CHIALLI, Giuseppe
Figlio di Paolo e di Matilde Moretti e fratello minore del pittore Vincenzo, nacque a Città di Castello nel 1800 (Mancini, 1832, p. 250; Bianchini, 1840, p. 4). Solo verso i diciotto anni poté assecondare la sua inclinazione alla scultura. Le disagiate condizioni economiche della famiglia e la repentina morte della madre (Bianchini, 1840, pp. 4 s.) lo costrinsero infatti ad accudire ai fratelli e sorelle più piccoli e ad aiutare il padre nella bottega di fabbro. Pare che, oltre a statuette per il presepio, i primi lavori del C. fossero alcune sculture eseguite per la villa di un concittadino, il quale si sarebbe adoperato per farlo andare a Roma (ibid., p. 5). È probabile che il fratello Vincenzo, che era ormai inserito nell'ambiente artistico romano, lo avesse chiamato presso di sé nell'anno 1818, prima quindi degli altri familiari che si stabilirono a Roma l'anno successivo, così da presentarlo al Canova e al Minardi, ai quali era legato d'amicizia. Secondo il Bianchini (pp. 5 s.), dopo essere stato per qualche tempo nello studio dello scultore veneto, il C. venne raccomandato al Minardi che nel gennaio 1819 lo condusse (insieme con L. Cochetti) a Perugia dove era stato nominato, sempre per intervento del Canova, professore di pittura all'Accademia di belle arti.
Se il breve apprendistato compiuto dal C. sotto la guida del Canova si era incentrato sul "disegno" "ch'è fondamento di tutte le nostre arti" e sullo studio di "ogni cosa di naturale" (Bianchini, 1840, p. 6), la sua formazione avvenne a contatto del Minardi durante i tre anni trascorsi con lui a Perugia. Al Minardi, tra l'altro, il giovane era legato da un affetto così profondo che "meglio figliolo e padre si chiamerebbero" (ibid.). Dal pittore faentino il C. apprese le regole della prospettiva e del disegno geometrico, preliminari dell'anatomia e indispensabili "allo studio coscienzioso della natura" (T. Minardi, Scritti sulle qualità essenziali della pittura..., Roma 1864, p. 8).
L'apprendistato con il Minardi fu determinante sia per acquisire padronanza delle tecniche sia per la sua educazione culturale; dal Minardi imparò infatti a fare costante riferimento ai maestri del gotico e del Quattrocento italiani e a eliminare dalla composizione "la sovrabbondanza e lo sciupio dell'antico" che inficiavano tante opere dei loro contemporanei (ibid., pp. 38 ss.).
Nel dicembre 1821, quando il Minardi fece ritorno a Roma per assumere l'incarico di professore di disegno all'Accademia di S. Luca, il C. e il Cochetti lo seguirono e il giovane scultore si riunì allora alla sua famiglia. Negli anni successivi frequentò l'Accademia di S. Luca e compì un intenso lavoro di copia al Museo Pio Clementino, proseguendo inoltre il tirocinio nello studio del Canova. I risultati non si fecero attendere: nel settembre 1822 si classificò secondo al concorso della scuola libera del nudo dell'Accademia di S. Luca (Roma, Accademia di S. Luca, Archivi) e poco più tardi ottenne dal comune della sua città una pensione annua di 60 scudi, probabilmente anche per le benemerenze del fratello Vincenzo che dall'agosto del 1822 si era trasferito a Città di Castello (Mancini, 1832, p. 252). Alla morte del Canova il C. divenne aiuto del Thorvaldsen e nel 1825 si recò a Firenze per partecipare al concorso bandito dall'Accademia di belle arti di quella città: risultò vincitore con il bassorilievo Il giudizio di Paride (Città di Castello, Pinacoteca). Prima di rientrare a Roma si fermò a San Sepolcro per rivedere Vincenzo: in questa occasione ritrasse il fratello in marmo (Gherardi Dragomanni, 1841, p. 78).
Morì a Roma il 23 dic. 1839.
Dal 1825, il C. si dedicò all'esecuzione di ritratti, statue, monumenti funebri e opere decorative, in gran parte non ultimate e oggi quasi tutte disperse. Resta a documentarne l'attività l'inventario di quanto si trovava, a un anno dalla morte dello scultore, nel suo studio sito in vicolo S. Giacomo, n. 20, affidato alla tutela di Giuseppe Barba, anch'egli scultore. I contemporanei - dal Bianchini al Mancini - attribuiscono l'esiguo numero di opere terminate dal C. al suo continuo "spendersi" per gli amici, dei quali sembra correggesse le composizioni, e allo sfruttamento cui era sottoposto da altri scultori "specialmente oltramontani" come T. Campbell, un inglese amico del Thorvaldsen, che nel lungo periodo trascorso a Roma (1814-1830) "dell'opera sua giovandosi per prezzo acquistava nome nella scultura..." (Mancini, 1832, pp. 252 s.; Raggi, 1880).
Le opere lasciate incompiute dal C. consistevano, secondo le indicazioni fornite dal Mancini e dal Bianchini e confermate dall'inventario, nei bozzetti per i bassorilievi raffiguranti le Storie di s. Francesco commissionatigli dal cardinale Cristaldi per ornare la celletta del santo ad Assisi e negli studi per il Monumento al marchese Calabrini, di cui il C. ebbe l'incarico nel 1832 dalla vedova. Nell'inventario, invece, non si trova menzione di studi preparatori per il Monumento alcard. Cristaldi e per il Monumento a Francesco Mandelli, ai quali il C. stava lavorando secondo il Mancini (1832, p. 254) nel 1832. Numerosi erano i bozzetti in gesso, in creta e in marmo che riguardavano il Monumento al duca Giovanni Torlonia. L'incarico che gli era stato affidato da don Marino Torlonia nel 1835 prevedeva correzioni al monumento già in parte realizzato da L. Mainoni. Il gran numero di studi e bozzetti inventati dimostrerebbero invece come il C. stesse mettendo mano all'intera composizione e non a semplici modificazioni. Alla morte del C., il monumento fu terminato da P. Galli (Roma, S. Giovanni in Laterano, cappella Torlonia). Si ha anche notizia che il C. realizzò (intorno al 1830) per conto di Alessandro Torlonia i caminetti del teatro Tordinona (oggi demolito) quando il principe provvide a far restaurare il teatro dal Valadier e a rifarne completamente l'interno adornandolo con pitture, stucchi e altre decorazioni (A. Nibby, Roma nell'anno MDCCCXXXVIII, IV, Roma 1841, p. 976-978).
Sempre per incarico di Alessandro Torlonia, il C. doveva eseguire la statua di Venere da collocarsi in una delle dodici nicchie del cosiddetto "braccio del Canova" nel palazzo Torlonia a piazza Venezia (oggi demolito; Hartmann, 1967). La morte impedì al C. di ultimare questa scultura per la quale aveva eseguito diversi bozzetti. Risultano attualmente dispersi i molti ritratti menzionati dal Bianchini (p. 10), dal Mancini (p. 253) e descritti nell'inventario.
Restano a testimoniare la produzione del C. il "Dio padre da sovraimporsi al Ciborio" e le quattro medaglie a bassorilievo raffiguranti gli Evangelisti collocate prima del 1836 nella navata centrale del duomo di Novara (Bianchini, 1836, p. 15), le statue colossali della Religione e della Fede che ornano l'entrata della chiesa della S. Madre di Dio a Torino nel cui interno si trova il S. Marco, anch'esso scolpito dal C. nell'ultimo periodo della vita (intorno al 1836-1839) su incarico del "Re di Torino", come si legge nell'inventario a proposito della statua La Religione. La perdita degli oltre trecento pezzi che si trovavano nello studio del C. non consente di verificare quanto il linguaggio dello scultore risentisse dei moduli canoviani e thorvaldsesiani.
Si può invece supporre, tenendo conto dei giudizi espressi dal Bianchini e del peso avuto dal Minardi sulla formazione artistica del C., che lo scultore condividesse più la poetica e gli stilemi del purismo che le soluzioni lessicali del neoclassicismo, ormai messe in discussione proprio dal Minardi, dal Tenerani e dallo stesso Bianchini.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. stor. capitolino, Notaio Ghilardini, atto 4782, 23 dic. 1840, registrato a Roma il 2 genn. 1841: Descrizione di oggetti e stigli ad uso di scultura fatta a istanza della signora Maria Chialli [sorella del C]: il docum. descrive oltre ai cavalletti e ai mobili, cartelle di disegni e 304 pezzi di sculture in gesso, creta, marmo; G. Mancini, Istruz. storico pittorica per visitare... Città di Castello..., II, Perugia 1832, pp. 250-254; A. Bianchini, Il duomoe le sculture del Corpo di guardia in Novara, Novara 1836, pp. 15 s.; Id., Dell'ultimo lavoro e degli studi di G. C. ..., Roma s.d. (c. 1840); F. Gherardi Dragomanni, Della vita... del pittore V. Chialli, Roma 1841, pp. 57, 68, 78, 133, 141; O. Raggi, Vita e opere di P. Tenerani, Firenze 1880, pp. 166 s.; Roma nell'arte, A Riccoboni, La scultura nell'evo moderno, Roma 1942, p. 381; J. B. Hartmann, La vicenda di una dimora principesca..., Roma 1967, ad Indicem; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VI, p. 31; E. Bénézit, Dictionnaire des peintres,sculpteurs..., Paris 1966, p. 483.