MEDICI, Giuseppe de’. –
Nacque a Ottaiano (oggi Ottaviano) nel 1635, figlio primogenito di Ottaviano e Diana Caracciolo.
Il M. discendeva da un ramo cadetto della dinastia granducale fiorentina dei Medici, trasferitosi nel Regno di Napoli nel 1567 con Bernardetto, che aveva venduto a Cosimo I tutte le sue numerose proprietà in Toscana e aveva acquistato per 50.000 ducati da Cesare Gonzaga il feudo di Ottaiano, sito lungo le pendici orientali del Vesuvio, divenendone primo barone. Da quel momento i Medici di Ottaiano vissero da protagonisti le vicende storiche e politiche del Regno di Napoli. Mantennero, tuttavia, stretti legami con i granduchi di Firenze con i quali condivisero scelte politiche e logiche clientelari. Ai fini della loro piena affermazione tra i ranghi del maggiore baronaggio napoletano, furono importanti le strategie matrimoniali che portarono i Medici a stringere legami con le più ragguardevoli e ricche famiglie del Regno. Il padre del M., ereditato titolo e feudo dal fratello primogenito Bernardetto – che era morto senza figli e che nel 1609 aveva ricevuto dal sovrano Filippo III il titolo di principe – sposò nel 1624 Diana Caracciolo, figlia del principe di Santo Buono e già duchessa di Boiano. Tale matrimonio fu fondamentale per risollevare la sua situazione finanziaria. Sulle rendite di Ottaviano, infatti, gravavano numerosi debiti, e l’eruzione del Vesuvio del 1631 che devastò l’abitato di Ottaiano, danneggiando pesantemente raccolti, magazzini e abitazioni, compresa quella del principe, non fece che aggravare le sue non floride condizioni economiche.
Il 13 sett. 1639 Ottaviano firmò l’atto di rinuncia e vendita della terra e del titolo di principe di Ottaiano in favore del M., sotto tutela della moglie, che si impegnò a pagare 58.936 ducati in quattro anni. Nel 1652 Diana cedette tutti i suoi cospicui beni ai figli: oltre al M., Francesca, Domenico e Delia. Con il M., i Medici di Ottaiano fecero un ulteriore salto di qualità all’interno del maggiore baronaggio napoletano; questa ascesa fu facilitata dai legami sempre più stretti che egli riuscì a instaurare con i viceré spagnoli che si susseguirono a Napoli e dal costante interessamento da parte del granduca di Firenze Cosimo III.
Il M. agì su più versanti, con una strategia assai articolata e attenta agli aspetti politici, economici, culturali. Da una parte procedette all’acquisto di nuovi feudi che accrebbero patrimonio e prestigio: ai piccoli feudi di Belcampo e Starza, comprati nel 1694, si aggiunse, l’anno dopo, quello di Sarno, che acquistò da Urbano Barberini, principe di Palestrina, per 62.000 ducati, e per il quale ottenne il titolo ducale.
Nel 1687 il M. aveva acquistato un palazzo a Napoli, nella centrale via dei Calzettai, che divenne la residenza cittadina dei Medici, segno visibile della loro presenza nella vita della capitale. Il M., inoltre, che nutriva interessi letterari, fu iscritto all’Arcadia con il nome di Delfino Eracleo.
Anche il matrimonio con Andreana d’Avalos de Guevara rientrava nel progetto di consolidamento della sua posizione sociale, dal momento che la moglie apparteneva a una delle famiglie più importanti e ricche del Regno. A coronamento di questa significativa affermazione nel 1686, anche grazie all’interessamento di Cosimo III che intercedette presso la corte madrilena, la famiglia fu ascritta al «sedile» di Capuana e il M. divenne, di fatto, esponente della nobiltà di seggio napoletana.
Fu, comunque, soprattutto negli anni a cavallo tra il XVII e il XVIII secolo che il M. e la sua famiglia mostrarono un maggiore protagonismo politico, approfittando della difficile situazione internazionale apertasi già durante gli ultimi anni del regno di Carlo II ed esplosa dopo la morte di questo, nel 1700, con la guerra di successione spagnola. Nel Regno di Napoli il conflitto e le vicende politiche e diplomatiche a esso legate ebbero pesanti ripercussioni nei ranghi dell’aristocrazia, i cui esponenti furono costretti a schierarsi a favore dei candidati che aspiravano alla Corona spagnola: Filippo d’Angiò, nipote di Luigi XIV, e Carlo d’Asburgo, figlio dell’imperatore Leopoldo I.
I Medici, seguendo anche la linea politica suggerita da Cosimo III, che dietro un’apparente neutralità si trovò di fatto a sostenere il candidato francese, si allinearono alle scelte testamentarie di Carlo II, ampiamente appoggiate dalla corte madrilena, che designò Filippo d’Angiò come proprio successore. Il M. divenne uno dei referenti più sicuri e fidati della corte spagnola e, in particolare, dei viceré che governarono il Regno di Napoli in quei convulsi anni, primo tra tutti il duca di Medinaceli, Luis Francisco de La Cerda. Nel 1697 il vicerè assegnò al M. la carica di reggente del tribunale della Vicaria, un incarico delicato a capo di uno degli organismi amministrativi più importanti del Regno. Tuttavia il M. in un primo momento non si dimostrò propenso ad accettare tale nomina, poiché, sosteneva, «era stata destinata, negli ultimi anni, a uomini di rango inferiore al suo» (Confuorto) e solo le insistenze del viceré lo convinsero ad assumerla. Nello svolgimento delle sue funzioni il M. si mostrò, comunque, assai scrupoloso, severo e imparziale, anche nei confronti della nobiltà e del clero, e ciò gli provocò parecchie inimicizie. Nel frattempo, grazie all’interessamento del granduca Cosimo III e dello stesso viceré, il M. ottenne, nel 1700, l’ambito titolo di grande di Spagna di prima classe.
Il viceré, che definì il M. il suo «braccio destro» (Nicolini), poté effettivamente contare sul M. che si prodigò molto per mantenere l’ordine e la sicurezza in città, impegnandosi personalmente nelle ronde, rafforzando la gendarmeria cittadina e ispezionando sistematicamente locande e taverne per scovare e arrestare spie, traditori e facinorosi che minacciavano l’ordine pubblico. Fondamentale fu, inoltre, il suo ruolo durante le convulse vicende della cosiddetta congiura di Macchia (ottobre 1701), in cui furono coinvolti molti esponenti della maggiore nobiltà napoletana che, disconoscendo Filippo d’Angiò come proprio sovrano, volevano impadronirsi della città, uccidere il viceré e offrire il Regno a Carlo d’Asburgo.
La congiura fallì anche grazie all’intervento del M. e di altri nobili fedeli al viceré, che misero in fuga la maggior parte dei congiurati, prendendone alcuni prigionieri. Tuttavia, proprio l’eccessivo rigore della repressione, con le teatrali esecuzioni capitali di Giuseppe Capece e di Carlo di Sangro, appartenenti a due delle maggiori casate del Regno, destarono vivissimo risentimento nella nobiltà e persuasero le corti di Madrid e Parigi sull’opportunità di rimuovere Medinaceli dalla carica.
L’allontanamento del viceré da Napoli e la sua sostituzione con il marchese di Villena, don Juan Manuel Fernádez Pacheco y Zúñiga provocarono un profondo malumore tra i fedelissimi di Medinaceli e tra questi il M., che si dimise dalla carica di reggente della Vicaria, alla quale era stato nominato per un altro biennio.
Negli anni successivi, e soprattutto dopo la conquista austriaca del Regno di Napoli (1707), il M. visse in una posizione politica più defilata, mentre il figlio primogenito, Ottaviano, che nel 1696 aveva ricevuto dal M. il titolo di duca di Sarno e nel 1702 era stato insignito della chiave di gentiluomo di camera del re Filippo V, ebbe un ruolo di primo piano nelle vicende politico-militari, combattendo nell’esercito borbonico in qualità di capitano di compagnia di cavalleria (diploma del 27 ott. 1701), come tenente colonnello (1702), brigadiere di fanteria e cavalleria (1703), maresciallo di campo (1706), tenente generale (1709). Morì prima del M., nel 1710, nella battaglia di Almenara, in Catalogna.
Il 15 giugno 1717 il M. firmò il suo testamento, con il quale nominò erede il nipote Giuseppe Maria, figlio primogenito di Ottaviano; molto probabilmente morì nello stesso anno.
Fonti e Bibl.: Roma, Palazzo Lancellotti, Archivio Medici di Ottaiano, Rubrica 1, sez. 1.1; sez. 2, artt. 11.5, 15.9, 19.14; G.B. Vico, La congiura dei principi napoletani del 1701, a cura di E. De Falco, Napoli 1979, pp. 50 s., 74, 77 s., 87, 120 s., 137 s.; B. Candida Gonzaga, Memorie delle famiglie nobili delle province meridionali d’Italia, V, Napoli 1879, p. 97; D. Confuorto, Giornali di Napoli dal 1679 al 1699, a cura di N. Nicolini, II, Napoli 1931, p. 266; F. Nicolini, L’Europa durante la guerra di successione di Spagna…, Napoli 1939, p. 18; G. Galasso, Napoli spagnola dopo Masaniello: politica, cultura, società, Firenze 1982, II, pp. 495, 509, 580 s., 595, 615, 625, 630, 637, 639; O. de’ Medici di Toscana di Ottajano, Storia della mia dinastia…, Firenze 2001, pp. 230 s.
F.F. Gallo
de’
. –