passò alle dipendenze del Tecnomasio Brown Boveri di Milano, che aveva assorbito la Gadda. Fu al Tecnomasio che l'ing. Ulisse Del Buono si rivolse, sul finire del primo decennio del Novecento, a nome della S.M.E. per una ordinazione di trasformatori a 88.000 volt, che dovevano servire a trasportare dal secondo salto del Pescara a Napoli l'energia a una tensione non ancora sperimentata in Italia. In questa impresa il Del Buono fu affiancato dal C. in qualità di capo dell'ufficio impianti del Tecnomasio. La serietà e la perizia dimostrate dal C. indussero il Capuano a nominarlo direttore tecnico della S.N.I.E.
Fra le diverse società elettriche private operanti a Napoli e controllate dalla finanza ginevrina, la S.M.E. aveva acquistato una posizione di preminenza e già stava trasformandosi in una holding, che dettava legge alle altre società del settore. Perciò il C., pur direttore tecnico della S.N.I.E., curò per conto della S.M.E. la costruzione e la messa a punto della sottostazione di arrivo a Poggioreale dell'energia dell'elettrodotto Bolognano-Napoli, che si presentava tra i più lunghi in Italia (185 km) e alla tensione più elevata.
La nomina del C. a direttore amministrativo della S.N.I.E. avvenne dopo che la S.M.E., grazie al concorso finanziario non solo degli svizzeri ma anche della Banca commerciale e della Bastogi, annunziò, nell'assemblea straordinaria degli azionisti del 6 apr. 1914, l'aumento del capitale da dieci a cinquanta milioni e il consolidamento della sua posizione di comando rispetto alle altre aziende elettriche napoletane. Nel quadro di questa operazione il ruolo del C. era quello di controllare la gestione della S.N.I.E. e di ottenere il rispetto di quelle norme che regolavano i rapporti tra la S.M.E. e la consociata.
In seguito all'espansione dell'industria napoletana, stimolata dalla favorevole congiuntura bellica negli anni 1915-18, la domanda di energia crebbe, e la S.M.E. si trovò con una potenzialità produttiva che non reggeva all'aumento reale e previsionale della richiesta. Inoltre si trovò a fronteggiare anche la concorrenza dell'Ilva che, guidata da Max Bondi, si era lanciata anche nel settore elettrico ed era riuscita ad ottenere la concessione dell'energia idraulica dell'Aventino in Abruzzo e del Tanagro, affluente del Sele, a sud di Salerno. Le buone relazioni personali intercorrenti tra il responsabile della sezione impianti idraulici dell'Ilva, ing. Guido Fano, e il C. favorirono l'accordo tra Ilva e S.M.E. per lo sfruttamento in comune delle due concessioni e la costituzione nel 1919 della Società per le forze idrauliche del Mezzogiorno. Nello stesso anno il C. fu nominato direttore della S.M.E., carica che mantenne fino al giugno del 1928, accrescendo ulteriormente i suoi poteri nel 1925 quando gli fu conferita quella di direttore generale. Durante questo decennio il C. proseguì vigorosamente la politica del Capuano, estendendo a quasi tutto il Mezzogiorno quella posizione di monopolio che la S.M.E. era riuscita a conquistare in Campania. Dal punto di vista tecnico curò la congiunzione dei diversi impianti di produzione della S.M.E. (Pescara, Aventino, Lete, Matese, Tusciano e Tanagro), collegandoli con un sistema che consentiva lo smistamento dell'energia sull'una o sull'altra rete a seconda delle necessità. Intanto veniva affermandosi anche come esperto a livello nazionale dei problemi della tariffazione elettrica. Nel congresso dell'Associazione esercenti imprese elettriche, tenuto a Torino dal 9 al 12 ott. 1924, si fece portavoce della richiesta degli industriali elettrici di un aumento tariffario o, in compenso, di sussidi governativi e sgravi fiscali in vista della rivalutazione della lira, che si temeva avrebbe comportato una riduzione delle tariffe. Dopo la rivalutazione della lira, fu chiamato a far parte del comitato nominato dall'Unione nazionale fascista industrie elettriche, che si oppose con successo alla campagna ribassista. In questo periodo entrò nei consigli di amministrazione delle società elettriche create dalla S.M.E. nelle regioni meridionali per eliminare la concorrenza delle piccole aziende locali, e delle altre società di controllo, nelle quali la S.M.E. aveva partecipazioni, operanti in settori diversi (bonifica, irrigazione ed aratura elettriche, gas, acqua, trasporti su rotaia).
Poco dopo la sua designazione ad amministratore delegato della S.M.E., nel giugno 1928, sopraggiunse la grande crisi, e il C., pur proseguendo ad acquisire sistematicamente il controllo di tutte le fonti idrauliche del Mezzogiorno, sospese la esecuzione di molte centrali in progetto, preferendo acquistare energia dalla Terni. Continuò invece i lavori per la costruzione dell'invaso dell'Arvo sulla Sila, che fu ultimato nel 1932, mentre il primo lago artificiale silano, quello dell'Ampollino, era stato portato a termine, con la relativa centrale di Timpa Grande, nel 1927.
Agli anni della crisi risale anche la sua collaborazione con A. Beneduce, che era entrato nel consiglio di amministrazione della S.M.E. dopo aver assunto nel 1927 la presidenza della Bastogi. Data l'alta considerazione che questi nutriva per le doti del C. sia di amministratore sia di tecnico e selezionatore di quadri tecnici, lo volle consulente nel 1933 nell'opera di risanamento della Società idroelettrica piemontese (S.I.P.) che, liberata attraverso operazioni di scorporo delle aziende non elettriche, fu riordinata secondo il modello S.M.E. Come esecutori della nuova politica aziendale proposta per la S.I.P., il C. inviò a Torino due tecnici della S.M.E., l'ing. Luigi Selmo e l'avv. Attilio Pacces. In seguito i rapporti tra Beneduce e il C. diventarono ancora più cordiali, e non vi fu nuova società dell'I.R.I. e della Bastogi nel cui consiglio di amministrazione il C. non fosse chiamato, mentre l'I.R.I. attingerà i suoi quadri dirigenti dal vivaio della S.M.E. fino agli anni Cinquanta. Dei rapporti tra il C. e Beneduce trasse vantaggio anche la S.M.E., che nell'assemblea degli azionisti del 12 apr. 1939 dava l'annunzio dell'aumento del suo capitale a i miliardo e 125 milioni per rilevare il pacchetto di controllo I.R.I. dell'Unione esercizi elettrici (U.N.E.S.), in passato concorrente della S.M.E. in Abruzzo, nel Molise e nella Puglia settentrionale. Con questa operazione i competitori della S.M.E. nel Mezzogiorno scomparivano del tutto.
Alla vigilia del secondo conflitto mondiale il C. era uno degli uomini più influenti a Napoli, in campo economico e in quelli culturale e politico. Presidente dell'Unione fascista degli industriali della provincia di Napoli dal febbraio 1930, amministratore delegato e quindi presidente della S.M.E. dopo la morte di Orso Mario Corbino (23 genn. 1937), presente nei consigli di amministrazione di una trentina di società controllate direttamente o indirettamente dalla S.M.E., all'inizio degli anni Trenta si fece anche promotore di una più stretta collaborazione fra industria privata e accademia. Sul modello di un'analoga iniziativa presa dagli industriali elettrici nel 1926 a Milano - dove era stata creata la Fondazione politecnica italiana - egli costituì, il 20 apr. 1932, la Fondazione politecnica del Mezzogiorno, con sede presso la Scuola d'ingegneria di Napoli.
Aveva lo scopo "di promuovere lo sviluppo della cultura tecnica e delle attività industriali nel Mezzogiorno d'Italia" e "di assicurare la più ampia collaborazione tra la R. Scuola d'ingegneria di Napoli e i vari enti e gruppi tecnici del Mezzogiorno d'Italia" (Atti della Fondazione politecnica del Mezzogiorno, I,[1937], p. XVI). Fra i fondatori figuravano N. Romeo, l'artefice dell'Alfa Romeo e allora presidente a Napoli delle Officine ferroviarie meridionali, G. Postiglione, presidente dell'Acquedotto pugliese, e F. Giordani, accademico d'Italia e chimico di fama europea. La istituzione si reggeva con il contributo finanziario dei privati e delle industrie, ma la sovvenzione più cospicua veniva dalla S.M.E. Si deve ad una delle tante commissioni in cui la Fondazione fu divisa l'elaborazione del primo piano regolatore della città di Napoli approvato con legge 29 maggio 1939, n. 1208. La Fondazione si fece anche promotrice di una serie di indagini tecniche sulle diverse aree meridionali; queste, pur se venivano condotte in vista dei possibili interventi operativi della S.M.E., costituiscono l'indizio di un atteggiamento nuovo con cui si guardava ai problemi meridionali. Frutto di questa rinnovata attenzione al Sud fu la costituzione del Comitato di studi economici del Mezzogiorno presso l'Unione industriale fascista della provincia di Napoli, di cui fu organo la rivista Questioni meridionali, che il C. diresse col Giordani dal 1935, anno di fondazione, al 1939, anno di cessazione (nel primo anno fece parte della direzione anche G. Olivetti). Già nel titolo la rivista esprimeva la nuova consapevolezza delle molteplici contraddizioni, regionali e zonali, presenti nel Mezzogiorno.
Mussoliniano, come quasi tutti gli industriali, le scelte di politica interna ed estera del regime ne rafforzarono la fiducia nel fascismo. La compressione della classe operaia non poteva non essere apprezzata dal C., particolarmente sensibile al problema del costo del lavoro nell'economia aziendale; così come suscitava il suo entusiasmo la politica di favori verso l'industria elettrica dal fascismo proseguita sull'esempio dell'indirizzo governativo prefascista. Inoltre, l'impresa etiopica esaltava il ruolo di Napoli come "porto dell'Impero" e centro, di produzione di materiale bellico, con conseguente beneficio anche per la S.M.E. Infine, anche se il C. non si nascondeva gli enormi sprechi che l'autarchia comportava, ne valutava positivamente la portata in termini di indipendenza economica dell'Italia, indipendenza di cui le aziende elettriche sarebbero state preveggenti precorritrici. Tuttavia, persuaso che i tecnici dovessero essere reclutati sulla base delle loro capacità e promossi in rapporto allo spirito di dedizione all'azienda, senza guardare alle loro idee politiche che considerava affare privato, non esitò a reclutare quadri ebraici anche dopo l'entrata in vigore delle leggi razziali, e ad accettare nella Fondazione politecnica del Mezzogiorno l'ing. Giovanni Bertoli che aveva precedenti penali per attività clandestina comunista.
Soppressa la Camera dei deputati e istituita la Camera dei fasci e delle corporazioni (legge 19 gennaio del 1939 n. 129), a cui erano ammessi i gerarchi del partito fascista e i componenti il Consiglio nazionale delle corporazioni, il C., che di quest'ultimo era membro in qualità di presidente del Sindacato interprovinciale meridionale-tirreno della Federazione nazionale fascista esercenti imprese elettriche (Corporazione dell'acqua, del gas e dell'elettricità), ebbe il diritto di sedere nella nuova assemblea, i cui lavori iniziarono nel marzo 1939 con il titolo di consigliere nazionale, sostitutivo di quello di deputato, partecipando peraltro scarsamente alle sue sedute. Egli era convinto, tuttavia, che "l'opera redentrice pel Mezzogiorno iniziata dal fascismo" poteva essere portata a compimento solo con la "completa vittoria" italiana nella seconda guerra mondiale; e in tal senso telegrafava a Mussolini ancora il 18 marzo 1943 (Arch. Centrale dello Stato, Segreteria particolare del Duce, Carteggio ordinario, fasc. 553.002). Dopo il 25 luglio presumibilmente stabilì contatti con i gruppi liberali, disposti a dimenticare i suoi trascorsi politici anche perché nel 1938 egli aveva aiutato, tramite Beneduce, Epicarmo Corbino a riprendere le lezioni presso l'Istituto universitario navale di Napoli, sospese per sospetto antifascismo (Roma, Arch. stor. d. Banca d'Italia, Carte di A. Beneduce, pratica 199, cartella 297/9, fotogramma 159, lettera del Corbino a Beneduce in data 14 febbr. 1938). È certo che egli si presentò, il 30 sett. 1943, alla riunione del Comitato napoletano del Fronte nazionale, bene accolto dai rappresentanti di tutti i partiti, compreso E. Reale, esponente allora del P.C.I. Alcuni comunisti dissidenti, però, protestarono vivacemente contro la sua presenza e ne ottennero l'allontanamento. L'entrata in vigore delle leggi sull'epurazione lo costrinse a mettersi in disparte; ma già alla fine della seconda guerra mondiale egli era ritornato nella pienezza dei suoi poteri sulla scena economica napoletana e nazionale, ispirando le linee del nuovo meridionalismo dei governi italiani.
Già nell'anteguerra, discostandosi da coloro che giudicavano la questione meridionale come problema agrario e di mancata formazione della piccola e media proprietà, aveva sostenuto la necessità della penetrazione del capitalismo industriale nelle regioni più periferiche del Mezzogiorno come premessa per la soluzione della questione meridionale stessa. Ma inserendosi nel solco del tradizionale meridionalismo degli industriali, aveva anche chiesto particolari provvidenze dello Stato nel settore delle infrastrutture per favorire i nuovi insediamenti industriali. Nel dopoguerra egli ribadì queste idee, soprattutto nel saggio Il problema industriale del Mezzogiorno, che scrisse insieme a Salvatore Guidotti e pubblicò a cura del ministero dell'Industria e Commercio nel 1946. Di nuovo vi aggiungeva una dichiarata avversione ad una ulteriore espansione dell'industria a partecipazione statale nel Mezzogiorno (anche se la stessa S.M.E. era diventata un'azienda di questo genere dopo il rilievo da parte dell'I.R.I. delle azioni della Banca commerciale) e la proposta di creazione di una piccola e media industria, in particolare di trasformazione dei prodotti della terra. Dall'insistenza dell'intervento dello Stato per creare un clima industriale nel Sud nacque nel 1950 la Cassa per il Mezzogiorno.
Il C. fu anche tra i fondatori dell'Associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno (Svimez), sorta da una riunione, convocata l'8 nov. 1946, dall'allora ministro dell'Industria e Commercio, il socialista Rodolfo Morandi, presso il suo ministero. Di questa associazione privata, che si proponeva di studiare i problemi meridionali secondo quel metodo "quantitativo", già proposto dalla rivista Questioni meridionali undici anni prima nel programma di presentazione al pubblico, il C. tenne la presidenza dal 1960 al 1969.
Alla metà degli anni Cinquanta, quando il potere delle industrie elettriche si andava indebolendo sotto l'incalzare di nuovi gruppi di pressione, politici ed economici, il C., rimasto tenacemente fermo ad una concezione rigorosamente privatistica della gestione dell'industria di Stato ed ostile alla nazionalizzazione dell'energia elettrica, richiesta da una vivace campagna di stampa capeggiata dai settimanali Il Mondo e L'Espresso, non oppose eccessiva resistenza alla sua sostituzione alla presidenza della S.M.E. con l'avv. V. A. Di Cagno, già sindaco di Bari (22 giugno 1956). Tale sostituzione era stata decretata dall'I.R.I., che aveva rafforzato la sua partecipazione in seno alla S.M.E. attraverso l'acquisto di quelle azioni che gli svizzeri al primo sentore di nazionalizzazione avevano cominciato a vendere. Anche se il C. conservava la presidenza onoraria della S.M.E. e reggeva ancora numerose società, il suo potere volgeva ormai al tramonto.
Morì a Napoli il 2 agosto 1969.
Fonti e Bibl.: Alle fonti e alla bibliografia indicate in M. Fatica, Protagonisti dell'intervento pubblico: G. C.,in Economia pubblica, VII (1977), pp. 139-149, possono aggiungersi, tra le fonti, una polemica C.-E. Rossi, con lettera del C. in 24 Ore, 22 marzo 1951, e replica del Rossi in Il Mondo, 7 apr. 1951; tra la bibliogr., G. Chianese, Note sulla ricostruzione dell'organizzaz. sindacale e sulle lotte operaie a Napoli (1944-1946), in Italia contemporanea,XXVIII(1976), pp. 77-106; P. Saraceno, Intervista sulla ricostruzione 1943-1953, a cura di L. Villari, Bari 1977, p. 137; La Campania dal fascismo alla Repubblica, I, Società e politica, a cura di P. Salvetti, Napoli 1977, pp. 69, 548.