ABBA, Giuseppe Cesare
Nacque a Cairo Montenotte, il 6 ott. 1838, da Giuseppe e da Gigliosa Perla (il cognome originario della famiglia era Abbate, divenuto Abbà con il nonno Francesco, e quindi Abba col padre; ma in alcune lettere dirette all'A. giovanissimo questi viene chiamato ancora Abbà). Dal 1849 al 1854 studiò presso gli scolopi a Carcare, iscrivendosi poi all'Accademia di Belle Arti di Genova, che ben presto abbandonò.
Così, non più in età adatta per frequentare il liceo, incerto sulle proprie inclinazioni, desideroso soltanto di una qualsiasi forma di azione, nella primavera del '59 si arruolò volontario nei cavalleggeri d'Aosta, sperando che questa prima esperienza militare potesse determinare l'orientamento futuro della sua vita; al contrario, furono mesi di cupa delusione resa più amara dalla completa inattività (mentre si combatteva a Solferino e a San Martino il reggimento dell'A. era di riserva a Melzo).
Congedato nell'ottobre 1859, nell'aprile 1860 è a Parma (cfr. le vibranti Ricordanze di Parma 1860), donde, il 3 maggio, muove verso la grande impresa, che, nell'attuazione eroica e poi nel commosso ricordo, illuminerà tutta la sua vita. Soldato semplice iscritto nella VI compagnia comandata da Giacinto Carini, poi furiere maggiore e infine sottotenente, l'A. combatté eroicamente a Calatafimi e Palermo, distinguendosi poi particolarmente nella battaglia del Volturno, dove riportò una menzione onorevole.
Nel corso della spedizione egli annotò, su un taccuino edito soltanto nel 1933, i fatti più notevoli verificatisi giorno per giorno: gli appunti, schematici, frettolosi, ma esattissimi, che vanno dal 5 al 26 maggio (manca solo la nota relativa al 7 maggio), comprendono le prime tre settimane dell'impresa; una nota, in data 29 giugno, sembra sottolineare la rinuncia al tentativo di stendere la cronaca (ché le note del Taccuino erano poco più che fedeli osservazioni di un puntualissimo cronista) dell'eroica impresa.
Conclusasi la spedizione, sciolto l'esercito garibaldino, l'A. tornò a Cairo fra i suoi. La preparazione di Aspromonte lo colse a Pisa, dove si era stabilito - come scrisse egli stesso - "per vaghezza di studi e per vivere coi giovani amici, già compagni d'armi e tornati studenti in quell'Università, gioconda e pensosa". Partito da Pisa insieme con altri compagni, si recò a Torino e di qui a Genova, ma, trattenuto dalle autorità, non poté raggiungere Garibaldi. Preferì tornare allora agli studi, e a Pisa si dedicò intensamente a vaste letture storiche e letterarie.
Nel raccoglimento pisano, ricco di amici e fervido di preparativi, rievocati poi nelle affettuose pagine di La primavera di Pisa nel 1866, scrisse, o almeno portò a termine, il poemetto Arrigo. Da Quarto al Volturno, in cinque canti, che, nel 1866, fu pubblicato per l'insistenza degli amici.
Le ultime diciassette pagine dell'Arrigo, tutte occupate dalle note a molteplici passi del poema, hanno un importanza autonoma notevolissima. Tali note (che vanno dal 5al 30 maggio - e una è relativa al luglio e quattro all'ottobre 1860 - suddivise in funzione dei vari canti del poema e intramezzate da quelle puramente storico-esplicative) rappresenterebbero, secondo l'affermazione dello stesso autore, uno stralcio di quel Diario d'uno dei Mille, mai pervenutoci e forse mai interamente compilato, in cui l'A. - dal 1861 in poi - avrebbe tracciato la storia dell'impresa quale la memoria ancora recente dei fatti veniva suggerendogli, non più provvisoria cronaca immediata (come nel Taccuino) ma riposata e distesa narrazione. Da quel Diario deriva, forse, in buona parte, lo stesso Arrigo (i brani, naturalmente, ove il poeta narra le vicende della spedizione, non quelli che fanno centro sull'analisi del protagonista).
L'A., infatti, potrebbe aver messo in versi l'originaria stesura delle note, utilizzandone poi alcune a commento del poema stesso, ipotesi che confermerebbe validamente - vicino all'intuizione della figura di Arrigo - il conformarsi dello scrittore alla moda pratianoaleardiana.
Ma era di nuovo tempo d'azione; lasciati gli ozi pisani e i quieti studi, l'A. fu ancora garibaldino, guadagnando una medaglia d'argento nella giornata di Bezzecca (20 luglio 1866); animatore instancabile, aveva condotto con sé molti giovani amici pisani a rinnovare le eroiche gesta di Sicilia, ma gli eventi ai quali Garibaldi dovette piegarsi lo costrinsero di nuovo a Pisa, ove fu a lungo malato, e poi a Cairo, donde non si mosse più sino al 1880 (in un primo tempo neppure i fatti che dovevano preludere a Mentana erano riusciti a scuoterlo e quando, il 30 ott. 1867, decise di partire era ormai troppo tardi). "Anni di solitudine e di raccoglimento", come li chiamò l'A. stesso, spesi nella certezza di servire "la patria più grande" anche occupandosi dei piccoli problemi che l'amministrazione del luogo natio quotidianamente gli offriva (consigliere e poi, per nove anni, sindaco di Cairo, si occupò dell'istruzione elementare, che rese efficiente, della creazione di organismi economici atti a sovvenzionare i contadini, delle società di mutuo soccorso fra gli operai, dell'edilizia pubblica e della coltivazione intensiva, introducendo metodi moderni nell'agricoltura), né mai si astenne dalla lotta politica, presentando per due volte, ma senza successo, la sua candidatura al parlamento.
Nella raccolta solitudine di Cairo, nel quotidiano impegno del suo ufficio, l'A. non dimenticava le lettere e, a poco a poco, l'attività letteraria tornava a identificarsi con le memorie eroiche della sua giovinezza. Dal 1870 infatti, egli sogna un nuovo romanzo d'ambiente pisano nel quale innestare il rifacimento del Diario d'uno dei Mille, un nuovo Arrigo, per così dire, ma in prosa. Nacque al contrario Le rive della Bormida nel 1794, ove l'A., sia pur tardivamente, paga il suo tributo alla moda del romanzo storico; fu pubblicato dapprima in appendice alla Gazzetta di Milano e usci in volume nel 1875.
Intanto, le esortazioni affettuose del Pratesi, l'insoddisfazione per il romanzo che aveva steso e per il quale aveva messo da parte il Diario, il cordiale interessamento del Carducci, che, nel maggio 1877, chiese all'A, notizie e appunti sulla figura di Garibaldi da utilizzare in una vita del generale che egli aveva intenzione di scrivere, questi e, forse, altri elementi spinsero lo scrittore a rielaborare i suoi ricordi, dando loro compiuta veste letteraria. E al Carducci, nel febbraio 1880, l'A. fece avere, attraverso F. Sclavo, alcuni brani del suo lavoro, che il poeta raccomandò allo Zanichelli. Uscivano così le Noterelle d'uno dei Mille edite dopo venti anni, che, in un primo tempo, l'A. aveva pensato di stampare con le sole iniziali e d'intitolare Noterelle d'uno dei Mille pubblicate da un amico dopo vent'anni.
In questa loro prima edizione le Noterelle andavano dal 3 maggio al 21 giugno; nella seconda - apparsa nel 1882 con il titolo Da Quarto al Faro. Noterelle d'uno dei Mille edite dopo vent'anni - il termine è spostato al 20 agosto, mentre in quella definitiva, del 1891, le note dell'A, giungono sino al 9 novembre e il titolo diventa: Da Quarto al Volturno. Noterelle d'uno dei Mille.
Annotando giorno per giorno - e non di rado più volte per ogni giorno - i fatti dell'impresa dei Mille (almeno per quel che riguarda il primo mese della spedizione), l'A. non vuole né esaltare né glorificare gli eroi che di quei fatti sono stati protagonisti; d'altra parte, ogni intento agiografico iniziale, se mai ve ne fu, scompare via via che i ricordi affiorano e lo scrittore si abbandona al suo nativo gusto del narrare (soltanto considerazioni esterne di mero contenuto hanno limitato la validità delle Noterelle nell'area della letteratura garibaldina, allontanandole dalla rivoluzionaria esperienza della letteratura regionalistica e bozzettistica, che, in quegli anni, con diversi intenti e vari risultati, elaborava il nuovo linguaggio della prosa italiana). Domina nelle Noterelle un clima di leggenda, una leggenda non fuori della vita, ma nella vita, qualcosa come la purezza dei miracoli negli scritti dei mistici trecenteschi, che sembrano cose d'ogni giorno. Tutta l'impresa si svolge, infatti, in un clima di mirabile esaltazione, fuori del mondo, una esaltazione per nulla artificiosa, ma naturale, dove ogni fatto avviene perché deve avvenire. Così può giustificarsi il tono fiabesco di certi passi che sottolineano il verificarsi di circostanze apparentemente fuori d'ogni umana possibilità e che il narratore, divenuto davvero umile cronista, si limita a constatare, immerso anch'egli in quest'aria di favola stupenda. Ma tali risultati miracolosi sono ottenuti - sembra sottolineare l'A. -, con interventi umani; ché umanissimo è l'eroismo dei Mille, umanissimi il loro sacrificio e la loro fede, ben radicato nella terra lo stesso eroismo di Garibaldi, un eroismo ricco di sfumature ardite e malinconiche, brucianti e pensose, uomo e mito insieme, semidio anche quando ha la semplicità d'un re pastore, uomo anche quando col suo inatteso e miracoloso intervento determina l'esito di una battaglia o segna le linee di un'azione, che poi si svolgerà come egli ha previsto. In questa continua oscillazione tra quotidiano e miracoloso, tra apoteosi e realtà, oscillazione che volta a volta diviene sublime identificazione e limpida fusione di toni apparentemente divergenti, nell'aver saputo creare insieme un linguaggio da leggenda e da narrazione cronachistica per dar vita al suo mondo di fiaba e d'umanità consiste il miracolo delle Noterelle.
Caldi consensi salutarono l'apparizione del libretto e, più significativo di tutti, quello del Carducci, che, dopo aver raccomandato la pubblicazione dell'opera e averne dato, a stampa già iniziata, un giudizio poi divenuto celebre, divenne amico dell'A. sino a proporre al De Sanctis, allora ministro della Pubblica Istruzione, la sua nomina a professore d'italiano nelle scuole secondarie. Così, dal 1881, lo scrittore insegnò al liceo "Evangelista Torricelli" di Faenza e con l'anno scolastico 1884-85 passò all'istituto tecnico "Niccolò Tartaglia" di Brescia, città dalla quale non si mosse più.
In questi anni l'A., divenuto ormai il simbolo dell'Italia eroica, commemora Garibaldi nelle più grandi città italiane (nel luglio 1907 pronuncia l'orazione ufficiale a Roma, alla presenza del re); intanto scrive anche, e abbondantemente, di storia e di aneddotica garibaldina, rievoca immagini e figure dell'Italia risorgimentale, scava ancora nei suoi ricordi per illuminare personaggi, eventi e particolari dell'impresa dei Mille. Talvolta, però, da queste rievocazioni piene di entusiasmo e di nostalgia vien fuori uno spirito risentito che critica cose e costumi del suo tempo; l'uomo che, parlando con il re, si dichiara insoddisfatto degli ordinamenti sociali, l'insegnante che biasima aspramente le direttive ministeriali colpevoli di "fare in modo che le generazioni di dopo il 1859 venissero su ignorando il mezzo secolo davanti" (di qui le sue numerose pubblicazioni dedicate ai giovani e al popolo, la sua appassionata e intelligente divulgazione del Risorgimento).
Quasi a coronare la sua vita, nel 1910, in occasione del cinquantesimo anniversario dello sbarco dei Mille, si recò in Sicilia, ripercorrendo quei luoghi ai quali, attraverso tanti anni, aveva dato un volto e una voce nelle sue memorie (nel corso di quel viaggio aveva promesso di scrivere le Seconde noterelle, forse una serie di osservazioni dettate dal breve ritorno in quella terra); il 5giugno - dopo aver cercato di evitare la nomina - fu creato senatore su proposta di L. Luzzatti; il 6 nov. 1910 morì improvvisamente in una strada di Brescia.
Opere: In morte di Francesco Nullo, canto,Genova 1863; Arrigo. Da Quarto al Volturno, Pisa 1866; Le rive della Bormida nel 1794, Milano 1875; Noterelle d'uno dei Mille edite dopo vent'anni, Bologna 1880 (poi, con titolo diverso, 1882 e 1891); Montenotte, Dego e Cosseria (per nozze Rovelli-Calamati), Faenza 1884; Cose vedute, Faenza 1887 (contiene due novelle, Nunzia e Le nozze d'Arcangela, poi ristampate con altre novelle, Primi duoli, Prendi moglie, I baffi e il cuore del signor Saul, Il dottor Crisante, nel 1912 a Torino, a cura di M. Pratesi al quale le prime due erano state dedicate); Romagna, Faenza 1887; Dogali, Reggio Emilia 1887; Uomini e soldati. Letture per l'esercito e per il popolo, Bologna 1890; Le Alpi nostre. Libri di lettura per le scuole elementari superiori, 5 voll., Bergamo 1899; Storia dei Mille narrata ai giovinetti, Firenze 1904; Vita di Nino Bixio, Torino 1905; Vecchi versi, Torino 1906 (2 ediz. accresciuta, ibid. 1912); Garibaldi. Discorso letto in Campidoglio il 4 luglio 1907, Torino 1907; Garibaldi nel primo centenario della nascita gloriosa, Milano 1907; Cose garibaldine, Torino 1907. Dopo la morte dell'A. i più importanti articoli da lui pubblicati negli ultimi anni furono raccolti da G. Castellini col sovratitolo generale di Pagine di storia e ordinati in tre volumi: Ritratti e profili, Ricordi garibaldini, Meditazioni sul Risorgimento,Torino 1912-13. Nel volume Ricordi e meditazioni, edito a cura del municipio di Cairo Montenotte, Biella 1911, sono raccolti, sotto il titolo di Ricordi di vita e di storia, alcuni scritti sparsi dell'A., oltre a suoi Versi giovanili (e cioè L'ode A Giuseppe Garibaldi e la cantica La morte di Giorgio Byron, entrambe del 1859).
Bibl.: G.C.A. nell'anno venticinquesimo del suo magistero in Brescia, Brescia 1910; G.Castellini, Introduzione a Ritratti e profili, Torino 1912, e in Nuova Antologia,16 marzo 1912; E. Bottini Massa, G.C.A., Genova 1915; G.A. Borgese, A. e Garibaldi, in Studi di letterature moderne, Milano 1915 (ristampa 1920), pp. 56-62;D. Bulferetti, G.C.A.,Torino 1924; A. Zecchini, G.C.A. a Faenza, Faenza 1930; L. Russo, A. e la letteratura garibaldina dal Carducci al D'Annunzio, Palermo 1933, poi col titolo G.C.A., in Scrittori-poeti e scrittori-letterati, Bari 1945, pp. 203-341; G. Bandini, Maggio 1860. Pagine di un "taccuino" inedito di G.C.A., Milano 1933 P. Pancrazi, La nascita di un capolavoro, in Il Corriere della sera, 11 dic. 1932 (recensione anticipata al libro del Bandini), ora, col titolo Nascita delle "Noterelle" di G.C.A., in Scrittori italiani dal Carducci al D'Annunzio, Bari 1937, pp. 49-56;B. Croce, Letteratura garibaldina, in La Critica, XXXVI (1938), pp. 340-343, ora in La letteratura della nuova Italia, VI, Bari 1940, pp. 12-15; M. de Rubris, C.A., Milano 1938; G. Trombatore, in Memonialisti dell'Ottocento, Milano-Napoli 1953, pp. 749-753; G. Mariani, Lettura delle "Noterelle" in Il Veltro, III, 8-9 (1959), pp. 7-24.