Della Scala, Giuseppe
Figlio naturale di Alberto, ricordato con sferzante disprezzo in Pg XVIII 121-129 come mal del corpo intero, / e de la mente peggio, e che mal nacque, ossia " bastardus, claudus et seminsanus " (Pietro), e ciò nondimeno eletto abusivamente dal padre a reggere (in loco di suo pastor vero) l'insigne abbazia di San Zeno.
Nato presumibilmente nel 1263, investito a ventun anni del priorato di San Giorgio in Braida, in virtù di speciale dispensa vescovile, poi pontificia, che gli schiudeva, benché illegittimo, la carriera ecclesiastica (v. i particolari cronistorici dell'episodio alla voce Della S., Alberto), fu promosso abate di S. Zeno a ventinove anni (1292), e resse l'abbazia veronese fino alla morte (estate o autunno del 1313). " Nequiter ", scrive Benvenuto; e attestano concordi, sia pure " con progressivo accrescimento di particolari novellistici " (Fasoli, p. 84), chiosatori e cronisti, solo divergendo nel dosaggio dei vizi da attribuirgli. " Vir probus et integer a principio ", così lo dipinge Benvenuto, " sed consilio medicorum tacta muliere, velut inquinatus pice diaboli, factus est scelleratissimus. Nam cum Alboinus... vellet ex pusillanimitate reducere comites Sancti Bonifacii in Veronam, abbas, conquerente Cane, tanquam animosus increpans amare Alboinum, armata manu ivit, et trucidavit multos ex dictis comitibus... ". E conclude: " Ideo bene dicebat quidam veronensis, quod Sanctus Zeno expellebat daemones et habebat eos intra domum ". Il truce episodio dell'ammazzamento dei Sanbonifacio non ha, peraltro, certezza assoluta.
I documenti relativi al governo dell'abate non offrono, nel loro insieme, argomenti apprezzabili alla mala fama di lui. Alcuni, da poco venuti in luce, parrebbero anzi smentirla: un attestato di versamento della decima papale rilasciato al preposito di S. Maria di Montebelluna (30 maggio 1299) per conto dell'abate in veste di collettore della decima stessa; e due altri atti, del 4 marzo e 2 maggio 1308, che lo mostrano addirittura " visitator, corrector et reformator " del clero regolare, per delegazione di Ottobono patriarca di Aquileia. Se ne dovrà semplicemente desumere che l'abate fungeva da pedina nel giuoco politico della signoria scaligera, " assai più vasto dell'orizzonte abbaziale ". Suona invece a conferma delle ricorrenti accuse di scostumatezza e violenza indegne di un pastore un atto giudiziario del 26 gennaio 1314, posteriore alla morte di lui, che, consenziente Cangrande, riconosce agli eredi di Enrico delle Lamiere pieno diritto di risarcimento per sopruso compiuto a loro danno, un decennio prima, dal defunto abate: " violenta atque temeraria manu, motu propriae voluntatis, nulla rationali causa subsistente... possessiones invadere nequiter, occupare indebite ac presumptuose procuravit, de facto eundem dominum Henricum et suos laboratores... de eisdem possessionibus expellendo ". Cangrande, è chiaro, dava mano libera al giudice per scindere la propria responsabilità dalle malefatte di Giuseppe. Ma certo col suo favore un figlio naturale di Giuseppe, Bartolomeo, diveniva nel '21, nonostante il pungolo ammonitore dei versi danteschi, abate a sua volta di San Zeno e più tardi vescovo di Verona.
È stato osservato che la sferza dantesca, memore del biblico " Homo... qui habuerit maculam non offeret panes Deo suo; nec... si caecus fuerit, si claudus ", ecc. (Lev. 21, 17-18), colpisce la deformità fisica dell'abate con non minor veemenza della sua insania; e non rinuncia, insieme, a colpire con asprezza esemplare (ritener mi piacque), sul solco del gran tema di Marco Lombardo, l'abuso di potere del padre, che era padre altresì di Cangrande, cioè del benefattore dal poeta più altamente celebrato. Vige anche nei confronti degli Scaligeri il precetto di Cacciaguida: e lascia pur grattar dov'è la rogna (Pd XVII 129).
Bibl. - Oltre alle opere citate in bibl. le voci Della S., Alberto (in partic. i contributi di G. Gerola e L. Rossi, A. ScoLari, A. Fajani, G. Tarozzi e G. Padoan) e Della S., Bartolomeo, si vedano: G. Da Re, Notizia di Giuseppe Della S., Verona 1905; G. Fasoli, Veneti e Veneziani fra D. e i primi commentatori, in D. e la cultura veneta, Firenze 1966, 84.