CERACCHI, Giuseppe
Figlio di Domenico, orefice, e di Lucia Balbi, figlia dell'orefice Bartolomeo, nacque a Roma il 4 luglio 1751.
Domenico, figlio di Silvestro, anche lui orafo, originario di Cori, e di Elisabetta Bicchierari, figlia dell'orafo Pompeo, nacque a Roma nell'anno 1702. Egli ottenne la patente di orafo il 16 dic. 1735, avendo come maestro garante il cognato Giovanni Battista. Aveva casa e bottega all'insegna del Sole in via del Pellegrino. Ricoprì varie cariche nell'Università degli orefici e fu sepolto in S. Lorenzo in Damaso il 13 genn. 1759.Dei suoi figli, Silvestro (n. 1733)e Bartolomeo (n. 1747)furono anch'essi orefici e argentieri (C. Bulgari, Argentieri, gemmari e orafi d'Italia, I, 1, Roma 1958, pp. 273s.).
Il C., oltre che nell'ambiente familiare, apprese la scultura nello studio di T. Righi e A. Bergondi (Montanari, 1841, Pio). Dopo aver vinto all'Acc. di S. Luca un premio per la scultura nel 1771, si recò a Milano, e qui eseguì un ritratto-busto ed alcuni gruppi mitologici per il conte K. J. Firmian. Passò quindi a Firenze presso la famiglia Albani che gli commissionò il busto del Principe Albani ed un gruppo marmoreo raffigurante i due figli del principe (Gradara, 1919, p. 145). Nel 1773, su raccomandazione di H. Mann, allora inviato straordinario britannico alla corte toscana, il giovane si trasferì a Londra rimanendovi sino al 1779.
Qui inizialmente abitò in casa dello scultore genovese A. Carlini ed ebbe amichevoli rapporti con vari artisti, quali gli italiani F. Bartolozzi e G. B. Cipriani (Gradara, 1934, p. 170) e gli americani B. West e J. S. Copley (Desportes, 1963, p. 142). J. Reynolds introdusse il C. nel mondo aristocratico e intellettuale londinese e ne sancì il successo facendosi ritrarre a mezzo busto (la prova in terracotta, datata 1778, si conserva alla Royal Academy di Londra così come il busto marmoreo scolpito in un secondo tempo a Roma). Da parte sua il Reynolds ritrasse il C. in un disegno, che fu inciso dal Bartolozzi. Nel 1776 il giovane artista esponeva alla Royal Academy il busto dell'Ammiraglio A. Keppel (castello di Belvoir, Rutland, presso Londra), parente di lord Shelburne per il quale aveva composto alcuni gruppi mitologici (ubicazione ignota). Il C. collaborò anche con l'architetto R. Adam realizzando, fra l'altro, il grande bassorilievo con un Sacrificio di Bacco per la facciata posteriore di casa Desenfans, a Portland Place, e con il Carlini, insieme con il quale scolpì (1777-78) due statue in pietra raffiguranti la Forza e la Temperanza, nonché varie decorazioni con clipei e mascheroni per Somerset House, la nuova sede della Royal Academy (S. C. Hutchison, The history of the Royal Academy, London 1968, ad Indicem). Altra opera del periodo londinese, databile al 1777 (Gunnis, 1968, p. 89), è il ritratto in marmo a figura intera della sua allieva Anne Seymour Damer, con una statuina del Tamigi in mano (Londra, British Museum). Al 1778 risalgono il busto del Marchese di Granby (castello di Belvoir, Rutland) ed il modello per il monumento a lord Chatham, che non fu mai realizzato (Desportes, 1963, p. 142). Dell'anno seguente sono i busti del Conte L. Barbiano di Belgioioso e del Generale P. Paoli (ubicazione ignota: Spadoni, 1941). Oltre ai diversi lavori commissionati da importanti personaggi (Gradara, 1924, p. 460), il C., secondo il Giornale delle Belle Arti del 1788, eseguì per gli architetti R. Adam e W. Chambers almeno centosettanta bassorilievi con trofei, baccanali e figure mitologiche.
Verso la fine del 1779 il C. lasciò l'Inghilterra in seguito all'affievolirsi dell'attività artistica a causa della guerra con le colonie nordamericane e, dopo un breve soggiorno in Olanda e in Prussia, si fermò a Vienna. Qui ricevette ospitalità dal cancelliere, principe W. A. von Kaunitz-Rietberg, cui era stato segnalato dal conte Barbiano di Belgioioso, ambasciatore d'Austria a Londra (con quest'ultimo il C. tenne una vivace corrispondenza riportata da Montanari, 1841, pp. 28-30).
Su richiesta dell'imperatrice Maria Teresa scolpì il busto del Kaunitz, tuttora nel Golden Kabinett del palazzo del Belvedere di Vienna. Nella capitale austriaca, dove rimase per circa sei anni, fatta eccezione di un viaggio a Roma nel 1781, lo scultore si iscrisse tra il dicembre del 1783 ed il febbraio del 1785 alla loggia massonica "Auf wahrenden Eintracht" (Desportes, 1963, pp. 141, 174 n. 15) e scolpì il busto del gran maestro Ignaz Born, per la biblioteca della sede (ubicazione ignota).
Sempre nell'epoca viennese si pone il busto del Feldmaresciallo Lacy del 1781 (castello di Schwarzenberg, Neuwaldegg, presso Vienna), con la replica ordinata dall'imperatore Giuseppe II insieme con i busti del Feldmaresciallo Laudon (Vienna, Kunsthistorisches Museum), modellato dal vero a Vienna e tradotto in marmo a Roma, dell'Imperatore Francesco I, risalente al 1784 (castello di Schönbrunn), ed i tre ritratti dello stesso Giuseppe II (due sono conservati nel castello di Schönbrunn, il terzo nell'Accademia militare di Vienna).
In virtù della notorietà raggiunta, al C. venne proposta dall'imperatore la carica di maestro e direttore della Scuola di scultura che l'artista rifiutò; negli stessi anni aveva conosciuto il poeta P. Metastasio. A Vienna s'unì in matrimonio con Therese Schlishan (Montanari, pp. 13 s.). Due dei suoi figli, Giovanni e Romualdo, nati a Vienna, furono incisori, ma non se ne sa altro (G. K. Nagler, Neues allgem. Künstler Lexicon, II, München 1835, pp. 470 s.).
Passato per Berlino, dove tra gli altri lavori (perduti) realizzò il busto di Federico il Grande (Montanari, p. 14), il C. giunse ad Amsterdam e qui stipulò due contratti in data 17 e 19 marzo 1785 per il monumento allo statista J. van der Capellen de Poll, capo del partito democratico, da eseguirsi a Roma in marmo di Carrara, e già nell'agosto dello stesso anno V. Pacetti notava nel suo diario che il C., a Roma, stava lavorando al monumento (Boll. d'arte, XXXVI [1951], p. 150). Nel 1785 lo scultore dimorava con la moglie a Roma, in via del Corso, nel medesimo palazzo abitato nei suoi soggiorni romani, tra il 1786 ed il 1788,da Goethe (Italienische Reise, 8 marzo 1788), il quale ordinò al C. il busto di Winckelmann (già nella casa di Goethe a Weimar, ora nella Protomoteca capitolina: ma vedi Pietrangeli, 1955, p. 7 n. 17).
Sempre a Roma lavorò (1786-87) ai busti marmorei dei cardinali G. F. Albani e G. M. Riminaldi (ubicazione ignota), nonché a quello del Metastasio datato 1787, già nella prima nicchia a destra del Pantheon (Giornale delle Belle Arti, 1787), ora nella Protomoteca capitolina. Nel 1788, il cardinale Romualdo Braschi Onesti commissionò al C. il busto marmoreo di Papa Pio VI, suo zio. Alrifiuto del cardinale di pagare i 200 scudi convenuti, lo scultore non consegnò il lavoro, che vendette più tardi all'elettore di Baviera, Karl Theodor di Wittelsbach (già nella residenza di Monaco: [M. Mallio], Annali di Roma, 1790, p. 241; per un altro mezzo busto del C. raffigurante Papa Pio VI, vedi Montanari, p. 12; attualmente due busti di Pio VI si trovano a Genova: uno, firmato, a Palazzo Rosso, l'altro a Palazzo Bianco; ma vedi Hubert, 1964, p. 58 n. 4).
In base alle clausole stabilite da un ulteriore contratto del 28 dic. 1788 il monumento a van der Capellen fu terminato l'8 ag. 1789. Non avendo ricevuto né il saldo di questo lavoro né le direttive per il trasporto, nel 1789 il C. si recò un'altra volta ad Amsterdam. La situazione politica cambiata rese inutile questo viaggio, così che il monumento rimase nello studio romano dello scultore in via dell'Oca e fu infine messo in vendita dalla sua famiglia nel 1838.
Un'incisione dei figli Giovanni e Romualdo (Roma, Museo Napoleonico) offre una ricostruzione del monumento assai più semplice di quella proposta da tre disegni autografi datati 1785 e improntati a moduli tardobarocchi (Desportes, 1964, figg. 1, 5, 8). In mancanza di acquirenti, il monumento a van der Capellen fu incamerato dai principi Borghese a copertura di un debito dei Ceracchi per affitto arretrato e nel 1845 le singole statue vennero collocate, presumibilmente da L. Canonica, nel "giardino del lago" a villa Borghese, dove sono tuttora.
Di ritorno dall'Olanda, nel 1789 il C. si era fermato a Mannheim, alla corte del conte palatino Karl Theodor per eseguirne in creta il ritratto in veste di imperatore romano (che, a Roma, fu tradotto in marmo: Monaco, Museo naz. bavarese); progettò anche un grandioso monumento raffigurante l'Unione della Baviera con il Palatinato, sotto la guida di KarlTheodor, ma il complesso celebrativo, da realizzarsi a Roma, non fu mai messo in opera (il 19 ott. 1792 ottenne, ad Amsterdam, l'ordinazione di tre statue colossali ad esso destinate che l'anno dopo gli fu però cancellata per ragioni politiche).
Al secondo viaggio in Olanda il C. fece risalire, in una sua memoria del 1796 al Direttorio, la propria adesione al moto rivoluzionario che andava affermandosi in Francia, e ai cui primi slanci egli stesso aveva assistito attraversando il paese (De Felice, 1965, p. 64). Queste sue simpatie e le relazioni da lui intrecciate all'estero lo misero in grave sospetto presso le autorità romane: divenutagli difficile la vita a Roma, nel maggio 1790 lasciò la città per Vienna, dove sistemò la moglie e i figli, e proseguì per Amsterdam. Da qui s'imbarcò per gli Stati Uniti, dove era stato invitato da tempo e dove frequentò i maggiori esponenti politici del giovane Stato: Washington, Hamilton, Jefferson, Adams.
Il viaggio, oltre che allo spirito avventuroso dell'artista e ai contatti già avuti con alcuni americani sia a Londra sia a Vienna, era motivato principalmente dalla decisione del Congresso americano di innalzare un monumento a G. Washington, per la realizzazione del quale era stato ventilato il nome di J.-A.Houdon. Il 29 maggio 1791 lo scultore si trovava a Filadelfia, e in una lettera a T. Jefferson annunciava l'invio di un suo progetto (Desportes, 1963, p. 175 n. 30): verso la fine dello stesso anno il C. presentava al Congresso, a Filadelfia, un modello in terracotta della statua equestre di Washington con quattro Gruppi allegorici intorno e inoltre un busto in terracotta bronzata raffigurante Minerva (Filadelfia, The Library Company).
Attendendo le deliberazioni del Congresso, cominciò a modellare i busti del Presidente Washington (Nantes, Musée des Beaux-Arts; per le varie versioni e l'importanza iconografica cfr. Fehl, 1974), di W. Smith ed E. Benson, capi della commissione governativa addetta al monumento (ubicazione ignota). Benché questo modo di procedere suscitasse critiche (Desportes, 1961, p. 148), lo scultore non desistette dalla sua tattica giungendo a inviare da New York, nel 1792, a G. Washington una coppia di busti raffiguranti Bacco ed Arianna e a mostrare il modello del suo monumento al governatore dello Stato di New York G. Clinton (del quale fece il busto di terracotta: New York, Historical Society; un altro esemplare è all'Athenaeum di Boston). Sempre a Filadelfia mise mano al busto di J. Jay (Washington, Corte suprema).
Nell'estate 1792 il C. ritornò in Europa: dopo sei settimane ad Amsterdam - dove espose con grande successo il modello del busto di Washington (lettera a T. Jefferson del 16 luglio 1792, in Desportes, 1963, p. 176) - e soggiorni a Monaco e a Vienna, alla fine dell'anno era di nuovo a Roma con la moglie e quattro figli. Malvisto dalle autorità pontificie per i suoi rapporti con i protestanti olandesi e i repubblicani d'America, cadde ancor più in sospetto quando il suo studio divenne ritrovo di artisti e di intellettuali di avanzate idee politiche, specie dei francesi che sostenevano la Convenzione. Per la sua amicizia col ministro francese N. J. H. de Bassville, allorché questi fu ucciso nei tumulti popolari il 13 genn. 1793, il suo atelier venne preso d'assalto dalla folla e lo scultore fu bandito dallo Stato della Chiesa. Rifugiatosi a Monaco di Baviera, il C. fu presto costretto ad allontanarsene su pressione del clero. Nel marzo 1794 lo scultore era a Firenze, come risulta da una lettera a Jefferson in data 27 marzo (Desportes, 1963, p. 176 n. 65).
L'attività fiorentina del C. è rivolta soprattutto alla trasposizione in marmo dei busti di Washington (New York, Public Library; un altro busto marmoreo è al Metropolitan Museum), del segretario del Tesoro A. Hamilton (finnato e datato 1794; due versioni a Manchester, N. H., The Currier Gallery of Art, e New York, Public Library), di D. Rittenhouse (New York, The American Philosophical Society), di T. Jefferson (casa di Jefferson a Monticello, Virginia) e del profilo di J. Madison in alabastro montato su un piatto ovale di marmo venato (Washington, Dipartimento di Stato: Desportes, 1963, p. 160).
Per motivi politici il C. fu scacciato anche da Firenze e, dopo soste a Vienna e ad Amsterdam, nell'autunno del; 1794 era di nuovo a Filadelfia con la famiglia e la servitù. Nonostante l'amicizia di Monroe, il suo lavoro non fu accolto con gli stessi favori che nel 1791-92; mentre destavano sospetti i suoi rapporti con C. Fauchet, ministro della Repubblica francese a Filadelfia. Fallito un suo progetto per un monumento alla Libertà, il C. lasciava quindi gli Stati Uniti per la Francia (Hubert, 1964, pp. 27 s.). Sbarcato a Bordeaux (ibid., p. 28), egli era presente a Parigi nel luglio del 1795, e qui stringeva amicizia col pittore J.-L. David, al quale era accomunato negli ideali neoclassici, e progettava un monumento in onore della Rivoluzione francese,ispirato a quello che era stato costretto ad abbandonare.
Nella capitale francese il C., pur senza abbandonare l'attività artistica, si dedicò soprattutto alla politica, riuscendo, data la sua notorietà, a stringere importanti relazioni, ad esempio, con L. H. Carnot e, tramite suo, con J. F. Reubell e J. Barras. Sua aspirazione era quella di divenire una sorta di consigliere ufficiale del governo francese per gli affari italiani, e romani in particolare. Cominciò, quindi, a sottoporre al Direttorio numerose memorie sulla situazione italiana e romana, poco informate, in realtà, ed ingenuamente ottimistiche (Giuntella, 1971, p. 205): in esse invitava il governo francese ad invadere l'Italia e a liberarne i popoli ed esponeva i vantaggi politici, strategici e finanziari che tale occupazione (in particolare, quella dello Stato pontificio, di cui enumerava, con esagerazione, le enormi ricchezze e le forze sociali conquistate alla causa repubblicana) avrebbe recato alla Francia (l'occupazione sarebbe stata, poi, facilitata dalle simpatie filofrancesi del popolo: Projet adressé au Gouvernement français par J. Ceracchi, del 30 frimaio dell'anno IV, in De Felice, 1965, pp. 98-113). Quando effettivamente venne progettata la campagna in Italia, il C. venne convocato ed ascoltato dal Direttorio, e Carnot emise parere favorevole all'accoglimento dei suoi consigli; i suoi precisi suggerimenti militari e strategici, inoltre, entusiasmarono il Bonaparte che, come sembra, ne fece la base del suo piano d'invasione, e che, conosciutone l'autore, si legò con lui di strettissima amicizia. Nell'ottobre 1796 il C. raggiungeva a Milano il Bonaparte per fargli il ritratto: il busto del giovane generale è noto solo tramite le incisioni di C. H. Pfeiffer e H. Richter (Ch. Le Blanc, Manuel de l'amateur d'estampes, III, Paris s.d., pp. 185, 332), poiché il gesso originale al Museo di Nantes andò distrutto nel 1903 (un altro ritratto di Napoleone è nella Gliptoteca di Monaco di Baviera).
All'inizio del 1797, avviate le trattative di pace tra Francia e Stato pontificio, il C. richiese più volte al governo francese e in particolare al ministro degli Esteri C. de Delacroix, di farlo ritornare a Roma e di appoggiare la sua domanda di un forte indennizzo da parte del governo romano per i danni subiti a causa della persecuzione papale. Avuta finalmente risposta positiva alla domanda di rimpatrio, ai termini del trattato di Tolentino, partì, dopo aver inviato direttamente a Pio VI una richiesta di 195.000 scudi che, nonostante fosse sostenuta dall'ambasciatore francese a Roma, Giuseppe Bonaparte, venne respinta. A Roma il C. si legò subito con gli ambienti filorivoluzionari e fu tra i consiglieri di Bonaparte: ma il fallimento del tentativo del 27-28 dicembre di abbattere il governo pontificio, del quale era stato, insieme con G. B. Agretti e con P. C. Bonelli, uno degli organizzatori, lo costrinse, dopo la morte che ne seguì del generale M. L. Duphot, a nascondersi. Proclamata la Repubblica romana, continuò a brigare per l'indennizzo servendosi di una lettera di raccomandazione dello stesso Talleyrand per i commissari del Direttorio a Roma e facendo pure un breve viaggio a Parigi alla fine di febbraio del 1798.
La situazione politica romana lo deluse, dal momento che i Francesi, appoggiandosi agli elementi moderati locali, cercavano di impedire che a Roma si costituisse un forte partito giacobino e respingevano da ogni incarico nell'amministrazione i sospetti di estremismo. Il C., che si inserì subito, appunto, negli ambienti giacobini che ruotavano intorno al Circolo costituzionale, fu isolato e si tentò, da parte dei commissari francesi a Roma, di screditarlo presso il presidente del Direttorio, denunciandone il giacobinismo, l'"anarchismo" e anche le pressanti richieste relative all'indennizzo (che, infatti, non ottenne mai): gli venne soltanto riservato uno dei quattro posti dell'Istituto nazionale per le arti figurative (accanto al Canova). Ripartì ben presto per Milano, dove rimase per tutta l'estate del '98, e dove frequentò, diventandone uno degli intimi, il generale Brune, comandante in capo delle truppe francesi nella Repubblica cisalpina, simpatizzante coi giacobini, e i circoli dei patrioti unitari: probabilmente allora conobbe Ugo Foscolo, che lo ritrasse come "liberissimo d'animo e di altissimi sensi" (De Felice, 1965, p. 84).
È verosimile che questo viaggio del C., di cui si sa poco, fosse suggerito dal duplice intento di intessere rapporti col giacobinismo cisalpino per tentare di collegarne l'azione con quello romano, e di trovare appoggi per la causa della democrazia romana presso il Brune: in ogni caso, la sua attività, che veniva ad inserirsi nel contrasto esistente fra alti gradi militari, appoggianti i giacobini unitari italiani, ed emissari del Direttorio, fu, ancora una volta, denunciata a Parigi da C.-J. Trouvé, ambasciatore a Milano, che accusò il C. di essere un "agent de l'anarchie française" e di armeggiare con altri intorno al Brune per "faire ici une Convention" (Vaccarino, 1955, p. 71; De Felice, 1965, pp. 84 s.).
Il C. ritornò a Roma nell'autunno e, dopo l'occupazione napoletana del novembre-dicembre 1798, che mostrò tutta la debolezza della Repubblica e persuase gli stessi moderati della necessità di appoggiarsi ai giacobini, ricevette l'incarico di andare a esporre la situazione a Milano e, soprattutto, a Parigi. Non si conoscono i particolari di tale missione che, pur riuscendo positiva, poiché il Direttorio diede parere favorevole e accettò di armare il popolo romano, comunque non poté avere seguito alcuno a causa della disfatta dell'armata d'Italia e della caduta della Repubblica romana. Benché contasse di rientrare in Italia con l'incarico di occuparsi del problema dell'insorgenzanel Sud (per il quale proponeva di "lever en masse le peuple du midi": lettera al Talleyrand del 18 floreale dell'anno VII, in De Felice, 1965, p. 87), il C. non poté più tornare a Roma ed entrò a far parte dell'ala più irriducibile ed insoddisfatta dell'emigrazione romana in Francia, che, emarginata ed invisa alle autorità, si legò agli oppositori francesi più intransigenti della incipiente dittatura del Bonaparte.
Nonostantè l'impegno politico, il C. trovava il tempo di continuare la sua attività artistica. Degli ultimi anni sono un progetto di monumento allegorico in onore dell'armata francese in Italia (Hubert, 1964, p. 29 n. 6)e uno di monumento al generale M. L. Duphot (disegno a penna nel Museo Napoleonico di Roma), il busto marmoreo di Caterina Nazzarri Angelucci (Museo di Roma a palazzo Braschi), moglie di Liborio, console della Repubblica romana, lavoro pienamente neoclassico per impostazione e modellato, e uno schizzo a penna (Roma, Museo Napoleonico) per un monumento a N.J.-H. de Bassville, conforme allo spirito delle allegorie rivoluzionarie neoclassiche (Pietrangeli, 1950, p. 82). A Roma aveva anche iniziato un colossale busto marmoreo di Napoleone, contando di terminarlo con una sottoscrizione pubblica (Clerici, 1961 p. 143):la sottoscrizione, aperta in Francia nel 1800,non coprì la somma richiesta ed il busto incompiuto fu venduto dalla vedova del C. a F. Cacault, ministro plenipotenziario a Firenze, che lo fece completare dallo scultore F.-M. Laboreur (Museo di Nantes: Hubert, 1964, p. 33 nn. 4, 36). Alla stagione parigina risalgono il busto in gesso bronzato di Barère de Vieuzac (Parigi, Musée Carnavalet; dello stesso esiste una terracotta firmata "Ceracchi An. VIII": Hubert, 1964, p. 32 n. 4), quello marmoreo, del Maresciallo G.-M.-A. Brune (Museo di Brive), i due busti di J.-B. Bernadotte, - uno in terracotta (castello di Waldemarsudde, presso Stoccolma), l'altro in gesso colorato (Pau, Musée Bernadotte) - ed i busti dei generali A. Berthier ed A. Masséna Hubert, 1964, p. 32). Benché la sua clientela fosse illustre, non era affatto puntuale nei pagamenti tanto che il C. era costretto a vivere con i sussidi accordati ai profughi italiani (Clerici, 1963, p. 143; Hubert, 1964, p. 32). Gli ammiratori di Fabre d'Eglantine gli commissionarono un suo busto: l'opera fu donata dalla vedova d'Eglantine al teatro della Repubblica, e non se ne conosce l'ubicazione. Contemporaneamente il C. eseguiva numerosi bozzetti su soggetti antichi, come il Guerriero accovacciato in terracotta (Parigi, coll. Mirimonde; Hubert, 1964, pp. 32 s. nn. 1-2).
Intanto il C., rifiutata l'offerta, fattagli dal primo console, del posto di primo scultore del governo e di una pensione annua, partecipò alla organizzazione dell'attentato alla vita del Bonaparte che avrebbe dovuto aver luogo l'11 ott. 1800 all'Opéra di Parigi e che, scoperto, portò a molti arresti, fra italiani e francesi, e alla condanna a morte di quattro congiurati: G. Arena, D. Démerville, J.-B. Topino-Lebrun e il C. stesso.
Poco chiara rimane ancora l'effettiva consistenza di tale complotto, anche se la storiografia più recente è incline a considerarlo non tanto un atto inconsulto di pochi e isolati radicali, quanto piuttosto un episodio da inserire in un più vasto piano politico di un largo movimento d'opposizione antibonapartista. È certa, invece, la montatura poliziesca che ne fu fatta, ad opera del capo della polizia J. Fouché, per disperdere la residua e tenace opposizione giacobina.
Il pomeriggio dell'11 piovoso dell'anno IX (31 genn. 1801) il C. venne ghigliottinato sulla place de Grève, dopo aver respinto la grazia offertagli dal Bonaparte, forse in cambio di una sconfessione.
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