CHIARELLI, Giuseppe
Nacque a Martina Franca (Taranto) il 15 giugno 1904 da Angelo Raffaele, insegnante elementare, e da Maria Rossano. Dopo aver frequentato l'istituto privato "Nicolò Tommaseo", fondato e diretto dal padre, completò gli studi superiori presso il liceo "Cirillo" di Bari, dove ebbe come professori Francesco Saverio Nitti e Angelico Tosti Cardarelli. Laureatosi in giurisprudenza presso l'università di Roma nel 1926 con una tesi discussa con Giovanni Gentile, venne nominato assistente presso l'istituto giuridico dell'università di Perugia, per poi reggere, dal 1928, l'incarico di docente di diritto amministrativo e della legislazione del lavoro presso le università di Camerino e, in seguito, di Perugia. Vinta nel 1934 la cattedra di diritto corporativo presso questa università, divenne avvocato cassazionista, membro dei Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, della Commissione per la redazione dei codici e della Camera dei Fasci e delle Corporazioni. Dopo aver partecipato alla campagna d'Albania, nel 1942 il C. venne chiamato a ricoprire la cattedra di istituzioni di diritto pubblico nella facoltà di economia e commercio dell'università di Roma, di cui fu preside dal 1952 al 1961. Il 2 febbraio di quell'anno venne nominato dal presidente Gronchi giudice della Corte costituzionale, di cui diventò presidente (dal 22 nov. 1971 fino alla scadenza del mandato, il 16 febbr. 1973).
Dopo aver lasciato la Corte costituzionale fu chiamato dalla facoltà di giurisprudenza dell'università di Roma a ricoprire la cattedra di diritto pubblico generale; presiedette la Commissione per il riordinamento delle partecipazioni statali e fu membro autorevole della commissione di esperti per la riforma del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro.
Il C. morì a Roma il 24 luglio 1978.
L'opera del C., vasta e proficua, abbraccia circa un cinquantennio di vita italiana, esplicandosi nei più vari campi dei diritto pubblico, nella politica ed anche nella storiografia locale. La sua vicenda intellettuale, severa nello studio ma curiosa ed avida di novità, inizia negli anni del consolidamento del regime fascista. Allievo di Gentile, attento alla costruzione del nuovo ordinamento corporativo, alla cui base si ponevano la legge 3 apr. 1926 n.563 sulla disciplina dei rapporti di lavoro e la Carta del lavoro del 30' apr. 1927, il C. rappresenta un punto di equilibrio tra tradizione e rinnovamento metodologico nello studio del diritto.
La sua partecipazione in prima persona all'esperienza della scuola perugina dei giuristi engagès è scevra dagli eccessi dei Costamagna e dei Chimienti. Di fronte all'invito di Pietro De Francisci "a realtà nuova, dogmatica nuova" (Discorso del ministro di Grazia e Giustizia al I congresso giuridico italiano, in Il Diritto del lavoro, VI [1932], pp. 493 ss.), il C. ribadisce la specificità del metodo giuridico e il ruolo della scuola nazionale, ma ritiene anche necessario situarli nell'ambito della situazione storico-sociale in cui si muove l'ordinamento. L'adesione all'istituzionalismo romaniano e al severo metodo di Donati si illuminano nella frequentazione di personalità del regime come Dino Grandi e nella collaborazione alla rivista Il Diritto dei lavoro, diretta da Giuseppe Bottai e Luigi Miglioranzi.
Già nel saggio su Contributi alla determinazione del concetto di diritto sindacale-corporativo (in Rivista internazionale di filosofia del diritto, IX [1929], n. 4, pp. 788-814) il C., enucleando le caratteristiche scientifiche della materia, riconosceva acutamente che "ogni questione di metodo implica un diverso modo di concepire la realtà, e quindi non è mai, come potrebbe credersi, una questione puramente formale" (p. 24). Di fronte all'altemativa tra metodo ogiuridico puro" e metodo sociologico o storico-politico, il C. sostiene perspicuamente che "le categorie giuridiche senza il loro contenuto storico rappresentano schemi astratti, nei quali non è pensabile la realtà, come non è pensabile alcuna realtà puramente forinale" (p. 28). Quest'impostazione metodologica, ribadita ad esempio nel saggio su L'insegnamento delle istituzioni di diritto pubblico e lo stato attuale degli studi pubblicistici in Italia (in Rassegna bibliografica delle scienze giuridiche sociali e politiche, VII [1932], n. 4, pp. 16-17), nella conclusione dell'illuminante polemica Maranini-Crisafulli sulla rivista Stato e diritto, da lui diretta, e nel saggio su Il pensiero giuridico italiano e i problemi attuali del diritto pubblico (ora in Scritti di diritto pubblico, Milano 1977, pp. 1-23), costituisce la bussola metodologica attraverso cui il C. agisce sopratutto nel campo del diritto corporativo e del lavoro.
Le sue due più importanti opere in argomento, La personalità giuridica delle associazioni professionali (Padova 1931) e LoStato corporativo (ibid. 1936), si fondano sulla rivoluzione copernicana dei riconoscimento della "personalità giuridica alle associazioni sindacali" (Ifondamenti giuridici dell'ordinamento corporativo dello Stato, in Annali dell'università di Camerino, III [1930], pp.2465.). Sulla base del riconoscimento dell'utilità del concetto di "regime" (si veda su questo il bel saggio su Il concetto di regime nel diritto pubblico, in Archivio giuridico, s. 4, XXIV [1932], 2, pp. 203-220), il C. respinge l'individualismo dello Stato liberale ed attribuisce i caratteri di "enti autarchici" alle associazioni sindacali. Nell'ampio volume su La personalità giuridica delle associazioni professionali, dedicato significativamente a Sergio Panunzio, il C. partiva infatti "per un tentativo di costruzione dommatica della personalità giuridica delle Associazioni sindacali. dall'esame dei precedenti parlamentari e legislativi dell'attuale regolamentazione delle Associazioni sindacali nel diritto italiano" (p. 20), nonché da un'analisi dei precedenti giurisprudenziali (pp. 89 ss.) ed arrivava a classificare le associazioni sindacali come enti autarchici sociali (p. 218).
Nel più problematico e maturo volume su Lo Stato corporativo, dedicato al maestro padovano Donato Donati, il C. affronta invece il problema del binomio Stato-società, negando che questi fossero entità diverse (p. 3) e proponendone il coordinamento (pp. 8 ss.). La modernità della concezione sostenuta dal C. in quest'occasione sta - pur nella peculiarità della discussione dell'epoca - nell'aver posto al centro del suo interesse l'"impresa" come organizzazione unitaria della produzione (p. 10), considerando "l'ordinamento corporativo dell'economia" come "un sistema di tutela degli interessi economici collettivi, raggiunto attraverso una organizzazione unitaria dei rapporti economici" (p. 16). li C., dopo aver respinto le teorie economiche dello Stato corporativo (Arias, Carli, Fovel, Amoroso, Ferri, De Stefani) e quelle etiche (Spirito e Volpicelli), ne desume le caratteristiche storiche dalle strutture giuridiche del suo ordinamento, considerandolo come "il modo di essere della società" (p. 82). Lo Stato corporativo corrisponde dunque per il C. all'esigenza della vita moderna di composizione del conflitto sociale e di superamento delle forme di rappresentanza politica in una prospettiva giuridica dinamica (pp. 239 ss.).
In questo ampio campo tematico del diritto corporativo, in cui si fusero ed agitarono le varie anime del regime fascista, il C. rappresentò uno degli elementi di punta della nuova generazione di giuristi. Membro della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, della Commissione per la redazione dei codici, il C. fu promotore del Trattato di diritto del lavoro (che vide la luce a Padova a partire dal 1938), esplicando un'ampia attività scientifica e di organizzatore di cultura. Particolarmente rimarchevole in questo senso fu la condirezione della rivista Stato e diritto, uno dei periodici giuridici più stimolanti del periodo fascista. Su questa stessa rivista egli pubblicò nel 1943 il saggio già citato su Il pensiero giuridico italiano, sintomatico del distacco di una generazione dal regime e problematico nell'individuazione delle prospettive di superamento della crisi dei sistema.
Nell'immediato dopoguerra il C. concentrò la sua attenzione scientifica su temi giuslavoristici e di diritto scolastico, questi ultimi sempre presenti nel ricordo della professione paterna. Furono gli anni della ricostruzione un periodo in cui il C., ormai vicino alle posizioni laiche (liberali e poi repubblicane) si recò in Gran Bretagna (si vedano su questo gli articoli comparsi in Rassegna di cultura e vita scolastica nel corso del 1948) e collaborò con la rivista americana The World Today, approfondendo in seguito i suoi contatti con l'America latina.
Gli anni Cinquanta furono dedicati ad un'intensa attività sia accademica in quanto preside della facoltà di economia e commercio di Roma, sia scientifica (si vedano ad esempio le lezioni di Istituzioni di diritto pubblico [Roma s.d.] dedicate a temi di teoria generale, il saggio sul CNEL [Milano 1957] e numerosi voci in varie enciclopedie), sia pubblicistica (collaborò in particolare al Giornale d'Italia), sia forense.
Negli anni Sessanta, pur continuando un'intensa attività scientifica, fu assorbito dal suo ruolo di giudice della Corte costituzionale. Come presidente della Corte, in un periodo turbolento della storia del paese, egli espresse forti preoccupazioni per il ruolo di supplenza cui era costretta la giustizia costituzionale davanti all'inattività dei Parlamento in ampi settori dell'ordinamento. A questo proposito il C., davanti ai vuoti prodotti nell'ordinamento dalle dichiarazioni di illegittimità costituzionale, si spinse fino al punto di proporre "l'idea di attribuire alla Corte … la facoltà di sospendere, in casi eccezionali, e per un tempo determinato, l'efficacia della propria decisione, per dar modo al legislatore di provvedere, evitando un immediato turbamento dei rapporti pendenti" (si veda Traccia della conferenza stampa del presidente della Corte costituzionale Chiarelli tenuta il 20 dic. 1972, in Giurisprudenza costituzionale, XVII R9731, pp. 2750 ss.).
Negli anni Settanta, dopo la presidenza della Corte, il C. si reinserì nell'ambito romano esplicando un ruolo importante di garante e consigliere su problemi tecnici ad alta valenza politica (ad esempio le Partecipazioni Statali), riuscendo a superare anche polemiche di notevole intensità. Negli ultimi anni di vita riprese uno dei suoi interessi che mai l'aveva lasciato, occupandosi di storia pugliese.
Fonti e Bibl.: M. Galizia, Profili storico-comparativi della scienza del diritto costituzionale, in Archivio giuridico, CLXIV (1963), p. 103; S. Cassese, Cultura e politica del diritto amministrativo, Bologna 1971, p. 50; S. De Simone-U. Prosperetti, Saluti a G. C., in Riv. giuridica della scuola, X (1971), pp. 819 ss.; M. Paone, Profilo bio-bibliografico di G. C., in Studi di storia pugliese in onore di G. C., I, Galatina 1972, pp. 1-12; L. Elia, in Studi in onore di G. C., Milano 1973, pp. IX-XII (prefazione); G. Zangari, G. C., in Rivista di diritto del lavoro, XXX (1978), pp. 3-11; G. Morsillo, Ricordo di G. C., in Giurisprudenza agraria italiana, XXV (1978), n. 7-8, p. 38.