DIAMANTINI, Giuseppe
Figlio primogenito di Vincenzo e di Vittoria Amici, nacque a Fossombrone (Pesaro-Urbino) nel 1621. Giunto in età di apprendere l'arte, fu inviato a Bologna ove, stando ad alcuni appunti del Malvasia non pubblicati nella Felsina pittrice, sarebbe stato allievo di G. A. Sirani (Malvasia, a cura di A. Arfelli). A Bologna ebbe modo di studiare i grandi maestri emiliani, rimanendo soprattutto colpito dall'arte incisoria di Simone Cantarini. Dal Malvasia (1678) si apprende inoltre che il D. ammirò in particolare Ludovico Carracci, di cui studiò con attenzione gli affreschi del chiostro di S. Michele in Bosco.
In una data non documentata, l'artista si spostò a Venezia, ove risiedette poi fino al 1698.
Nella città lagunare lavorò come pittore e incisore, soprattutto per famiglie private, estendendo la sua attività anche in città limitrofe (sue opere sono documentate a Rovigo e Verona), mentre più limitata appare la sua produzione per edifici pubblici e chiese. A Venezia godette della protezione del patriziato veneto e nel 1663 gli venne conferito il titolo di cavaliere di S. Giorgio, probabilmente da Leopoldo I, cui pare giungessero alcune opere dell'artista (una di queste potrebbe essere il David con la testa di Golia, che dal 1741 è conservato nella Gemäldegalerie di Dresda). Un'ulteriore conferma del suo inserimento nell'ambiente artistico veneziano è offerta dalla presenza del suo nome fra quelli elencati nella fraglia, ossia nella corporazione dei pittori (cfr. T. Pignatti, Lafraglia..., in Bollett. dei Musei civici veneziani, X [1965], 3, p. 25).
Oltre all'attività pittorica e a una sostenuta produzione incisoria, nel periodo veneziano il D. si esercitò, soprattutto nell'età più matura, in altre attività artistiche, quali ad esempio la poesia (un suo sonetto è riportato nella Musa delirante. Rime di G. Prati, Venezia 1679, p. 28). Ebbe inoltre probabilmente una scuola, o comunque degli allievi, il più rinomato dei quali risulta essere Rosalba Carriera. Un altro suo alunno ricordato dalle fonti è Giovanni Antonio Wowick Lazzari (Cicogna, 1830).
Nel Veneto si trasferirono anche due fratelli dell'artista: il primo, Leonardo, fu uno stimato calligrafo, miniaturista e maestro di ballo, mentre l'altro fratello, AldebrandoAntonio, si stabilì a Padova, ove esercitò la professione di calligrafo ed insieme quella di maestro di scherma e danzatore.
Nel 1698, ormai quasi cieco, il D. fece ritorno a Fossombrone, ove morì l'11 nov. 1705, come conferma il Libro de' morti conservato negli archivi della cattedrale di Fossombrone (volume dal 1625 al 1725, p. 306, ove si specifica fra l'altro che l'artista, al momento del decesso, aveva 84 anni).
È ragionevole ritenere che il D. abbia avuto, soprattutto nel periodo veneziano, una discreta produzione pittorica, solo in parte documentata dalle fonti. La grande maggioranza delle sue opere è oggi da considerarsi perduta, oppure è dispersa sotto altre denominazioni in collezioni private, che furono la più frequente destinazione dei dipinti dell'artista.
Dalle notizie che si ricavano dalle fonti e dalle poche opere rimaste non risulta possibile trarre con sufficiente approssimazione neppure un abbozzo di itinerario artistico, il quale solo per via induttiva deve presumersi iniziato nell'ambito bolognese e poi proseguito a Venezia, ove l'artista ebbe certamente contatti con i modi pittorici di Pietro Liberi e forse di Federico Cervelli.
Neppure risulta possibile, allo stato attuale delle conoscenze, tracciare una successione cronologica della sua opera, sicché la ripartizione più conveniente appare quella instaurabile fra opere eseguite per famiglie private e opere per edifici pubblici, premettendo che l'artista trattò indifferentemente vari soggetti, sia quello sacro, sia quello mitologico, sia il ritratto.
I dipinti eseguiti per privati pervenutici sono quattro: fra essi il più menzionato dalle fonti è David con la testa di Golia, un tempo conservato nella raccolta Wallenstein di Dux, passato poi, come già si è ricordato, alla Gemäldegalerie di Dresda. In questo gruppo sono da menzionare anche un S. Sebastiano (Milano, coll. Scelpizi), un Caino e Abele conservato a Venezia (Museo Correr) e un Cupido eseguito per il conte Rinaldo Silvestri di Rovigo (oggi conservato nella Pinacoteca del seminario di questa stessa città).
Più numeroso purtroppo risulta l'elenco dei dipinti andati dispersi, di cui si ha notizia dalle fonti. Citiamo una Cleopatra, un tempo conservata a Fossombrone nel palazzo Torricelli; una Assunta che l'artista eseguì per il conte Silvestri; un Giudizio di Paride, ricordato da Giovanni Prati, poeta e amico dell'artista, che può essere forse identificato con il dipinto un tempo conservato nella collezione di Alessandro Savorgnan; un'altra Cleopatra, che faceva parte della raccolta di Francesco Quirini; una Morte di Anfione appartenuta ad Antonio Giustiniani ed un Ritratto di G. Prati, ricordato dalle fonti senza alcuna indicazione di ubicazione, ma che probabilmente appartenne allo stesso amico dell'artista. Ancora, in questo elenco vanno collocati alcuni dipinti, raffiguranti teste di filosofi, che il D. realizzò per la famiglia Bevilacqua a Verona, opere che il Lanzi (1795-96) definisce "eseguite bizzarramente".
Meno numerosi appaiono i dipinti eseguiti per chiese o edifici pubblici. Essi tuttavia, poiché sono spesso ricordati da fonti coeve, permettono in qualche modo di operare un abbozzo di cronologia, almeno per queste opere. Ad esempio, fin dal 1664 il Boschini ricorda, non senza confusioni con un'altra opera di Francesco Ruschi, collocata nella medesima chiesa veneziana di S. Cassiano, una Deposizione oggi dispersa. Nella edizione delle Ricche minere di dieci anni più tardi (1674, p. 3) il Boschini cita pure un Dio Padre e putti, dipinto nel soffitto della chiesa di S. Giovanni Crisostomo, mentre solo a partire dal 1684 è menzionata l'Adorazione dei magi, che l'artista eseguì per la chiesa di S. Moisè (cfr. F. Martinelli, Il ritratto di Venezia, Venezia 1684, p. 26).
Accanto a queste opere sono da collocare due tondi, raffiguranti S. Giorgio e S. Sebastiano, tuttora esistenti nella sacrestia della chiesa di S. Filippo a Fossombrone, e una Visione di s. Romualdo (Venezia, Museo Correr), solo recentemente assegnata al Diamantini. Di altre opere ancora si può arguire forse l'esistenza o il soggetto dalla presenza di disegni preparatori: ad esempio, una S. Maria Maddalena ed angeli (conservata a New York, coll. J. Scholz) è probabilmente preparatoria per una pala d'altare centinata di cui non si ha traccia, mentre una Madonna in gloria esanti, conservata a Berlino (Dahlem, Staatliche Museen), potrebbe forse avere relazione con il dipinto dell'Assunta di casa Silvestri, andato perduto; così come il foglio raffigurante il Giudizio di Paride (Leningrado, Ermitage) potrebbe essere uno studio preparatorio dell'omonimo dipinto oggi perduto.
Non meno problematica risulta un'indagine sui disegni dell'artista, la maggior parte dei quali ancora deve essere fatta oggetto di un'analisi sistematica e approfondita. Nel disegno il D. rivela un tratteggio veloce e libero, un'immediatezza di esecuzione e una ariosità lieve, che saranno poi le caratteristiche delle sue incisioni. Anche in questa tecnica talune cadenze stilistiche lo avvicinano a Pietro Liberi.
I disegni del D. oggi noti sono sparsi in diverse collezioni e diverse città: New York (Cooper Hewitt Museum e coll. Janos Scholz); Vienna (Albertina); Stoccarda (Staatsgalerie); Berlino-Dahlem (Staatliche Museen); Leningrado (Ermitage); Milano (Ambrosiana); Parigi (Louvre); Brema (Kunsthalle); Urbania (Biblioteca comunale); Venezia (Correr). Alcuni di questi fogli sono serviti all'artista, in parte o totalmente, come base preparatoria per successive incisioni: così il disegno Mercurio ed Argo (Albertina) è preparatorio per gli omonimi soggetti catalogati dal Bartsch (1821, nn. 32 e 36), e ancora due figure che compaiono nel foglio intitolato genericamente Scena mitologica (Stoccarda, Staatsgalerie) si ritrovano nell'acquaforte Saturno e Rea (Bartsch, n. 35).
Di diversa mole e ben più documentata è invece l'opera incisa del D., rappresentata da un cospicuo numero di acqueforti, la maggior parte delle quali risulta però tirata in un limitato numero di esemplari per mano di stampatori spesso rimasti anonimi. Come già per la pittura, anche qui i soggetti sono variati, sebbene sostanzialmente si possa affermare che quelli mitologici sono preponderanti rispetto a quelli relativi a episodi del Vecchio o Nuovo Testamento. Mancano del tutto i soggetti storici, mentre due soltanto sono i soggetti agiografici, limitati a un S. Gerolamo e a un S. Antonio. Per la maggior parte dei casi il D. presenta scene mitologiche abbastanza semplici, assunte come pretesto per la presentazione di immagini facili nella comprensione e lontane da ogni retorica di tipo barocco.
In tutte le acqueforti il D. si firma sempre come "inventore" e mai come "incisore", tanto da far nascere il sospetto che possa essere altri l'autore di queste incisioni. Tuttavia la spiccata coerenza stilistica e tecnica che lega insieme queste opere e l'assenza di indicazioni di altri artisti come incisori inducono a scartare questa ipotesi, anche per quanto riguarda un possibile intervento dei suoi stessi stampatori, Pagano e Balano.
Queste acqueforti, svelte e nervose, venivano con tutta probabilità incise direttamente sulla lastra, senza particolari disegni preparatori e con una sorprendente trascuratezza nei particolari, quasi mai avvertibile per la felicità dell'insieme. È del resto probabile, come ipotizza il Calabi (1936), che il D. eseguisse le sue acqueforti in pochissimo tempo e senza mai correggerle e, se per caso il risultato ottenuto non era buono, ne stampava solo poche prove. Ciò del resto spiegherebbe in modo convincente la rarità di certe sue opere.
Il tratteggio rapido, il segno breve, le composizioni immerse nella luce sono caratteristiche che indicano nel Cantarini e in G. Carpioni le fonti più evidenti cui il D. si è rivolto, mentre per la scelta dei soggetti determinante è risultato l'influsso di S. Mazzoni e di P. Liberi.
Nessuna acquaforte del D. è datata, ma tutte indistintamente sembra debbano essere collocate nel periodo veneziano, dal momento che la quasi totalità di esse reca un margine in basso con dediche a patrizi o personaggi in vista dell'ambiente veneziano. La produzione acquafortistica del D. ammonta a circa sessantacinque opere: quaranta ne catalogò il Bartsch (1821), altre sono state aggiunte dal Calabi (1936) e dalla Mattioli (1970), di altre ancora si hanno lacunose notizie da diversi repertori antichi (Heinecken, 1790; Huber, 1800; Vernarecci, 1892); a questo gruppo si possono aggiungere poi almeno tre nuovi fogli, finora non citati dalla precedente bibliografia, e cioè un S. Gerolamo, volto a sinistra, seduto, con le mani giunte, in atteggiamento di preghiera davanti a un crocifisso, un S. Antonio con il Bambino Gesù, firmato, e una raffigurazione allegorica della Fama, stampata da Pompeo Tomitano.
Scarsamente considerato come pittore, a causa della sua stretta e chiusa adesione ai modi bolognesi, il D. ha saputo invece raggiungere nel campo dell'incisione una libertà espressiva del tutto personale, particolarmente significativa in un ambito quale il tardo barocco, tale da farlo unanimemente ritenere una delle più felici espressioni del Seicento veneto in campo incisorio.
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