DE CESARE (Di Cesare), Giuseppe
Nacque a Napoli il 5 genn. 1777, da Ottaviano - che svolse professione di giurista ma fu anche poeta e letterato, iscritto nell'Arcadia reale coi nome di Incognito - e da Vincenza Petti dei baroni delle Fratte. La famiglia, residente a Napoli dal XVI secolo, era originaria di Squillace in Calabria ed ebbe rappresentanti famosi in vari campi, artistico, scientifico, militare.
Il D. studiò nel collegio dei nobili di Napoli, ma nel 1795 con la morte del padre, si trovò investito delle responsabilità di capo famiglia. Partecipò alla rivoluzione partenopea del 1799, entrando nel Corpo municipale della Repubblica, mentre il fratello minore Francesco militava nell'esercito repubblicano. Furono entrambi tra coloro che si barricarono in Castel Sant'Elmo e, dopo la capitolazione, furono rinchiusi con altri rivoluzionari nelle carceri della Vicaria. Il D. fu infine condannato all'esilio e alla confisca di tutti i beni posseduti nel territorio del Regno, come risulta dalla Filiazione de' Rei di Stato condannati dalla Suprema Giunta, in vita e a tempo, ad essere asportati da' reali dominii (Napoli 1800, p. 36). Egli si imbarcò per la Francia e, giunto a Marsiglia, ritrovò il fratello Francesco, partito per l'esilio poco prima. Mentre Francesco si arruolava nell'esercito francese, sembra che il D. fosse in trattative con un impresario per un ingaggio come tenore, intendendo così sfruttare il naturale talento musicale e gli studi intrapresi anni addietro. Frattanto, però, dopo la vittoria di Marengo la situazione dei fuorusciti napoletani mutò. Napoleone aveva, infatti, ottenuto il rimpatrio e la restituzione dei beni confiscati per i combattenti della Repubblica partenopea e molti esuli stavano già sulla via del ritorno. Il D. però non rientrò subito in patria, in quanto fu nominato segretario di legazione della Repubblica cisalpina prima a Genova e poi a Firenze.
Il periodo fiorentino fu per il D. molto felice. In questa città riprese i suoi studi letterari, storici, filosofici e pubblicò la sua prima opera, la traduzione della Vita di Agricola di Tacito. Questo lavoro ottenne una certa fama, come è testimoniato dalle lettere scritte al D. da V. Monti, S. Bettinelli, M. Cesarotti negli anni 1805-1807, e favori il suo inserimento nella società letteraria fiorentina; il D. fece anche parte dei gruppo impegnato nella fondazione di un'accademia per la storia patria di Firenze. A questi anni risale anche la realizzazione del saggio l'Esame della Divina Comedia, che verrà però pubblicato a Napoli nel 1807, e che, come l'opera precedente, otterrà un certo successo e buoni giudizi da parte di molti letterati, tra cui erano B. Puoti, V. Monti, P. L. Ginguené.
Nel 1807, espresso il desiderio di tornare a Napoli, il D. ottenne dal conte J.-A. Agar de Mosbourg la carica di capo divisione nel ministero delle Finanze e fu anche insignito della croce di cavaliere, onorificenza di cui fu sempre orgoglioso. A Napoli continuò la sua attività letteraria, che si concretò in numerose pubblicazioni e nella collaborazione a diverse riviste letterarie locali. Collaborò inoltre alla progettazione del nuovo sistema finanziario, ricoprendo dal 1812 al 1820 la carica di amministratore generale dei Dazi indiretti. La restaurazione della dinastia borbonica, avvenuta nel 1815, non portò cambiamenti nella condizione del D., al quale venne infatti confermato l'incarico.
In questi anni (1811-1817), precisò il suo rapporto con la filosofia della storia del Vico. Pur ammirandone la genialità e la profonda erudizione, il D. non accettava quello che definiva un "malaugurato sistema fatalistico", sentendosi Piuttosto favorevole a una concezione didattica e moralistica della storia, a un sistema filosofico in cui fossero lasciate maggiori possibilità all'intervento umano e alla buona volontà dei popoli.
Nel 1819 si unì in matrimonio con Marianna, diciannovenne figlia del maggiore Luigi dei baroni Tafuri e di Maria Giuseppa dei Medici dei principi di Ottaiano. Dal matrimonio nacquero sette figli, di cui solo due sopravvissero, Adolfo e Vincenza; Marianna morì nel 1836.
Durante il moto costituzionalista del 1820, il D. assunse la direzione de La Voce del secolo, giornale che tendeva a porsi come mediatore tra le richieste dei più arditi costituzionalisti e il sovrano. Egli fu anche nominato ministro plenipotenziario presso la S. Sede dal duca di Campochiaro, allora ministro degli Affari esteri. Nel 1821, con la restaurazione e la conseguente repressione, il D. fu sollevato dal suo incarico di amministratore generale dei Dazi indiretti, perse lo stipendio e dovette sfuggire, nascondendosi, ad un ordine di arresto spiccato nei suoi confronti. Per intercessione della famiglia di sua moglie, il mandato d'arresto fu revocato, ma rimase comunque operante il licenziamento.
Nonostante le gravi difficoltà economiche, il D. intensificò l'attività culturale: fu socio dell'Accademia Pontapiana e nel 1833 pubblicò a Napoli l'Arri d'Abbate..., romanzo storico che suscitò discordi giudizi tra i contemporanei: piacque a V. Monti e a G. B. Niccolini, fu invece criticato da C. Balbo e C. Troya. Anche un suo nuovo romanzo storico, la Storia di Manfredi (Napoli 1838) ebbe una certa risonanza; pubblicava intanto articoli ed interventi in varie riviste, quali l'Enciclopedico, Poliorama, Temi, Aurora, il Progresso delle scienze e delle lettere, di cui divenne direttore nel 1839, e l'Eco napoletana, di cui fu il fondatore. Nello stesso periodo la sua casa si aprì come punto d'incontro per un largo numero di studiosi e letterati.
Nel 1848, dopo lo scoppio dei moti nel Napoletano, il D. fu inviato dal governo costituzionale come intendente nella provincia di Bari, ma ben presto si dimise. La reazione ai moti comportò per lui un periodo di gravi disagi: non fu condannato per riguardo alla sua età avanzata, ma le sue già precarie condizioni economiche peggiorarono sensibilmente. Fu anche colpito da un progressivo abbassamento della vista, oltre che da un aggravarsi complessivo delle sue condizioni di salute. Ma ciò che dovette farlo soffrire di più, fu la situazione di estrema solitudine in cui venne a trovarsi, dato che tutti i suoi collaboratori e amici erano stati allontanati in esilio.
Dopo lunghi anni di solitudine, amarezze e delusioni, morì a Napoli il 15 apr. 18.56.
Tra i suoi scritti principali: Vita di Agricola, Firenze 1806; Esame della Divina Comedia, Napoli 1807; Sull'origine vera de' sagrificii, ibid. 1807; Sommario della terza edizione della Scienza nova, ibid. 1811; Arrigo d'Abbate o vero la Sicilia dal 1296 al 1313, ibid. 1833; Storia di Manfredi, re di Sicilia e di Puglia, ibid. 1837; Considerazioni Piella storia, ibid. 1843; Delle presenti condizioni della muúca, ibid. 1843; Il vandalismo, ibid. 1845; Assiomi contro la pena di morte, ibid. 1848; Poche parole intorno alla mia missione in Terra di Bari, ibid. 1848; Glorie italiane dei secolo XIII, o sia la Lega lombarda, ibid. 1848; Gli assiomi intorno alla musica, ibid. 1852; Raccolta epistolare, ibid. 1853.
Fonti e Bibl.: Epistolario di V. Monti. a cura di A. Bertoldi, ad Indicem; N. Castagna, G. di Cesare. Ricreazioni letterarie, in La Rassegna nazionale, 16 maggio 1885, pp. 204-28; 1° luglio 1885, pp. 31-37, G. Dei Giudice, La vita e le opere del cav. G. D., in Atti dell'Accad. Pontaniana, XXXI (1901), pp. 1-65; ivi anche l'Elogio (inedito) del cav. G. D. letto da B. Capasso nella tornata dell'Accad. Pontaniana del 12 giugno 1856; lo scritto di Del Giudice è recensito in Archivio storico per le Provincie napol., XXVII (1902), 1, pp. 65 s. Testimonianze dei rapporti dei D. con i contemporanei in G. De Cesare, Raccolta epistolare, Napoli 1853; Spigolature nel carteggio letter. e Politico del march. Luigi Dragonetti, Firenze 1886, pp. 10 s.., 290 s. Giudizi critici sulle opere del D.: M. Baldacchini, Del romanzo stor. e di un'opera di D., in Progresso delle scienze, delle lettere e delle arti, II (1833), 4, pp. 77-89; G. Mazzoni, L'Ottocento, Milano 1949, pp. 367, 376, 584, 893; M. Sansone, La letteratura a Napoli dal 1800 al 1860, in Storia di Napoli, IX, Napoli 1972, p. 510.