CHIAUDANO, Giuseppe
Nacque a Torino il 20 dic. 1858 da Giovanni Battista e da Catterina Raspi in una famiglia originaria di Chieri, imparentata con quella del teologo gesuita Giuseppe Perrone. Sulla sua educazione e prima formazione ebbero grande influenza gli orientamenti clericali, di intransigente attaccamento al pontefice, della madre, molto legata agli ambienti gesuitici piemontesi. Il C. iniziò gli studi presso i Fratelli delle scuole cristiane; dopo le elementari, per iniziativa della madre che voleva evitargli la frequenza delle scuole pubbliche onde sottrarlo a qualsiasi influenza laica, ottenne il permesso di seguire come alunno esterno i corsi ginnasiali presso il collegio salesiano di Valdocco a Torino, dove fu allievo di Giovanni Bosco. Il 23 sett. 1875 vestì l'abito clericale e il 2 ott. 1877 entrò nella Compagnia di Gesù, compiendo il noviziato a Chieri, a Napoli e ancora a Chieri. Dopo aver atteso per alcuni anni agli studi letterari, fu incaricato per un triennio dell'insegnamento di tali materie nel collegio gesuitico del principato di Monaco. Quindi venne inviato a Roma, dove si laureò in filosofia e in teologia presso l'università Gregoriana. Alla fine di luglio del 1888 fu ordinato sacerdote a Genova e trasferito nel collegio di Chieri per insegnarvi filosofia (1888-1895).
Di questo periodo è la sua prima collaborazione alla rivista dei gesuiti, La Civiltà cattolica, su cui affrontò tra il 1892 e il '93 un'aspra polemica contro il darwinismo e il positivismo (Il metodo sperimentale e le cause finali, in La Civ. catt., s. 15, III [1892], pp. 412 ss.; Il metodo sperimentale e il darwinismo,ibid., IV [1892], pp. 270 ss.; La morale del positivismo,ibid., VI [1893], pp. 306 ss.), esaltando la validità della filosofia tomistica come punto di riferimento degli studiosi cattolici (Lo studio della filosofia di s. Tommaso e il laicato cattolico,ibid., V [1893], pp. 402 ss.).
Coronamento della polemica antimaterialistica fu la pubblicazione di un modesto opuscolo, Creazione e scienza (Torino 1895), in cui il C. coinvolgeva in un'unica condanna L. Büchner, H. Czolbe, E. H. Haeckel, L. A. Feuerbach, J. Moleschott, D. F. Strauss.
Dopo il 1895 il C. rimase ancora a Chieri, trasferito alla cattedra di teologia. Frattanto aveva iniziato a occuparsi di scienze sociali ed era perciò entrato in contatto con Giuseppe Toniolo, di cui appoggiò l'iniziativa per la costituzione di Società degli scienziati cattolici italiani (cfr. l'articolo del C.: Di una società scientifica tra i dotti cattolici d'Italia, in Rivista internazionale di scienze sociali, V [1897], 13, pp. 39-53). Ma alcuni mesi dopo vennero clamorosamente alla luce le profonde divergenze che lo separavano dal Toniolo in merito all'azione politica dei cattolici. Mentre quest'ultimo, mediando in senso moderato le proposte dei giovani "democratici cristiani" come G. B. Valente e R. Murri, sosteneva la opportunità di accogliere, almeno sul piano tattico, i metodi democratici, il C. si attestò su posizioni nettamente intransigenti con un opuscolo, Democrazia cristiana e movimento cattolico (Torino 1897), che insieme con la Lettera circolare al clero (Fossano 1897) del vescovo di Fossano, Emiliano Manacorda, fu alla base della resistenza dei vecchi dirigenti dell'Opera dei congressi guidati da G. B. Paganuzzi contro l'uso del termine "democrazia cristiana" per indicare l'azione politica dei cattolici.
Il C. chiariva che erano da approvarsi i contenuti dati da alcuni cattolici alla parola democrazia, cioè "ottenere le riforme necessarie sotto il vessillo della Chiesa e di Gesù Cristo", "attendere efficacemente al miglioramento economico, politico e religioso delle classi operaie e povere, rivendicando e tutelando i loro diritti secondo lo spirito della Religione Cattolica e le norme di giustizia e di carità", in modo che tali classi potessero partecipare "all'andamento della pubblica cosa, in date circostanze e con certe condizioni"; ma poiché il termine e il concetto di democrazia erano troppo legati alla tradizione rousseauiana, contraria agli insegnamenti della Chiesa, egli riteneva inopportuno fare ricorso ad essi. Inoltre giudicava pericoloso per i cattolici accogliere il metodo democratico, sia perché questo sul piano religioso poteva far sorgere velleitarie idee di democratizzare anche la Chiesa, sia perché sul piano politico si poteva credere che i cattolici italiani mirassero al rovesciamento della monarchia e alla instaurazione di un regime repubblicano.
Dopo i moti del '98 il C. intervenne nella discussione sorta intorno alle cause e ai rimedi con un articolo, La religione cattolica e il socialismo (in La Civ. catt., s. 17, III [1898], pp. 129-145). Riconosciuta la realtà del malessere economico che spingeva le classi popolari verso le dottrine e l'azione rivoluzionarie, egli sosteneva che l'unico rimedio per tale situazione era il ricorso all'azione della Chiesa.
Secondo il C. "le moltitudini si guidano più coll'autorità che cogli argomenti intrinseci", per cui anche quando esse "non giungano a comprendere le ragioni ... per le quali la Chiesa condanna il socialismo, nondimeno l'essere questo dalla medesima condannato è loro sufficiente argomento per detestarlo e ravvisare la reità": ecco perciò la necessità che lo Stato protegga le associazioni religiose, lasci alla Chiesa il monopolio dell'istruzione, combatta le dottrine e la stampa anticlericale (le stesse idee ricompaiono nell'opuscolo Il socialismo e l'efficacia della religione, Fossano 1901).
Nel 1902 il C. venne trasferito a Torino a reggervi l'Istituto sociale, ma l'anno seguente fu eletto superiore della provincia torinese della Compagnia di Gesù, comprendente Piemonte, Liguria, Sardegna e Corsica. Mantenne questa carica fino al 1910, promuovendo la diffusione delle Congregazioni mariane e lo sviluppo dell'opera dei "ritiri operai", alla quale contribuì personalmente predicando spesso gli esercizi spirituali. Nel 1910 riprese l'insegnamento della teologia nel collegio S. Antonio di Chieri, di cui divenne rettore. Nel 1912 si occupò dell'attuazione della lega sacerdotale "Pro Pontifice et ecclesia" - promossa per combattere il laicismo, il modernismo, la "falsa democrazia cristiana", e per risuscitare la questione romana -, che ebbe una certa diffusione anche in ambienti laici.
Nell'ottobre 1913 Pio X, evidentemente apprezzando queste prove di devozione, lo fece nominare rettore del Collegio degli scrittori della Civiltà cattolica, che comportava la direzione della rivista; il papa aveva forse approvato anche le idee espresse dal C. nell'opuscolo Il giornalismo cattolico. Criteri e norme (Siena 1913), violentemente contrario al modernismo, "sintesi di tutte le eresie", e ispirato alla più dura intransigenza.
Tale nomina suscitò polemiche: il quotidiano radicale La Tribuna notò che essa cadeva subito dopo che La Civiltà cattolica aveva duramente attaccato i cattolici integralisti tedeschi e il loro giornale Kölner Correspondenz per alcuni articoli avversi ai sindacati cristiani (misti di cattolici e protestanti) e favorevoli alle più chiuse associazioni operaie cattoliche in occasione del congresso cattolico di Metz (agosto 1913) e ne dedusse che il papa aveva voluto imprimere alla rivista una sterzata in senso integralista (La Tribuna, 26 sett. 1913: Un colpo di stato alla Civiltà cattolica). Lostesso Pio X volle smentire questa interpretazione con una lettera inviata al C. (datata 25 settembre, ma trasmessa dalla segreteria di Stato a metà ottobre: cfr. La Civiltà cattolica, XLIV [1913], vol. IV, pp. 257 ss.), in cui certificava l'ininterrotta fedeltà della rivista gesuitica alle direttive papali.
In realtà il C. era e si confermò puntualmente l'uomo più adatto a interpretare la concezione rigidamente conservatrice tipica del pontificato di papa Sarto e a soddisfare alcune esigenze degli integralisti (per la sua rivalutazione della "classe" aristocratica, per l'avversione agli istituti repubblicani, per il ritorno a toni più intransigenti), cosa che non erano stati in grado di fare né il precedente direttore Salvatore M. Brandi, né Enrico Rosa, che era vicedirettore, ma di fatto direttore del periodico dal giugno all'ottobre dell'anno 1913 (per una grave malattia del Brandi) e successore dal 1915 del Chiaudano.
Questa temporanea sterzata della Civiltà cattolica sotto la guida del C. venne facilitata anche dalla morte di Antonio Passivich (30 nov. 1913), il più prestigioso dei collaboratori, sostenitore di un'utilizzazione da parte dei cattolici delle forme democratiche e costituzionali per la loro lotta, che riassumeva nella formula "azione sociale su terreno costituzionale".Il C. si segnalò soprattutto per aver avversato la fondazione di una confederazione sindacale cattolica, schierandosi a favore di un maggiore sviluppo delle unioni professionali direttamente dipendenti dalla gerarchia ecclesiastica (Sindacalismo cristiano?, in La Civ. catt., LXV [1914], vol. II, pp. 385 ss.; Le Unioniprofessionali nei documenti pontifici,ibid., vol. III, pp. 14 ss.; Le recenti critiche contro alcuni articoli della "Civiltà Cattolica", ibid., vol. III, pp. 404 ss., 671 ss.; vol. IV, pp. 72 ss.): egli respingeva lo stesso termine di "sindacalismo", troppo legato alla prassi della lotta di classe, asserendo sulla base rigorosa dell'autorità dei documenti pontifici di Leone XIII e di Pio X che la questione sociale doveva essere risolta grazie alla "mutua fiducia tra padroni ed operai, tra ricchi e poveri" che assicurasse all'operaio un salario sufficiente e dichiarando condannabile lo sciopero, "sconcio grave che non solo reca danno ai padroni ed agli stessi operai, ma nuoce altresì al commercio ed a' comuni interessi"; egli rimproverava al sindacalismo cristiano di "supporre, che il capitale sia sostanza defraudata all'operaio, e che la proprietà non si debba più concepire quale un diritto assoluto del proprietario..., ma bensì come una "funzione sociale"" e di volere estendere l'azione dello Stato "fuori de' suoi limiti, inceppando in mille guise la giusta libertà individuale" creando un'abnorme legislazione sociale prodromo del "socialismo di Stato" (ibid., pp. 407-412). Questa rigida presa di posizione, ispirata alle direttive di Pio X e che non risparmiava un attacco personale a Guido Miglioli, contribuì a ritardare la fondazione della Confederazione italiana del Lavoro, che sorgerà soltanto nel marzo 1918.
Dopo lo scoppio della guerra mondiale, il C. fece in tempo ad illustrare il significato della neutralità della S. Sede e a polemizzare contro gli interventisti italiani (La neutralità della S. Sede secondo la recente allocuzione, in La Civ. catt., LXVI [1915], vol. I, pp. 385 ss.; La guerra e l'insegnamento della scuola cattolica,ibid., vol. II., pp. 3 ss.).
Il C. morì a Roma il 3 apr. 1915.
Fonti e Bibl.: Necr. in La Civiltà cattolica, LXVI (1915), vol. II, pp. 225-230; G. Toniolo, Lettere, a cura di G. Anichini-N. Vian, Città del Vaticano 1953, II, pp. 43, 58, 246; III, pp. 358, 360 ss., 364, 368 s.; G. Spadolini, L'opposiz. cattolica da Porta Pia al '98, Firenze 1955, pp. 367, 419, 527, 540; F. Fonzi, Dall'intransigentismo alla democrazia cristiana, in Aspetti della cultura cattol. nell'età di Leone XIII, Roma 1961, pp. 340 s., 360, 368; A. Gambasin, Origini,caratteri,finalità della Società cattolica ital. per gli studi scientifici,ibid., pp. 537, 555; P. Scoppola, Crisi modernista e rinnovamento cattol. in Italia, Bologna 1961, p. 128; M. G. Rossi, Fr. L. Ferrari dalle leghe bianche al partito popolare, Roma 1965, p. 230; G. De Rosa, Storia del movimento catt. in Italia, Bari 1966, p. 598.