DE MARINI, Giuseppe
Nato a Milano il 13 ag. 1772 da un medico di cui non si conosce il nome, al cognome paterno Marini, aggiunse poi il De, probabilmente per motivi d'arte. Studiò a Monza, poi nelle scuole di Brera a Milano e, per volere dei genitori, si impiegò in un ufficio delle finanze. La passione per il teatro lo spinse ad iniziare l'attività d'attore in compagnie filodrammatiche dilettanti milanesi. Il vero debutto avvenne a Lodi nel 1798, nella compagnia di Pietro Pianca, che lo aveva scritturato come primo amoroso apprezzandone subito le doti. Dopo due anni passò nella compagnia di Andrea Bianchi e quindi in quella di Giacomo Dorati (o viceversa; le fonti in proposito sono controverse) - salvo una breve interruzione, durante la quale tornò all'impiego per esortazione dei genitori - riportando sempre notevole successo.
Nel 1807 veniva creata, per volere del viceré Eugenio de Beauharnais, la prima compagnia italiana sovvenzionata - ad imitazione di quella francese - denominata ufficialmente Compagnia dei commedianti italiani ordinari di S.M. imperiale e reale, con sede principale al teatro della Scala di Milano. La scelta degli attori era demandata al ministero degli Interni, l'organizzazione e direzione al capocomico Salvatore Fabbrichesi. A farne parte, insieme agli attori più famosi dell'epoca, fu chiamato il D. nel ruolo di primo attore assoluto nei drammi e nelle commedie con scelta di parte, a fianco di P. Belli Blanes, primo attore tragico (fino al 1812), quando questi lasciò la Compagnia per rivalità col De Marini.
Con la caduta di Napoleone e del Regno d'Italia la compagnia, che aveva un repertorio molto vasto, si trasferì a Napoli, dove fu sovvenzionata da Ferdinando I e recitò al teatro dei Fiorentini fino al 1823. In seguito il D. - che si era sposato nel 1824 con Virginia Trenca - seguì ancora il Fabbrichesi nell'Italia centrale e settentrionale, fino alla di lui morte avvenuta improvvisamente a Verona nel 1827 in quella occasione, insieme a Luigi Vestri, continuò le recite fino alla fine dell'anno per aiutare la vedova. Tornato quindi a Napoli, ancora al teatro dei Fiorentini nella compagnia G. B. Prepiani-A. Tessari-G. B. Visetti che lo aveva scritturato per gli anni 1828-30, per un intervento chirurgico dovette lasciare il teatro. Ritornò sulle scene suscitando una festosa accoglienza del pubblico il 15 marzo 1829, ma di nuovo dovette abbandonarle dopo poche recite per l'aggravarsi delle sue condizioni.
Morì a Santa Maria Capua Vetere (prov. di Caserta) il 10 maggio 1829.
L'aspirazione e l'intento del D., come scrive il Colomberti, erano di recitare nel maggior numero possibile di ruoli, come aveva visto fare con successo da un altro grande attore, lo Zenarini. E infatti, prima di entrare nella compagnia del Fabbrichesi, interpretava personaggi sia di commedie sia di drammi e tragedie, e sempre con grande successo. Il giudizio dei contemporanei è unanimemente positivo, unito al riconoscimento di una grandissima versatilità nella recitazione. Viene ricordato come "il più valoroso ed acclamato attore vivente, una versatilità prodigiosa..., una voce insinuante ed a vicenda dolce, maschia, robusta, maneggiata nelle graduazioni con mirabile maestria; un aspetto seducente, un portamento grazioso e nobilissimo, una tal verità nell'espressione delle passioni e nell'espansione degli affetti fanno sì che nessuno più di lui è stato padrone del cuore degli spettatori; nessuno più di lui ha saputo e sa agitarli, commuoverli, straziarli" (Righetti, p. 115). Ancora viene descritto come "ammirabile per pittorica bellezza di forma, somma potenza di voce e prodigiosa trasformazione di se medesimo" (Bonazzi, p. 11). Vengono così messe in luce le qualità specifiche della sua recitazione e della sua figura di attore quali la prestanza fisica, la capacità di coinvolgimento degli spettatori nei sentimenti e nelle passioni portate sulla scena, e la nitidezza della voce; inoltre si evidenziano soprattutto la "naturalezza" della recitazione e, in particolare, lo studio preliminare del personaggio da interpretare. In ciò il D. manifesta una novità nell'esercizio della sua arte: l'esame attento ed accurato dei caratteri; la preparazione lunga e studiata del personaggio, che lo portava a leggere più volte il copione e a preferite, se gli era più congeniale, un personaggio secondario; l'accurata scelta degli abiti, che a suo parere contribuivano in modo determinante all'effetto scenico; la fedeltà al carattere interpretato. In pratica ogni suo tono e gesto erano frutto di una scelta meditata insieme al trucco e ad ogni minimo particolare ed accessorio che potesse contribuire ad una più efficace resa e di cui faceva uso sulla scena con studiata naturalezza. Per queste doti annoverato tra i grandi del teatro italiano, fu anche consideràto un precursore di Gustavo Modena, e in realtà rappresentò l'inizio di una recitazione più legata allo studio che all'improvvisazione scenica, e ad essa si riferirono i maggiori attori che vennero dopo di lui.
Il suo repertorio fu vastissimo, interpretando ruoli sia tragici sia comici. Nelle tragedie è ricordato per la recitazione del Caio Gracco di V. Monti (fu il primo a recitare questa opera), Orosmane nella Zaira di Voltaire, Carlo nel Filippo, Icilio nella Virginia ed Emone nell'Antigone di V. Alfieri, ecc. Abbandonata la tragedia, nella commedia le sue maggiori interpretazioni furono Bonfil nella Pamela, Lindoro nella Zelinde, Fulgenzio negli Innamorati di Goldoni, e ancora Lelio nel Bugiardo, il conte di Casteldoro nell'Avaro fazioso, ecc. Nei drammi interpretò il Giuocatore e il Cugino di Lisbona diA. W. Iffland, l'Abate del'Epée di J.-N. Bouilly, la Scuola dei vecchi di C. Delavigne, e ancora recitò nelle commedie di S. A. Sografi, TomJones e La quartagenerazione, nel Benefattore e l'orfana e nel Filosofocelibe di A. Nota, ecc., interpretando ruoli e personaggi di ogni età e condizione sociale.
Fonti e Bibl.: Roma, Bibl. d. Ist. naz. di arch. e storia dell'arte, ms. 21: A. Colomberti, Memorie artistiche dei più distinti comici e comiche che adornarono le scene italiane dal 1780 al 1869, pp. 130-37; Ibid., ms. 22: Id., Cenni artistici dei comici italiani dal 1550 al 1780 compilati dall'artista comico F. Bartoli e dall'attore A. Colomberti continuati fino al 1880, pp. 171-75; Roma, Bibl. teatrale del Burcardo, ms. 3-42-8-33A: Id., Notizie storiche dei più distinti comici e comiche che illustrarono le scene italiane del 1780 al 1880, pp. 124-27; F. Regli, Diz. biogr. dei più celebri poeti ed artisti melodrammatici, tragici e comici..., Torino 1860, pp. 160 s.; F. Righetti, Teatro italiano, Torino s. d., pp. 115 ss.; L. Bonazzi, G. Modena e l'arte sua, Città di Castello 1884, pp. II, 13;L. Rasi, I comici ital., I, Firenze 1897, pp. 752-56; G. Costetti, Ilteatro ital. nel 1800, Rocca San Casciano 1901, pp. 35-43; M. Apollonio, Storia del teatro ital., Firenze 1950, IV, pp. 128 s.; S. D'Amico, Storia del teatro, Milano 1958, III, pp. 80, 150; Enc. Ital., XII, p. 578; Enc. dello spett., IV, coll. 449 s.