LUDOLF, Giuseppe Costantino
Nacque a Istanbul il 24 giugno 1787, da Guglielmo, ambasciatore di Napoli presso la Porta ottomana, e dalla tedesca Eleonore Weyröther.
La famiglia Ludolf, originaria di Erfurt in Turingia, era stata elevata dall'imperatore Carlo VI d'Asburgo nel 1712 alla dignità cavalleresca del Sacro Romano Impero, con il predicato di von, e poi, nel 1734, s'era spostata a Napoli al seguito del re Carlo di Borbone. Il nonno del L., Guglielmo Maurizio, fu il primo rappresentante diplomatico del Regno di Napoli presso l'Impero ottomano.
Nel 1794, ancora in tenera età, venne inviato dal padre insieme con il fratello maggiore a Vienna, sotto la scorta dell'abate D. Rufin, un émigré francese, per ricevere un'educazione consona al suo status. Vi sarebbe rimasto fino al 1800 - avendo perso nel frattempo la madre -, completando gli studi in un collegio militare. Tornato brevemente a Istanbul dal padre, presso la cui residenza erano soliti riunirsi i rappresentanti più in vista della diplomazia europea accreditata alla corte ottomana, il L. ne ripartì nel 1801 con destinazione San Pietroburgo, onde perfezionare la sua formazione all'interno dell'istituto aperto nella capitale russa dall'abate Ch.-D. Nicolle, altro religioso emigrato dalla Francia rivoluzionaria.
Nel 1805 il L. iniziò la carriera diplomatica servendo come attaché alla legazione napoletana in Russia, di cui era allora titolare A. Maresca Donnorso, duca di Serracapriola; ma l'avrebbe interrotta subito dopo, e piuttosto a lungo. Formatosi, infatti, all'interno di un ambiente spiccatamente legittimista, consacrava in quello stesso anno il proprio romanticismo generazionale alla causa della riscossa antifrancese e decideva di prendere servizio come ufficiale dei lancieri nell'armata russa.
Nel 1807 il L. prese parte alla battaglia di Friedland, riportando una ferita al collo. Sarebbe, tuttavia, rimasto volentieri sotto le armi se una clausola del trattato di Tilsit, imposto da Napoleone vincitore, non avesse obbligato lo zar Alessandro I a congedare dal suo esercito tutti i numerosi stranieri legittimisti che negli anni precedenti ne erano entrati a far parte.
Tornò così in Turchia, presso il padre, che nel 1809 lo inviò in Sicilia, a presenziare al matrimonio tra Luigi Filippo d'Orléans e Amalia, figlia di Ferdinando di Borbone, rifugiatosi nell'isola dopo la conquista francese del Regno napoletano. La Sicilia fu per lui il punto di partenza di un lungo peregrinare, che lo portò dapprima in Spagna, poi a Tangeri, alle Baleari, a Malta, all'interno del perimetro di quello che era allora lo spazio inglese del Mediterraneo.
Transitato rapidamente di nuovo per Istanbul nel 1810, il L. ne ripartì dopo qualche mese per recarsi in Inghilterra insieme con l'amico inglese H.P. Browne, marchese di Sligo e, lungo il tragitto, poté visitare la Grecia. Durante la permanenza in Inghilterra e in Irlanda condusse una vita da aristocratico, dilettandosi, tra l'altro, di musica, di pittura, di canto. Sempre insieme con Browne intraprese, nel 1813, un nuovo viaggio in una Europa continentale dove la stella di Napoleone si stava ormai appannando. Soggiornò a Vienna presso la sorella, e in Ungheria, ospite del principe N. Esterházy.
Nel 1816, reinsediati i Borboni sul trono delle Due Sicilie, riprese la carriera diplomatica interrotta più di dieci anni prima: fu destinato proprio alla sede di Istanbul, a rimpiazzare il padre, nel frattempo inviato a raggiungere la sede di Londra. Intanto nel salotto del ministro austriaco a Napoli aveva conosciuto la contessa Tecla Weissenhof, sposandola poco dopo.
La coppia, partita da Napoli nel 1816, sarebbe rimasta nella capitale ottomana fino al 1821, quando il L., rifiutatosi di riconoscere il governo costituzionale insediatosi a Napoli, si dimise, con l'intenzione, comunque, di fare ritorno sotto il Vesuvio. Quando vi giunse, dopo una sosta a Malta, il regime costituzionale era stato sconfitto e il sovrano lo incaricò subito di una delicata missione straordinaria, chiedendogli di portare al principe Alvaro Ruffo, allora ambasciatore a Vienna, l'ordine di tornare a Napoli per assumervi importanti incarichi politici.
A Napoli i Ludolf allestirono una lussuosa dimora, esoticamente contraddistinta dalla presenza - caso unico nella società aristocratica partenopea del tempo - di un maggiordomo turco e di due domestiche greche, che la coppia aveva portato con sé da Istanbul.
Intimo della corte, di lì a qualche anno il L. avrebbe peraltro ripreso la carriera diplomatica. Nominato inviato straordinario e ministro plenipotenziario presso lo zar Alessandro I con decreto del 2 maggio 1824, gli accadeva così, a distanza di poco meno di vent'anni, di fare ritorno in quella San Pietroburgo dove aveva passato il tempo dell'adolescenza. Vi rimase diversi anni, durante i quali - mentre alternava alle incombenze diplomatiche la passione per la caccia all'orso e per la musica - si venivano appuntando sulla sua divisa varie onorificenze equestri borboniche. Nel dicembre 1832 raggiunse quello che era allora considerato l'apice della carriera diplomatica delle Due Sicilie: la carica di ministro plenipotenziario napoletano a Roma presso la S. Sede, che avrebbe tenuto, almeno formalmente, fino alla caduta del Regno, nel 1860.
Fu, lungo l'arco di circa un trentennio, figura di primo piano, non solo per la sua carica residenziale, ma anche per una serie di incombenze straordinarie che gli vennero attribuite. Tra la fine degli anni '30 e l'inizio degli anni '40 guidò la delegazione napoletana nella commissione mista che risolse un contenzioso quasi secolare intorno alla definizione dei confini tra il Regno delle Due Sicilie e lo Stato pontificio, e sempre durante il pontificato di Gregorio XVI si impegnò con successo nelle trattative per il ristabilimento nel Regno dell'Ordine di Malta, incarico che gli fruttò l'onorificenza di balì dell'Ordine di Malta e quella di gran croce dell'Ordine pontificio di S. Gregorio.
Nel frattempo, la sua residenza romana di palazzo Farnese era sede di un cenacolo culturale (in particolare vi si svolgevano letture pubbliche di Dante) che però paradossalmente destò i sospetti della polizia papale, che chiese e ottenne la cessazione delle riunioni che vi si tenevano.
Così come s'era mostrato nettamente avverso alla costituzionalizzazione del 1820-21, il 1848 lo vide schierato sul fronte dell'ostilità alla liberalizzazione. Il L. era un aristocratico disposto tutt'al più a una accezione moderata all'inglese delle libertà costituzionali; non, invece, a una loro torsione democratica secondo il modello francese. E, tuttavia, una volta emanata la costituzione a Napoli, non poté fare a meno di affacciarsi al balcone di palazzo Farnese davanti alla folla plaudente che festeggiava la rivoluzione. Il nuovo ministro degli Esteri napoletano, L. Dragonetti, lo richiamò però immediatamente a Napoli, da dove nei convulsi mesi seguenti egli si mosse per una serie di delicate missioni, dapprima in Spagna (dove ricevette la nomina a cavaliere dell'Ordine di Carlo III), poi a Parigi e a Londra, dove incontrò G. Cavaignac e R. Peel.
Nel 1849 fu quasi sempre a Gaeta, in assistenza della famiglia reale che vi si era recata per stare in prossimità del papa fuggito da Roma, ed ebbe un ruolo di primo piano nella definizione degli accordi tra le potenze europee che tendevano alla restaurazione del vecchio ordine e al reinsediamento del pontefice.
Nominalmente, per tutto il corso degli anni '50, il L. continuò a figurare come il titolare dell'ambasciata napoletana a Roma. Ma in quel palazzo Farnese che al suo rientro in città aveva trovato devastato e saccheggiato - sia dai repubblicani, sia dai Francesi - soggiornò in realtà assai di rado. Nel 1851 scortò personalmente il papa di ritorno nella sua capitale, ricevendo per l'occasione la gran croce dell'Ordine Piano. Negli anni seguenti rimase in costante prossimità di Ferdinando II, consigliere fra i più fidati, e svolse alcuni rilevanti incarichi straordinari nei giochi diplomatici della grande politica europea.
Centrale fu la sua attività in occasione della crisi diplomatica del 1856, primo evidente segnale dell'isolamento internazionale in cui stava precipitando il Regno delle Due Sicilie. In seguito alla campagna di stampa antiborbonica svolta da W.E. Gladstone, Inghilterra e Francia avevano minacciato l'invio di alcune navi da guerra nel golfo di Napoli se il re non avesse concesso un'amnistia, liberalizzando nel contempo almeno in parte la vita politica.
Il L. era cosciente che "nell'opinione d'Europa" il Regno delle Due Sicilie "era caduto troppo in basso". "Il Regno che dovrebbe essere il primo tra gli Stati italiani - proseguiva nelle sue riflessioni, affidate in quella occasione a un memorandum - non è, in realtà che l'ultimo ed è il Piemonte che ha preso il nostro posto". Per questo si sforzò di convincere il sovrano ad accedere, almeno in parte, alle richieste delle due grandi potenze trovando nella "fermezza del re [(] una imperdonabile ostinazione" (Zazo, p. 62). Riuscì tuttavia a evitare che la minaccia anglo-francese si convertisse in realtà e le cannoniere delle due grandi potenze non si presentarono, come si temeva, al largo del golfo. Il 21 ott. 1856 Francia e Inghilterra ritirarono però le rispettive legazioni dalla capitale del Regno, rendendo così manifesta la loro presa di distanza dai Borboni di Napoli.
Nel 1859, al momento dell'ascesa al trono di Francesco II, il vecchio e navigato diplomatico (che nel frattempo era stato insignito anche del gran collare dell'Ordine di S. Gennaro, massima onorificenza del Regno) eseguì la sua ultima missione. Si recò ancora una volta a San Pietroburgo, ad annunciare ufficialmente allo zar Alessandro II l'insediamento del nuovo sovrano e a chiedere l'appoggio russo per quella che si presentava ormai come una dinastia sotto la minaccia di essere scalzata. Venne accolto con grandi onori e gli venne conferito l'onorificenza dell'Ordine di Sant'Alexander Nevski.
Vicino al re nei momenti in cui questi - come avevano già fatto nel 1820 e nel 1848 i suoi predecessori - giocò la carta della concessione della costituzione, al momento dell'ingresso di Garibaldi a Napoli il L. aveva già presentato la sua pratica di pensionamento, che le nuove autorità gli riconobbero. Va tenuto presente che suo genero, il generale G.S. Pianell, che aveva sposato nel 1856 sua figlia Eleonora, e che era stato ministro della Guerra nel tramonto del Regno borbonico, aveva aderito attivamente al nuovo ordine.
Dopo l'Unità, il L. si ritirò dalla vita pubblica e visse nei lustri seguenti tra Firenze, Torino e Verona, appoggiandosi al figlio Guglielmo e alla figlia Eleonora dopo essere rimasto vedovo nel 1869.
Il L. morì a Verona il 21 giugno 1875.
Fonti e Bibl.: Presso la Società napoletana di storia patria esiste un fondo d'archivio della famiglia Ludolf, che è stato gravemente danneggiato dai bombardamenti della seconda guerra mondiale e le cui carte superstiti sono in via di ricomposizione e inventariazione. Per altri documenti v. Arch. di Stato di Napoli, Archivio Borbone, nn. 818, 1041, 1052, 1124, 1140, 1392, 1393, 1468, 1469; E. Ludolf, Aperçu sur la vie du comte Joseph-Constantin L.: hommage à sa mémoire par sa fille Éléonore, Verona 1877; G. Gallavresi, La vita avventurosa di un ambasciatore italiano dell'antico regime. Il conte G.C. L., in Rassegna nazionale, 16 ag. 1904, pp. 576-583; Id., Le comte Joseph-Constantin L.: un ambassadeur italien sous l'ancien régime, Paris 1905; A. Zazo, La rottura delle relazioni diplomatiche anglo-francesi col Regno delle Due Sicilie nel 1856 nell'inedito "memorandum" di un diplomatico napoletano, in Samnium, XXIX (1956), 1-2, pp. 52-82; V. Spreti, Enc. storico-nobiliare italiana, IV, pp. 174 s.