DI STEFANO, Giuseppe
Nacque il 24 luglio 1921, a Motta Sant’Anastasia, in provincia di Catania, da Salvatore (1895), che si era da poco congedato dall’Arma dei Carabinieri, e da Angela Gentile. Il trasferimento della famiglia a Milano nel popolare quartiere di Porta Ticinese, dove il padre esercitò il mestiere di calzolaio, mise Giuseppe in contatto con persone ed ambienti che precocemente ne apprezzarono le doti vocali fuori dal comune.
Nel 1934 entrò nel coro del Seminario arcivescovile, presso la chiesa di S. Arialdo, e nel 1938, dopo aver preso lezioni dall’amico Adriano Tocchio, tenore nel coro della Scala di Milano, si presentò a Firenze al concorso “Voci grezze”. Si mise in contatto con Enrico Montesanto, famoso baritono, che gli diede lezioni per due mesi. Nel 1941, arruolato nel Reggimento Ravenna di stanza ad Alessandria, evitò di partire per la Russia grazie all’intervento del tenente medico, Giovanni Tartaglione, che tenne conto delle sue non buone condizioni di salute. Tornato nel 1943 a Milano, si esibì al ristorante Odeon, al cinema Cristallo, al Teatro Ambrosiano con lo pseudonimo Nino Florio, stregando il pubblico per il carisma di una personalità esuberante e una voce di non comune bellezza. Rifugiato in Svizzera, fu internato in campo di concentramento. Il 13 gennaio 1944 partecipò a un concerto organizzato nel Temple du Bas di Neuchâtel dal Commissariato federale all’internamento, sotto gli auspici della locale Società Dante Alighieri. La sua voce, notata dal cappellano militare, fu segnalata a Édouard Moser, allora direttore artistico di Radio Losanna, che lo fece invatare a prender parte alle trasmissioni dell’emittente, ch’egli frequentò fino al settembre 1946: si esibì in concerti di canto, ma anche in una versione radiofonica dell’Elisir d’amore,della Cambiale di matrimonio e del Tabarro. In questo periodo, accompagnato al piano da Moser, registrò numerosi pezzi a Zurigo per la EMI, cui si aggiunsero una serie di registrazioni private, realizzate come omaggio a Wala Dauwalder, la scrittrice e pittrice di origine russa che, attratta dalla voce e dal fascino di Di Stefano, si era interessata a lui fino al punto da utilizzare il volto del giovane tenore nelle tavole illustrate di Lubawa, una fiaba da lei scritta. Negli anni Settanta la Dauwalder mise a disposizione della EMI queste registrazioni.
Il debutto avvenne il 20 aprile 1946 al Municipale di Reggio nell’Emilia, Des Grieux nella Manon di Massenet, eseguita in italiano, come allora usava. L’immediato, enorme successo, cui concorse il fascino della persona, portò Di Stefano a prodursi nel giro dei primi due anni di carriera nel repertorio lirico-leggero su molte piazze italiane, dal Municipale di Piacenza all’Alighieri di Ravenna, dall’Opera di Roma alla Fenice di Venezia, in un repertorio da tenore lirico che comprendeva Rigoletto, La traviata, La sonnambula, la già citata Manon, I pescatori di perle, L’amico Fritz. In questi due anni si produsse anche in Spagna, al Liceu di Barcellona, alla Coruña, a Santander; comparve al Palau di Città del Messico, si recò a Londra per realizzare altre registrazioni per la EMI, con la quale firmò un contratto in esclusiva. Nel marzo 1947 debuttò nella Manon alla Scala, del cui pubblico divenne un beniamino, mentre nell’aprile 1947 cantò alla RAI nei Concerti Martini & Rossi, aumentando così la sua popolarità.
Nel 1948 debuttò al Metropolitan di New York, dove si produsse per sette stagioni dal 25 febbraio di quell’anno al 27 gennaio 1965; cantò nelle stagioni dal 1947/48 al 1952, 1955/56 e 1964/65, impegnato in 15 titoli, per un totale di 112 recite, comprensive anche del Gala dell’11 gennaio 1949: Rigoletto, Manon e Mignon (1948); L’elisir d’amore, Gianni Schicchi, Falstaff, La bohème, Der Rosenkavalier e Faust (1949); La Traviata, Il barbiere di Siviglia (1950); Madama Butterfly (1952); Carmen (1955); Tosca (1956); Les Contes d’Hoffmann (1965). Mieté memorabili successi, con esecuzioni entrate negli annali del teatro lirico, come quelle del Faust, dove Di Stefano filava in diminuendo il Do della cavatina “Salut! demeure chaste e pure”, impresa stupefacente sotto il profilo vocale. Nel 1949 a New York si sposò con Maria Girolami; dal matrimonio nacquero tre figli, Giuseppe (1952), Luisa (1953, morta per un male incurabile nel 1975) e Floria nel 1957.
Dal 1949 tornò a prodursi al Palau de Bellas Artes di Città del Messico, con La bohème, Mignon, Il barbiere di Siviglia, La favorita, Werther, salutato dall’incandescente entusiasmo del pubblico. Nel 1952 vi tornò con Manon, Werther, La bohème; nei Puritani, nella Traviata, in Lucia di Lammermoor, Rigoletto, Tosca si esibì al fianco di Maria Meneghini Callas, con la quale strinse un sodalizio artistico e umano che durò poi per tutta la vita. Nel 1950 debuttò all’Arena di Verona, La bohème e I pescatori di perle,e nel 1951 vi cantò Manon. Nella seconda metà del 1952 l’attività nordamericana lasciò il posto a un duraturo rientro in Italia e in Europa. Diventò così uno degli artisti di riferimento del Teatro alla Scala, dove si ripresentò nel dicembre per La bohème diretta da Victor De Sabata e per La Gioconda. Nel 1953 vi cantò di nuovo La Gioconda, poi La bohème, Tosca e Rigoletto; nel 1954 Rigoletto, Lucia di Lammermoor con la Callas, diretto da Herbert von Karajan, Tosca, Eugenio Onegin, Messa da Requiem, L’elisir d’amore; nel 1955 Carmen con Giulietta Simionato, diretta da Karajan nell’edizione in francese (per la prima volta alla Scala), La bohème, La forza del destino con Renata Tebaldi diretta da Antonino Votto, Cavalleria rusticana. Il 28 aprile 1955 partecipò alla prima della Traviata con la Callas diretta da Carlo Maria Giulini, nella storica edizione con la regìa di Luchino Visconti, ma per rivalità divistiche insorte col soprano greco, alimentate dalle rispettive tifoserie e da due temperamenti effervescenti, abbandonò la produzione, sostituito da Giacinto Prandelli, e nella ripresa dell’anno dopo da Gianni Raimondi; nel 1956 Un ballo in maschera ancora con la Callas diretto da Gianandrea Gavazzeni, in un’edizione diventata storica per l’altezza del risultato raggiunto, Pagliacci, Werther, La bohème, Aida; nel 1957 Pagliacci, Manon Lescaut, Iris, La forza del destino, Un ballo in maschera; nel 1958 Adriana Lecouvreur, L’elisir d’amore, Madama Butterfly, Turandot; nel 1959 La bohème, La sposa venduta di Smetana, Carmen diretta da Lovro von Matačić, Tosca; nel 1960 di nuovo Carmen; nel 1961 Il calzare d’argento di Ildebrando Pizzetti, “prima” assoluta, nei panni di Giuliano della Viola; nel 1964 L’elisir d’amore, Rienzi di Wagner; nel 1967 L’incoronazione di Poppea di Monteverdi diretta da Bruno Maderna, L’elisir d’amore; infine una recita della Bohème nel 1971 e due di Carmen nel 1972.
Tra il 1950 e il 1960 partecipò a numerose registrazioni realizzate dalla EMI alla Scala, che contribuirono ad identificare il tenore catanese con il teatro milanese e a rinsaldare il legame artistico con Maria Callas. Intanto Di Stefano comparve sui principali palcoscenici della penisola, dal Petruzzelli di Bari al Maggio Musicale Fiorentino, all’Arena di Verona (va ricordato il fortunato Mefistofele accanto a Magda Olivero), alle Terme di Caracalla, al Teatro delle Palme di San Remo, al San Carlo e all’Arena Flegrea di Napoli, al Massimo Bellini di Catania, al Massimo di Palermo, al Donizetti di Bergamo e soprattutto all’Opera di Roma, dove cantò La bohème, Rigoletto, Madama Butterfly, Tosca (1954); Werther, Un ballo in maschera, Lucia di Lammermoor (1955); Manon Lescaut, I puritani, Iris (1956); Carmen (1957); La bohème e Pagliacci (1958); Andrea Chénier, Manon Lescaut, Un ballo in maschera (1959). A Roma nel 1958 realizzò per la Decca la sua unica registrazione con Renata Tebaldi, una selezione del Mefistofele, pubblicata solo molti anni dopo per motivi di contratti e di esclusiva. Nello stesso anno, con i complessi dell’Accademia di Santa Cecilia, realizzò un recital dal titolo Voce d’Italia e registrò La forza del destino con Leonard Warren e Zinka Milanov. Nel 1957, all’apice del successo, partecipò a una puntata televisiva del Teatrino di Walter Chiari, cantando O mia bèla Madunina, accompagnato al pianoforte dal compositore della famosa canzone, Giovanni D’Anzi; nel 1959 fu ospite in una trasmissione del Musichiere, il popolare programma televisivo, presentato da Mario Riva, e devolvette i soldi guadagnati nella gara ad opere di beneficenza.
Nel 1954 fu in tournée al Municipal di Rio de Janeiro, a Monterrey e debuttò alla Civic Opera House di Chicago, Lucia di Lammermoor con Maria Callas: ci sarebbe ritornato nel 1955, I Puritani e Madama Butterfly con Callas, La bohème con Renata Tebaldi, Cavalleria rusticana; nel 1957, La Gioconda con Eileen Farrell, Adriana Lecouvreur con Tebaldi, Tosca con Eleanor Steber, Lucia di Lammermoor con Anna Moffo e Aldo Protti; nel 1958, Madama Butterfly con Tebaldi, Turandot con Birgit Nilsson, Pagliacci; nel 1959, Carmen, Turandot e Un ballo in maschera entrambe con Nilsson, La bohème; nel 1960 La bohème, Tosca, Carmen, Fedora con Tebaldi. Nel 1954 interpretò il personaggio principale nel film Canto per te di Marino Girolami con Hélène Rémy e Carlo Campanini.
Nel 1956, nell’ambito di una tournée della Scala, debuttò nella Lucia di Lammermoor con la Callas, diretto da Herbert von Karajan, alla Staatsoper di Vienna: divenne uno dei beniamini del pubblico della capitale austriaca. Vi ritornò nelle successive stagioni fino al 1962 e dal 1964 al 1966, cantandovi Manon Lescaut, Tosca, Carmen, Aida, Rigoletto, Un ballo in maschera, La bohème, La traviata, La forza del destino, Madama Butterfly, Turandot, Andrea Chénier, Pagliacci. Andrà ricordata la sua partecipazione straordinaria alla recita della Fledermaus il 31 dicembre 1960, diretta da Karajan: in qualità di ospite alla festa del principe Orlofsky – è tradizione che in questa scena del second’atto atto dell’operetta di Johann Strauß si invitino famosi artisti ad esibirsi con pezzi ad libitum – Di Stefano cantò ’O sole mio e Dein ist mein ganzes Herz dall’operetta Il paese del sorriso di Franz Lehár, trascinando il pubblico al delirio, come prova la registrazione live della serata.
Al termine degli anni Cinquanta la voce cominciò ad accusare problemi, che il tenore in alcune interviste attribuì a una forma di allergia causata dai materiali utilizzati nella sua villa sita nei pressi di San Siro, poi venduta.
Nel maggio 1961 debuttò al Covent Garden di Londra, Tosca con Régine Crespin. Nello stesso anno fu di nuovo a Città del Messico, e in ottobre comparve al Theater des Westens di Berlino, con la Tosca portata in tournée dall’Opera di Roma. Di Stefano si prestò a prodursi su piazze minori, come il Politeama di Viareggio, La Gran Guardia di Livorno, l’Astra di Forlì, e accettò ruoli sempre più onerosi, fino a comprendere parti decisamente spinte come Dick nella Fanciulla del West, nella quale debuttò nel 1962 al Carlo Felice di Genova e poi a Torre del Lago. Nel 1963 si ripresentò al Covent Garden, ma intanto alle recite teatrali integrali cominciò a preferire i concerti, comparendo a Radio Hilversum in Olanda, alla Royal Festival Hall di Londra, alla Carnegie Hall di New York e alla Concert Hall di Chicago. Nel 1964 ricomparve a Città del Messico, alla Staatsoper di Vienna, dove fu presente per buona parte dell’anno successivo, esibendosi anche alla Volksoper nell’Elisir d’amore, mentre nell’autunno cantò al Colón di Buenos Aires. Nel 1966 al Civic Auditorium di Pasadena si esibì in Tosca, debuttò nel ruolo eponimo di Otello e in settembre a Berlino in Das Land des Lächelns (il già citato paese del sorriso) di Lehár, che divenne uno dei cavalli di battaglia nell’ultima parte della carriera. Nel 1967 intraprese una tournée concertistica in Oceaniae in Estremo Oriente, cui seguì un giro nordamericano, a Baltimora, Chicago, San Francisco, Los Angeles, St. Louis, Ann Arbor, chiudendo a Vienna, da dove la tournée era partita, con Das Land des Lächelns, che cantò per 48 recite consecutive tra novembre e il gennaio seguente.
Nell’accentuarsi del declino, forte ancora di una popolarità planetaria e dell’amore incondizionato del pubblico, tra il 1968 e i primi anni Settanta alternò concerti, qualche titolo operistico (debuttò a Belgrado nel 1970 con Tosca e Carmen, seguite dalla Bohème nel 1971; nello stesso anno si produsse in Romania, a Bucarest, a Cluj-Napoca, a Timișoara), l’operetta (il ruolo eponimo nell’Orfeo all’inferno di Offenbach all’Opera di Roma nel 1971). Nel 1972 comparve nei Pagliacci all’Opera di Roma. Nell’aprile 1973 accettò di condurre con Maria Callas la regìa dei Vespri siciliani per la riapertura del rinato Teatro Regio di Torino: ma l’esperimento non sortì l’effetto sperato. In quell’anno cominciò a prodursi in una serie di concerti con la Callas, destinati a provocare un’indubbia ondata di fanatismo, anche se i due artisti versavano ormai in condizioni di grave declino, puntualmente sottolineato dalla critica. La tournée avrebbe dovuto iniziare da Londra, ma il concerto previsto fu rinviato per un’indisposizione della Callas e prese avvio da Amburgo, cui seguirono Berlino, Düsseldorf, Monaco di Baviera, Francoforte, Mannheim, Madrid, Londra (per due esibizioni, il 26 novembre e il 2 dicembre, riprese dalla BBC), il Théâtre des Champs-Élysées di Parigi, Amsterdam. Il 20 gennaio 1974 la coppia tenne un concerto privato all’Istituto nazionale per lo studio e la cura dei tumori di Milano. Fu poi la volta di Philadelphia, Toronto, Washington, Chicago, New York, Miami, Columbus, Brookville, Cincinnati, Seattle, Portland, Vancouver, Los Angeles, San Francisco, Montréal, Madrid e poi dell’Estremo Oriente, Seul, Tokyo, Fukuoka, Osaka, Hiroshima, Sapporo. Di Stefano concluse poi da solo il tour toccando Perth, Melbourne, Brisbane, Sydney e Adelaide. In questo frangente, dal 1972 al 1975, la Callas e Di Stefano divennero amanti, con una relazione che spinse poi il tenore a separarsi nel 1976 dalla moglie; la vicenda è stata raccontata da Maria Di Stefano e Francesca Trapani in Callas nemica mia (Milano 1992).
Nel 1975 Di Stefano curò la regìa della Bohème per il Teatro lirico sperimentale di Spoleto e si produsse in Giappone in Tosca e in concerto, nel 1976 partecipò al concerto commemorativo del celebre tenore statunitense Richard Tucker alla Carnegie Hall di New York, nel 1978 cantò l’operetta Der Zarewitsch di Lehár a Berlino e comparve a Città del Messico in Das Land des Lächelns (cantata in spagnolo), che all’inizio del 1979 ripeté a Francoforte; nel 1980 comparve in concerto a Guadalajara con il soprano Monika Curth, conosciuta nel 1977, che sposò a Roma. Nel mese di luglio partecipò a Londra alla registrazione della Traviata, diretta da Riccardo Muti con Alfredo Kraus, Renata Scotto, Renato Bruson, cantandovi la particina di un domestico di Flora. Nel 1984 tenne una nutrita serie di concerti all’Operetten Festival di Francoforte sul Meno e nello stesso anno si produsse alla Sala Verdi del Conservatorio di Milano in un programma di melodie di Tosti, accompagnato al piano da Roberto Negri. Dal 1985 al 1997 continuò a comparire in concerti in Italia e all’estero, tra cui il Festival della Canzone napoletana, e in numerose trasmissioni televisive. Nel 1997 la Scala di Milano promosse organizzò un Omaggio a Giuseppe Di Stefano a cinqut’anni dal suo debutto scaligero, con l’allora sovrintendente Carlo Fontana.
Da anni si era ritirato a vivere in un’amena località dell’Alta Brianza, Santa Maria Hoè, passando però alcuni mesi dell’anno in una piccola proprietà a Diani in Kenya, a sud di Mombasa, dove il 7 dicembre 2004 fu vittima con la moglie di un’aggressione perpetrata da un gruppo di rapinatori. Le lesioni, che a una prima valutazione non sembrarono gravi, causarono invece danni cerebrali irreparabili.
Morì il 3 marzo 2008, dopo una lunga sofferenza, assistito dalla moglie Monika.
Dotato di una stupenda, inimitabile voce di tenore di grazia, nella quale sembrava riassumersi l’antica tradizione italiana, da Giuseppe Anselmi a Beniamino Gigli, Di Stefano sfoggiava agli esordi un velluto morbido, dalle tinte screziate di una dolcissima eppure maschia sensualità; possedeva un’innata musicalità che gli permetteva di assecondare la melodia con stupefacente naturalezza. Forte di questi requisiti, cui si aggiungeva la dizione nitida, incisiva, al servizio di un fraseggio suadente e incalzante, Di Stefano si affermò nel repertorio lirico-leggero, che andò man mano arricchendo di titoli dalla vocalità sempre più spinta. Tuttavia la mancata messa a punto di una tecnica affidabile, che non ebbe modo né tempo di perfezionare, vuoi per il fulminante successo dei primi anni di carriera vuoi per un’indole poco incline all’approfondimento, spinse Di Stefano a preferire un metodo spontaneo al servizio di un canto largo, aperto sul passaggio che, unito all’innegabile carisma, conquistava il pubblico. Sorretto dalla natura, dall’elasticità e dall’estensione della voce, capace di confrontarsi con impervie tessiture – ebbe in repertorio la parte di Arturo nei Puritani di Bellini –, realizzò prestazioni memorabili, dove i limiti tecnici venivano bruciati al calor bianco di un’interpretazione scenico-vocale memorabile ed entusiasmante.
Tuttavia questa impostazione comportò un precoce deterioramento, che andò via via aumentando e finì per spingere la critica a numerosi e fondati distinguo. In Voci parallele, il celebre tenore Giacomo Lauri-Volpi sottolineò «il disorientamento che sembra vada profilandosi nella voce del siciliano Di Stefano, che incominciò baldamente, con i Pescatori di perle all’Opera di Roma» – il riferimento è alle recite del gennaio-febbraio 1947 – «a far parlare di sé. Cantava allora con naturalezza, semplicità, buon gusto e disciplina Mi par d’udire ancora, nel tono originale e con uguaglianza di gamma. Alla distanza di poco più di un lustro, dedicatosi alla Tosca e alla Gioconda» – Di Stefano affrontò l’una e l’altra opera nel 1952 –, «ha cambiato tecnica; e l’abuso di suoni acuti, verticali tra faringe e polmoni minaccerebbe precoce dissolvimento, se la sensibilità e l’ingegno del simpatico cantore non facessero sperare in un provvido ritorno alla sua natura e al suo stile» (p. 174).
Forte dell’incondizionato apprezzamento del pubblico, Di Stefano ampliò ulteriormente il repertorio, abbracciando tessiture decisamente onerose, e poi, dagli anni Sessanta, ad affrontare, seppur episodicamente, spartiti inadatti alla sua organizzazione vocale, senza peraltro produrre risultati apprezzabili. Rodolfo Celletti, esperto di voci liriche tra i massimi del secolo scorso, è andato via via intensificando le critiche, fino a dettare un giudizio lapidario e ingeneroso: «In breve: chi ha avuto modo di ascoltare alcuni dischi relativi ai concerti tenuti da Di Stefano in Svizzera nel 1944 e 1945 o un “cimelio” ricavato da un Rigoletto eseguito a Città del Messico nel 1952, non può negare che il Di Stefano iniziale riuniva, come vocalista e come interprete, molte qualità d’un Gigli e d’uno Schipa. Divenuto famoso imboccò una strada diversa e si autodemolì» (Storia dell’opera, 2000,p. 703); e ha finito per non comprendere né le ragioni del fanatismo suscitato dalla voce bellissima, né i meriti del tenore siciliano. Di certo non gli si potrà negare la “presa” teatrale, il vivo senso della parola sorretto da una dizione nitidissima e da un fraseggio incisivo, spontaneo e, a tratti, travolgente, oltre la personalità artistica che, se svecchiò l’immagine tradizionale del cantante d’opera, pur mantenendone intatta la popolarità, specie nelle esibizioni teatrali e discografiche a fianco della Callas seppe realizzare interpretazioni degne di nota in numerosi ambiti del repertorio, a cominciare da Verdi e Puccini e dalla Giovane Scuola.
Contribuì al successo di Di Stefano il felice rapporto con il disco. La EMI lo impegnò sistematicamente in registrazioni di opere complete, di recital con arie d’opera, canzoni napoletane, siciliane e più in generale del repertorio leggero. Queste registrazioni continuamente ristampate e trasferite in CD rimangono ancor oggi in testa alle vendite, a testimonianza dell’ininterrotto amore del pubblico per quella che universalmente è considerata una grande voce del teatro lirico. Tra i documenti non si deve dimenticare il video, dal titolo La voce del cuore, realizzato dalla Hardy Classics, casa discografica milanese, dove il celebre tenore, intervistato da Giancarlo Landini, ripercorre le tappe della sua vita artistica. Nondimeno in sede critica si dovrà pur esternare il vivo rammarico per lo sperpero di doni così preziosi, che con diversa tecnica avrebbero potuto portare a risultati perfetti sotto il profilo vocale e musicale.
G. Lauri-Volpi, Voci parallele, Milano 1960, pp. 173-175; R. Celletti, sub voce, in Le Grandi voci, Roma 1964, pp. 247-249; H. Eggers, G. D. S., Berlin 1967; R. Celletti, Voce di tenore, Milano, 1989, ad ind.; G. Di Stefano, L’arte del canto, Milano 1989; G. D. S., in Grandi voci alla Scala, Milano 1993 (con saggi di M. Selvini, G. Landini); T. Semrau, G. D. S., in Record Collector, XXXIX (1994), pp. 165-82; Omaggio a G. D. S., catalogo della mostra, ideata e curata da M. Nocera, Sirmione, Palazzo Civico, 1-29 settembre 1996 (Prefazione di G. Tintori; Presentazione di M. Pasi; G. Landini, La voce di G. D. S.; G. Di Stefano, Ha detto di sé; con cronologia della carriera e discografia); E. Gara, Orfeo minore. Viaggio nel mondo dell’opera, scritti 1910-1974, a cura di M. Boagno, Parma 1996, pp. 130, 212, 262, 265, 295, 298 s., 336, 346, 351, 353; G. Gualerzi, D. S. and Corelli at 75,in Opera, XLVII (1996), pp. 1137-44; K.J.Kutsch - L. Riemens, Großes Sängerlexikon, II, Bern-München 1997, pp. 911; R. Celletti, Storia dell’opera Italiana, II, Milano 2000, p. 703; M. Talignani - S. Rolli, G. D. S. I suoi personaggi, Parma 2003; E. Giudici, L’opera in CD e video, Milano 2007, ad ind.; J. Kesting, Die großen Sänger, Kassel 2010, pp. 1504-1511; F. Hamilton, A partial perfomances chronology, www.frankhamilton.org/js/js0.pdf (24 nov. 2016).