CIPRIANI, Giuseppe
Nacque a Livorno, dove il padre si era trasferito dalla nativa Centuri (Corsica) dopo la caduta dell'Impero napoleonico, il 26 sett. 1826, da Matteo e da Caterina Caraccioli.
I Cipriani, ricca famiglia di commercianti, con notevoli interessi anche a Trinidad, erano di accesi sentimenti bonapartisti e avevano stretti rapporti, anche di affari, con alcuni Napoleonidi, come "Madame mère", la famiglia dell'ex re di Olanda, Luigi, e quella dell'ex re di Westfalia. Gerolamo, e il figlio naturale di Napoleone, conte F. A. J. Walewski. Avevano pure dirette relazioni con alcune delle figure più rappresentative della storia toscana risorgimentale, come Ubaldino Peruzzi (marito di una loro cugina), Vincenzo Salvagnoli, Giuseppe Montanelli e Francesco Domenico Guerrazzi, dei quali si servirono come legali in varie occasioni. Inoltre lo stesso C. fu, sino da adolescente, intrinseco di Enrico Mayer, il quale era stato, per qualche tempo. precettore del principe Napoleone Gerolamo, figlio dell'ex re di Westfalia.
Alla morte del padre, avvenuta nel 1837, il C. rimase sotto la tutela del fratello Leonetto, il quale, dopo che egli ebbe compiuto i primi studi a Livorno, lo inviò all'istituto di San Cerbone, diretto da Raffaele Lambruschini. Più tardi, in compagnia di Leonetto, passò a Parigi, ove s'iscrisse a una scuola preparatoria all'Ecole polytechnique; questo viaggio dovrebbe aver avuto luogo agli inizi del 1843 se si riferisce - com'è assai probabile - a lui, una lettera al Lambruschini di Terenzio Mamiani, allora esule a Parigi.
L'abate lo avrebbe raccomandato al Mamiani che, appunto il 3 genn. 1843, gli scriveva dicendogli di aver ricevuto un'ottima impressione del "giovinetto corso" e rassicurandolo della sua protezione. Lo stesso giorno il Mamiani scriveva anche a Vincenzo Salvagnoli, ringraziandolo di avergli procurato l'amicizia del giovine C. (Arch. stor. di Corsica, VII [1931], pp. 110 s.).
Non sappiamo, con esattezza, quanto sia durato questo soggiorno parigino del Cipriani. Secondo una memoria, non si sa quanto precisa, di Leonetto, il giovane fratello, nel 1846, avrebbe compiuto un viaggio in Russia; ed è certo, comunque, che, nel corso dello stesso anno, questi si trovava a Dresda, come risulta da una breve segnalazione contenuta nel Protocollo della Giovine Italia. Congrega centrale di Francia, IV, Imola 1919, pp.50, 85.
Il C. era però, sicuramente, di nuovo inToscana, agli inizi della prima guerra d'indipendenza; e, quando le truppe regolari e i volontari toscani raggiunsero il teatro delle operazioni, le, seguì in qualità di aiutante di campo del generale De Laugier, con il grado di sottotenente della guardia civica. Durante la battaglia di Curtatone fu gravemente ustionato dallo scoppio di un cassone di artiglieria; ma continuò acombattere, nonostante le ferite, e impedì che il De Laugier, il cui cavallo era stato ucciso, cadesse in mano nemica, offrendogli la sua cavalcatura.
Il generale, che, nei suoi scritti ricorda più volte il comportamento de C., definendolo "instancabile ed intelligente", propose che gli venisse attribuita l'unica medaglia d'oro al valore sarda concessa alle truppe toscane. Ragioni gerarchiche imposero, invece, che tale decorazione fossi; attribuita allo stesso De Laugier. Ma questi, che serbò per il C. sempre viva gratitudine, volle testimoniargli sino all'ultimo la sua stima e il suo affetto, lasciandogli in eredità la sciabola che aveva portato nel giorno della battaglia. Comunque, per il suo comportamento, al giovane ufficiale fu attribuita la croce di S. Giuseppe e la medaglia d'argento al valore sarda.
Tornato in Toscana al seguito del De Laugier, il C. si tenne lontano dalla vita pubblica, sia durante le crisi che travolsero i ministeri moderati sia durante il periodo di predominio democratico e del governo provvisorio. Non si hanno però notizie di una sua partecipazione al tentativo di repressione dei moti popolari compiuto, a Livorno, tra l'agosto e il settembre del 1848, dal fratello Leonetto, in qualità di commissario straordinario.
Dopo la restaurazione granducale in Toscana, il C. s'interessò per qualche tempo degli affari familiari, durante l'assenza di Leonetto, che era emigrato in America; ma successivamente egli riprese a viaggiare, stringendo sempre più i legami con i principi napoleonici. Dopo l'avvento di Luigi Napoleone alla presidenza della Repubblica francese, il colpo di Stato e la proclamazione del Secondo Impero, il C. entrò a far parte, assieme a Leonetto e ad altri italiani di origine corsa, di quella che egli stesso chiamò "la diplomazia ufficiosa di Napoleone III".
Già nel 1851, di ritorno a Parigi, dopo aver visitato la prima Esposizione mondiale a Londra, assieme al principe Napoleone Gerolamo e a Napoleone Camerata Baciocchi, veniva interrogato dall'allora principe presidente sulla situazione del regno sardo e sulla capacità di Vittorio Emanuele II e della classe dirigente piemontese di resistere ai moti rivoluzionari; e, a dire del C., la sua risposta affennativa avrebbe contribuito ad orientare l'atteggiamento di Luigi Napoleone in senso favorevole al re ed alle sue iniziative antiaustriache. Nel '54, poi, accompagnò il principe Napoleone Gerolamo durante la campagna di Crimea; quindi, l'anno successivo, fu a fianco di Leonetto, incaricato delle trattative per il matrimonio tra il principe e la duchessa di Genova e, poi, fallito questo progetto, con la principessa Clotilde, figlia di Vittorio Emanuele.
Agli inizi della seconda guerra d'indipendenza si verificò l'episodio più importante della sua attività politica. Il C. operò infatti da tramite tra il principe Napoleone Girolamo, in partenza per la Toscana al comando del V corpo francese, e il Cavour, per convincere quest'ultinio che l'invio di truppe francesi in Toscana, sollecitato dal Salvagnoli e accordato dall'imperatore, conservava l'originario carattere puramente militare, che ciò non pre, giudicava la possibilità dell'annessione della Toscana al regno sardo e che, comunque, il principe non intendeva diventare il sovrano di un eventuale Stato dell'Italia centrale. In conseguenza di ciò il Cavour si servì del C. (nominato capitano di Stato Maggiore dell'esercito sardo e distaccato presso il generale Ulloa, allora comandante delle truppe toscane) per impegnare il Ricasoli a integrare le truppe nell'esercito sardo, sopprimere le dogane tra la Toscana, gli ex ducati e il Piemonte, abolire le rappresentanze diplomatiche toscane all'estero, attribuendone l'ufficio ai diplomatici sardi. Ed è chiaro che simili provvedimenti implicavano, di fatto, l'annessione al Piemonte.
Il C., insieme a Costantino Nigra, partì subito per Pisa, con il benestare dell'imperatore; e di lì, con un treno speciale, proseguì per Firenze, ove giunse il 23 maggio 1859, Ebbero così modo d'incontrarsi con il Bon Compagni, allora commissario del re per la Toscana, che doveva recarsi a Livorno per incontrare il principe napoleonico, e di istruirlo sul modo di comportarsi nei suoi confronti. Le richieste e le pressioni del Cavour spiacquero al Ricasoli che le riteneva premature e sollevarono le allarmate reazioni degli autonomisti toscani, come lo stesso Lambruschini. il Fabrizi., il Galeotti e, in particolare, il Peruzzi. Il barone si lamentò dell'invio dei due emissari piemontesi, mostrando di considerare le loro iniziative pericolose per la causa unitaria, e ottenne che venissero richiamati. Già il 28 maggio, infatti, il C. era tornato a Torino dove riferiva al Cambray Digny, in quel momento incaricato di una missione diplomatica ufficiosa, l'esito così contrastato della sua missione; e, il giorno dopo, s'incontrava anche con il Massari, al quale mostrava accesi sentimenti unitari e ribadiva l'intenzione di Napoleone Gerolamo di non avanzare alcuna pretesa sull'Italia centrale.
Dopo l'armistizio di Villafranca, il C. seguì a Bologna il fratello Leonetto che era stato nominato governatore delle Romagne. Con il grado di generale onorario, coadiuvò il fratello nella sua opera di governo che, com'è noto, fu molto discussa e suscitò sospetti e timori di connivenza con i disegni politici napoleonici. Gaspare Finali, che fu segretario particolare di Leonetto, rileva più volte, nelle sue Memorie, che il governatore lo aveva praticamente estromesso dal suo ufficio, servendosi del fratello per gli incarichi più delicati.
Leonetto si dimise da governatore delle Romagne nel novembre del 1859, dopo i noti contrasti con Garibaldi e il Fanti, comandanti dell'esercito della Lega delle provincie dell'Italia centrale. Il C. si ritirò a vivere in Toscana, ove si dedicò principalmente alla cura degli affari della famiglia, divenuti sempre più precari, come risulta dalle lettere scambiate con Leonetto, partito di nuovo per gli Stati Uniti (F. Pera, pp. 40-45). Proprio queste difficoltà economiche portarono a un lungo contrasto fra i due fratelli.
Il C. si impegnò anche molto attivamente in studi glottologici e fonetici, volti a facilitare l'apprendimento della lingua ed una rapida acquisizione della capacità di leggere e scrivere. Non si hanno ulteriori notizie di una sua rilevante attività politica, anche se risulta che partecipó, per qualche tempo, alla vita amministrativa del comune livornese. Solo in occasione del cinquantenario della seconda guerra d'indipendenza, di fronte al rinnovarsi della discussione sul carattere e sui fini dell'intervento di Napoleone III, uscì dal suo lungo riserbo con una conferenza letta a Torino e quindi pubblicata ne IlRisorgimento italiano col titolo Alla memoria di Napoleone III imperatore (IV[1911], pp. 413-24).
In questo scritto il C. sostenne che l'imperatore non aveva mai avuto mire territoriali o egemoniche sull'Italia e che, anzi, aveva sempre perseguito la realizzazione dell'unità italiana, vagheggiata sin dal lontano 1831; e non mancò di sottolineare che l'intervento francese era stato la condizione essenziale del rapido processo di formazione del Regno d'Italia. Inoltre riferì, con vivacità e ricchezza di particolari, la parte che egli stesso aveva avuto nei rapporti diplomatici ufficiosi, tra l'imperatore, il principe Napoleone Gerolamo e la corte sabauda, e, in particolare, s'intrattenne sulla sua missione fiorentina, del maggio del 1859.
Il C. morì, povero, nell'ospedale di Firenze, l'8 nov. 1911.
Fonti e Bibl.: Necrol., in IlRisorg. ital., V(1912), pp. 946 ss.; C. De Laugier, In mem. di G. C., soldato d'Italia, s. n. t.; Id., Le milizie toscane nella guerra di Lombardia del 1848, Pisa 1849, pp. 22, 27 s.; Id., Racconto stor. della giornata campale pugnata il dì 29maggio a Montanara e Curtatone..., Firenze 1854, pp. 65 ss.; Id., Concisiricordi di un soldato napoleonico, a cura di R. Ciampini, Torino 1942, ad Ind.; Carteggio politico di L. G. De Cambray Digny, a cura di G. Finali, Milano 1913, p. 37; N. Giorgetti, Le armi toscane e le occup. straniere in Toscana, Città di Castello 1916, ad Ind.; L. Cipriani, Avventure della mia vita, a cura di L. Mordini, Bologna 1934, I, pp. 17, 92, 96, 106; II, pp. 4, 153, 168; G. Finali, Memorie, a cura di G. Maioli, Faenza 1955, ad Ind.;G. Massari, Diario dalle cento voci, a cura di E. Morelli, Bologna 1959, ad Ind.;A. Linaker, La vita e i tempi di E. Mayer, Firenze 1898, ad Ind.;F. Pera, Quarta serie di nuove biogr. livornesi, Siena 1906, pp. 38, 40-45; E. Michel, La sciabola che fu cinta dal gen. C. De Laugier a Curtatone e Montanara, in Il Risorgimento italiano, I(1908), pp. 509s.; R. Della Torre, L'evoluz. del sent. naz. in Toscana, Milano-Roma-Napoli 1915, pp. 120 ss.; C. Masi, L. Cipriani e V. Salvagnoli, in Arch. stor. di Corsica, VII(1931), pp. 110 s.; Questionario-risposte, ibid., pp. 112 s., 270, 415; M. Roselli Cecconi, L'albero geneal. della famiglia Cipriani del Capocorso, ibid., IX(1933), pp. 564 ss.; Diz. d. Risorg. naz., II, pp. 698 s.