DEL PAPA, Giuseppe
Nacque a Empoli (prov. di Firenze) il 1° marzo 1648 da Marco ("onorato e agiato galantuomo", lo dirà Giovanni Gaetano Bottari nell'elogio del D.) ed Elisabetta Canneri.
Compiuti gli studi primari e secondari, a quanto sembra privatamente, con ottimo esito, la famiglia lo iscrisse ai corsi giuridici dell'università di Pisa. Non avvertendo disposizione per quegli studi (Bottari insisterà sulla sua ripugnanza per l'esercizio dell'avvocatura, pur rilevando in lui il possesso d'una solida base giuridica), il D. vi si applicò inizialmente con impegno e buoni risultati, ma al contempo frequentò le lezioni di filosofia e medicina. Dopo un anno passò al corso di laurea in medicina, dove diversi docenti mantenevano viva la tradizione galileiana, lo sperimentalismo del Cimento e l'impostazione meccanico-corpuscolarista in fisica e medicina, destinata a sfociare, in quel giro di anni, nella iatromatematica dei Borelli, Malpighi e Baglivi.
Furono in particolare i docenti di formazione borelliana a orientare il giovane D.: A. Marchetti, che nei corsi di matematica (con annesse discipline fisiche applicative) e con la sua traduzione di Lucrezio diffondeva le tesi corpuscolari; L. Bellini, che dalla cattedra di anatomia sviluppava il meccanicismo biologico del maestro; D. Rossetti, che nelle letture di logica e filosofia naturale tendeva all'estensione del corpuscolarismo meccanicistico all'intera area delle scienze naturali. Alle loro impostazioni il D. aderì prontamente, ma la tipicità della sua figura, che la rende espressiva d'una precisa fase della storia intellettuale toscana e italiana tra Seicento e Settecento, consisterà nella fusione di questa tradizione concettuale (certamente lo sviluppo ideologico più rigoroso del galileismo) con un bagaglio di procedure e atteggiamenti "pratici", spazianti da certe limitazioni introdotte dalla pratica medica nel rigorismo teorico degli innovatori ad una condotta sociale e professionale atta a far muovere proficuamente il medico "neoterico" in una società parte estranea, parte ostile al substrato ideologico delle sue dottrine.
Questa seconda dimensione provenne al D. essenzialmente dal sodalizio umano e professionale con F. Redi, con il quale (e con un altro medico fiorentino, il Savona) egli usò far pratica fin da studente, recandosi a Firenze durante la pausa estiva delle lezioni. Del Redi, che lo ebbe caro e ne favorì decisivamente la c arriera, il D. assorbì anche l'interesse umanisticoletterario, e tramite lui e i docenti pisani entrò presto in rapporto con i migliori intellettuali toscani di quegli anni, nel mentre si legava a condiscepoli destinati a diventare figure di spicco: L. Terenzi, gli Averani, il futuro cardinale E. Noris, Dati, Viviani, Magliabechi, Menzini, Magalotti, Salvini e altri.
Laureatosi attorno al 1670, discutendo tesi di fisica ispirate ai Saggi del Cimento (il Bottari le dirà stampate, aggiungendo che furono apprezzate da Leopoldo de' Medici, ma oggi sono irreperibili), con l'appoggio del Redi ottenne nel 1671 la lettura di logica nell'università, che terrà fino all'estate del 1675; in questo quadriennio si dedicò tuttavia a letture e riflessioni fisiche, e specificamente a quella sorta di microfisica corpuscolare ipotetica che, emersa in Toscana con Galileo, con l'opera di Borelli, Malpighi e Bellini tendeva a divenire la nuova substruttura interpretativa di fenomeni fisiologici e patologici. Oltre che al nesso con la professione medica, che aveva cominciato ad esercitare, la scelta tematica rispondeva anche all'esigenza di conseguire una lettura di filosofia, più prestigiosa e retribuita di quella di logica: il suo primo scritto, la Lettera intorno alla natura del caldo e del freddo, indirizzata al Redi ed edita a Firenze nel 1674, fu subito seguito (1675) dal conferimento d'una lettura straordinaria di filosofia, nella quale il D. si pose come prosecutore delle posizioni del Rossetti, indotto allora da varie vicende a trasferirsi presso i Savoia.
In questa fase fu anche molto influente sugli orientamenti e la carriera del D. la vicinanza al Marchetti, la cui traduzione lucreziana è il testo più citato nei suoi scritti fisici; i due compirono insieme delle osservazioni sulla cometa del 1680, due resoconti delle quali saranno poi pubblicati dal D. nei suoi Trattati vari. Alla prima Lettera, dopo che nel 1677 ebbe lasciato la lettura filosofica per succedere a G. Pagni in una di medicina, il D. ne fece seguire altre due, ancora indirizzate al Redi e originate da critiche e richieste di precisazione destate dalla prima, che aveva avuto ampia fortuna (Lettera nella quale si discorre, se il fuoco e la luce siano una cosa medesima, Firenze 1675; Della natura dell'umido e del secco, lettera all'illustrissimo, sig. Francesco Redi, ibid. 1681; le prime due lettere saranno ristampate a Firenze nel 1690).
Le lettere sono un documento caratteristico dello stato delle idee sulla struttura della materia nella transizione dalla ripresa dell'atomismo classico del primo Seicento all'approccio quantitativo aperto da Huygens e Newton. Alle ambivalenze insite nella transizione si unirono tratti della formazione culturale dell'autore, come il persistere di vecchie tesi galileiane e l'estraneità ad un trattamento matematico dei dati: da ciò il riferimento immediato, aprioristico e su base analogica delle qualità macroscopiche dei composti alla forma dei corpuscoli costituenti; l'interpretazione materiale e l'identificazione di calore e luce; l'estensione d'un meccanicismo così configurato alla, biologia, e specificamente alla fisiologia umana.
Le considerazioni del D. su quest'ultimo aspetto sono forse le più originali, particolarmente nel caso della produzione del calore animale e degli effetti sugli organismi delle variazioni del calore ambientale, dove si colgono aperture verso una medicina del clima non diversa da quella contemporanea d'un Ramazzini. Il dibattito destato dalle lettere fu notevole, oltre che in sede scientifica, anche in quella filosofica e, latamente, ideologica, per la chiara contrapposizione tra le implicazioni della teoria aristotelica delle sostanze e. delle qualità e quelle del corpuscolarismo. Il D. divenne così uno dei punti di riferimento della reazione dei tradizionalisti, accentrata, stante il declino del monopolio aristotelico nella facoltà filosofica di Pisa, nel collegio fiorentino della Compagnia di Gesù, con personalità come il Baldigiani e il Vanni, cui dette un parziale sostegno il Bartoli: scattava, in costoro, l'identificazione della critica ai modi scolastici di ragionamento con la critica alle stesse concezioni dogmatiche (come ad esempio il dogma eucaristico) tradizionalmente formulate secondo quei modi. Il D. ebbe cura di circoscrivere accuratamente il senso scientifico della polemica, ottenendo così la cessazione dei contrasti, mentre si defilerà alcuni anni dopo quando essi riemergeranno nuovamente nelle loro piene valenze metafisico-teologiche.
Attorno al 1675, in un soggiorno dei Medici a Pisa, il D. fu precettore per la matematica del principe Francesco Maria, che a Firenze studiava la materia con il Viviani; tra i due nacque molta familiarità, e il principe volle che, nei periodi di minore impegno, il D. gli facesse lezione anche a Firenze. In seguito il Medici l'aiutò a conseguire una lettura vacante di medicina. Da allora la consuetudine del D. con la famiglia granducale crebbe al punto che i contemporanei parlarono d'una "quasi venerazione" di questa per lui; nel 1678 egli impartì i rudimenti di fisica e astronomia alla principessa Anna, figlia di Cosimo III e futura moglie dell'elettore palatino Giovanni Guglielmo di Neuburg (una Sfera del mondo e delle Conclusioni di filosofia naturale scritte nella circostanza saranno poi inserite nei Trattati vari);nel 1682 divenne archiatra di Francesco Maria che, fatto poi cardinale, lo ebbe con sé in diversi viaggi a Roma e altrove (nel 1717 a Praga).
Morto il Redi, il D. gli successe come archiatra prima di Cosimo III, poi di Gian Gastone, e come membro del Collegio medico fiorentino, assumendo così, nel primo trentennio del sec.XVIII, quel ruolo di vertice del mondo medico toscano e di raccordo tra questo e gli ambienti accademico-letterari che nel trentennio precedente aveva svolto il maestro. Per età, stato accademico e produzione sia scientifica sia letteraria era destinato a tale ruolo L. Bellini, ma ancor prima della morte prematura questi fu danneggiato dall'identificazione troppo netta con le posizioni dei novatori, che lo rese sospetto tanto al tradizionalismo medico quanto agli ambienti del clero e di corte influenti su Cosimo III, specie quando attorno al 1690 si delineò una reazione generale della Chiesa contro le posizioni atomistiche. Nonostante la sostanziale identità di presupposti culturali, il D. riuscì invece, con accorte relazioni personali e dosando accuratamente i suoi interventi, a non subire contraccolpi, moderando con il suo prestigio la rigidezza di Cosimo III, mentre altri più impetuosi, come il suo allievo P. Giannetti, furono in qualche modo colpiti.
Divenuto archiatra granducale, il D. lasciò l'insegnamento pisano (pur rimanendo nei ruoli e conservando lo stipendio) e svolse un'intensa attività professionale, venendo richiesto di consulti anche dall'estero. La sua produzione medica teorica non poté così svilupparsi e fu confinata al periodo tra la laurea e la successione al Redi. Oltre ai citati excursus biologicomedici nelle lettere, già prima del 1680 il D. lavorò a un trattato sulle febbri, che era in stato avanzato quando, nel 1680-81, fu pubblicato il De motu animalium di G. A. Borelli, che anticipava diverse sue concezioni; il D. pensò allora a sviluppare la sola parte sul moto del cuore e la circolazione sanguigna, per la quale il lavoro borelliano gli pareva perfettibile. Tuttavia gli impegni non gli permisero di completare il manoscritto, che in punto di morte affidò all'amico G. Averani perché fosse ritoccato e pubblicato (consultatosi con altri, l'Averani rinunoiò però al progetto, e del manoscritto si sono perse le tracce).
Del 1683 è una dissertazione De humoribus, che sarà pubblicata molti anni dopo (De praecipuis humoribus qui humano in corpore reperiuntur, Venetiis 1735); in varie circostanze il D. tenne lezioni accademiche su tema medico, raccolte poi in parte nei Trattati vari. Quanto invece ai risultati della sua attività professionale essi confluirono solo in minima parte nella raccolta dei suoi consulti, affidata al giovane G. Bottari, divenuto suo intimo amico a Firenze e trasferitosi poi a Roma chiamatovi dal neo-eletto papa Clemente XII Corsini (Consulti medici, Roma 1733). Tra il D. e il Bottari intercorse un fitto carteggio (interamente conservato, a differenza di quelli che egli tenne con altri: Roma, Bibl. dell'Accad. dei Lincei, Mss. Corsiniani, 1907, 1916 e 2057: 32 lettere del Bottari e 43 del D., più poesie e consulti medici); dei Consulti vifu nel 1738 un'edizione postuma veneziana e una pure postuma romana in due volumi curata dallo stesso Bottari, che vi aggiunse altri testi e vi premise un elogio del D., che resta la fonte biografica più ampia su di lui (Consulti medici del dottore Giuseppe Del Papa archiatro della corte di Toscana e pubblico lettore di medicina nell'università pisana ... Aggiuntovi l'elogio dell'autore di questa opera, I-II, Roma 1743-44; l'originale manoscritto dell'Elogio è nel ms. Corsiniano 1879).
Come negli scritti fisici, così in quelli medici del D. non è il caso di cercare vere o scoperte" e proposte concettualmente risolutive; il loro ruolo va visto nel contributo alla rimozione dei presupposti fisiologici della medicina galenica. Nel De humoribus la critica della quadripartizione aristotelica degli elementi e delle qualità investe la teoria umorale classica, interamente reinterpretata in senso meccanico-corpuscolare e in una dinamica circolatoria. Interessa nel libro l'asserto che la digestione gastrica non avviene per fermentazione (com'era tesi prevalente), ma per l'azione di un liquido, che è analoga a quella degli acidi. I Consulti documentano certe prassi cliniche del periodo; notevole è la sfiducia rediana nella farmacologia galenica, che restringe l'azione terapeutica quasi ai soli precetti climatico-ambientali e dietetici. Nell'edizione definitiva l'opera comprese 199 consulti, che sono prova eloquente della notorietà dell'autore:, due di essi riguardano un pontefice (Innocenzo XII), altri sovrani. nobili e personalità di spicco, italiane ed estere.
Con il successo professionale, vennero per il D. anche quello economico e l'ascesa sociale. Fu al centro della più qualificata attività accademica in Toscana: cruscante e membro della colonia fiorentina d'Arcadia con il nome di Crantore Azzonio, vi svolse un'attività poetica di discreta ampiezza, con vena essenzialmente lirica e nei metri prevalenti della canzone e del sonetto. Tuttavia esitò a divulgare questa sua produzione temendo - come informa il Bottari - che l'austero Cosimo III non approvasse tale attività nel suo archiatra; solo nel granducato di Gian Gastone pubblicherà nei Trattati vari quattordici sonetti amorosi scritti nel modo petrarchesco (canzoni del D. sono nella citata corrispondenza con il Bottari; altre rime in Firenze, Bibl. naz., Mss. Magliabechiani, cl. VII, nn. 670 e 936). Nel 1685, quando Francesco Maria de' Medici fu nominato governatore di Siena, lo seguì entrando in rapporto con P. M. Gabrielli, futuro fondatore dell'Accademia dei Fisiocritici, e partecipò all'attività di questa e di altre accademie senesi, come gli Intronati e i Ravvivati; inoltre a Siena esercitò la medicina e svolse ricerche naturalistiche (sui bagni di San Casciano e altre sorgenti termali; sulla fauna del Senese).
Da queste relazioni compiessive nacque l'ampia corrispondenza del D. con molti tra gli scienziati e intellettuali più significativi di un intero cinquantennio della vita italiana: oltre che con il Bottari, con F. D'Andrea e S. Degli Angeli, G. Montanari, L. Di Capua, F. Eschinardi, P. Boccone, F. Bonanni, V. Giordani e altri. Tale corrispondenza non risulta unitariamente conservata, anche se lettere del D., o di altri a lui, si rinvengono occasionalmente in molte biblioteche e archivi.
Nella società fiorentina del tempo dei due ultimi Medici fu concordemente riconosciuta al D. una fine capacità di muoversi nelle vicende di corte, ottenendo udienza e prestigio inconsueti per un intellettuale tecnico che si autoconfinava in un esclusivo ruolo professionale; questa sua capacità coesisté però con un disincanto sempre più accentuato, che l'indusse ad una vita privata discreta fino all'isolamento: unica eccezione la conversazione serale con pochi amici (fra cui assiduo il Magalotti). Se l'arte del disimpegno gli fu utile nella vita pubblica, causò invece una valutazione negativa della sua figura da parte degli ambienti colti fiorentini e pisani le cui ascendenze filosofiche erano simili alla sua: quella flessibilità che, secondo un Bottari, gli aveva permesso di mantenere aperti ampi spiragli per un discorso moderno durante il ripiegamento culturale del granducato di Cosimo III parve ad altri indice d'una concezione strumentale, se non cinica, del sapere, mentre il vasto patrimonio accumulato, l'isolamento e l'austerità (che fu detta avarizia) della vita motivarono accuse di egoismo e ingratitudine verso chi lo aveva aiutato, e in particolare verso il Redi; un'eco se ne troverà nel successivo, aspro profilo biografico di G. A. De Soria.
Come archiatra e membro del Collegio medico fiorentino, il D. fu autore di varie relazioni, tra le quali una del 1716 su una eccezionale invasione di cavallette (Relazione delle diligenze usate con felice successo nell'anno 1716 per distruggere le cavallette..., pubblicata anonima a Firenze lo stesso anno); tre pareri sull'alimentazione e le terapie adottate per l'infante Carlo di Borbone di passaggio a Livorno; un rapporto sulla disinfezione di merci provenienti da zone epidemiche, che tutti confluirono - con l'orazione di ammissione nella Crusca - nei citati- Trattati vari (Firenze 1734), in cui, ormai anziano, il D. raccolse suoi lavori di diversi periodi, mentre ne distrusse molti altri. Testi di lezioni mediche pisane del D., col titolo Medicinae tractatus aliquot ad usum Scholae accommodati, siconservano a Venezia (Biblioteca Marciana, ms. Naniano lat. 64). Nello stendere il proprio testamento, istituì erede universale il Comune di Empoli, destinando il proprio ingente patrimonio a finanziare gli studi di giovani meritevoli ed a costituire doti per ragazze non abbienti; la fondazione così originata avrà a lungo un ruolo nella vita di Empoli (la sua attività è documentata ancora a metà Ottocento).
Il D. morì a Firenze il 13 marzo 1735.
Fonti e Bibl.: Copia del testamento e docum. della fondazione intitolata al D. sono a Empoli, Arch. stor. comunale, Arch. Comunità, filza 345; 35 lettere del gesuita Fr. Eschinardi al D. (1686-1700) sono in Roma, Bibl. d. Acc. dei Lincei, Mss. Corsiniani, 2057. La sua figura è considerata in opere generali sul periodo e nelle storie della medicina ital. almeno sin da S. De Renzi (Storia d. medic. in Italia, IV, Napoli 1846, pp. 44, 173, 200, 240, 370). L'elogio del Bottari fu ripreso interamente in Vite d. Arcadi, V, Roma 1751, pp. 153 ss., e sinteticamente, con qualche aggiunta, da A. Fabroni (Vitae Italorum doctrina excellentium, III, Pisis 1779, pp. 326 ss.; Historiae Accad. Pisanae vol. tertium, Pisis1795, pp.623 ss., 687) e da L. Lazzeri, Storia di Empoli, Empoli 1873, pp. 216-40 (cfr. anche pp. 60-63 per il testamento e la Fondazione Del Papa). Cfr. inoltre: The correspondence of M. Malpighi, a cura di H.B. Adelmann, I-V, Ithaca-London 1975, pp. 1395 s., 1421 s., 1556; G.A. De Soria, Raccolta di opere ined., II, Livorno 1774, pp. 100-03; F. Inghirami, Storia d. Toscana, XIV, Fiesole 1844, pp. 39 s.; A. Benedicenti, Malati, medici e farmacisti, II, Milano 1925, pp. 1271 s.; N. Carranza, L'università di Pisa nei secoli XVII e XVIII, Pisa 1971, p. 60 e n.