DONÀ (Donati, Donato), Giuseppe
Ultimo dei sei figli maschi di Pietro di Tommaso, esponente di un ramo di esigue fortune, e di Chiara Morosini di Giovan Francesco di Marino, nacque a Venezia il 27 dic. 1569. Nulla sappiamo della sua giovinezza: un fratello, Girolamo, ebbe qualche fama di cultura, ma gli altri (Tommaso, Gian Francesco, Marco e Nicolò, l'unico che sposandosi assicurò una discendenza alla famiglia) si avviarono per tempo a servire lo Stato nelle minori cariche dell'apparato amministrativo e giudiziario. Fu questa anche per il D. una strada obbligata: ballottato, ma non eletto sopracomito di galera l'8 ottobre e ancora il 3 dic. 1595, dal 6 nov. 1597 al 5 marzo '99 fece parte della Ternaria vecchia; quindi, il 17 genn. 1600, fu eletto membro della Quarantia civile nuova, da cui passò, un anno più tardi, in quella criminale.
Rivestiva appunto tale carica quando, nel marzo 1601, il suo nome fu estratto in occasione dell'elezione del capo della Quarantia; pertanto il D. ebbe diritto, per due mesi, di entrare a far parte del Collegio, e quindi di venire a conoscenza dei più delicati problemi dello Stato. Di carattere gioviale e simpatico, "ma prodigo e dedito al senso oltre ogni credere", vide in questo regalo della sorte un'impareggiabile occasione per risolvere d'un colpo le sue afflizioni economiche, pagare i troppi debiti che lo assillavano, e magari intraprendere su più solide.basi una ben più gratificante e prestigiosa carriera politica.
Le relazioni tra Venezia e Roma, tra la Repubblica e la Spagna, attraversavano allora uno dei momenti più delicati: il clima di sospetti e livori che all'interno del patriziato divideva i "vecchi" dai "giovani" trovava facile alimento nell'atteggiamento ostile del governatore di Milano, P. Enriquez de Acevedo conte di Fuentes, ed era ulteriormente rinfocolato dallo spinoso contrasto apertosi con la S. Sede per la conferma del patriarca M. Zane, al quale si era ancora sommata, da pochi mesi, la controversia occasionata dal taglio del Po, operato dalla Repubblica per impedire l'interramento del porto di Chioggia: un atto che però non aveva mancato di sollevare le proteste dello Stato pontificio, che l'acquisto di Ferrara aveva reso confinante con i domini veneziani.
In tale scabrosa situazione il D. non esitò ad offrire i suoi servigi di informatore al nunzio Offredo Offredi, pare dietro un compenso di 100 scudi al mese.
In proposito si ricorda l'autorevole testimonianza di Nicolò Contarini: "Il concerto passava secreto, ma quello che lo fece venir in luce, fu l'esser capitato nella città un giovine lascivo, e di costumi impudicissimi, e di nazione lucchese, nominato Alessandro Fondra .... Questi ... prese pratica col Donà, il quale in modo si invaghi di lui, essendo l'uno perduto in ogni qualità de' vizij, e l'altro maestro dell'arte meretricia, che niuna cosa vi era, la quale per conseguire l'amore del giovane non avesse fatta il Donà. Mentre dunque nel Senato si trattavano le cose correnti, et si era raccomandata estraordinaria secretezza, si scopri che non solo quanto si era deliberato, ma quanto s'era discorso, veniva tutto a' Principi, come riferivano le lettere d'ambasciatori, rivelato. Per tal successo era inesplicabile la disperazione de' pressidenti del Governo, furono perciò diversi osservati; ma perché era penetrato che tutto usciva dal Collegio, prima che dal Senato, et la vita et lo spendere del Donà profusamente, senza vedersi di dove cavasse il denaro, faceva cavar vari indizi contro di lui; per il che spiato, si scopri la di lui conversazione ...".
In effetti da qualche tempo il nunzio appariva insolitamente informato su quanto si discuteva nelle riunioni politiche, mentre l'ambasciatore a Roma, Giovanni Mocenigo, "era sempre mesto" dopo l'udienza del venerdi, dal momento che il pontefice sembrava conoscere in anticipo le sue intenzioni; la prova decisiva fu però offerta da un notaio, certo Mamoli, bandito da Venezia e riparato a Milano, che riferi di una "comunicazione personale" avuta dal D. col conte di Fuentes, in relazione a un ambizioso (quanto improbabile) progetto avanzato dal D.: pare che costui si fosse offerto di farsi eleggere castellano a Brescia nell'intento di consegnare agli Spagnoli quella fortezza, chiave di tutto il dispositivo difensivo della Repubblica in Lombardia.
Non occorreva di più per indurre il Consiglio dei dieci ad avocare a sé la questione: ci fu uno scambio di lettere col residente a Milano e il D. fu fatto sorvegliare dai confidenti. La sua colpevolezza apparve subito manifesta, e il 9 maggio 1601 gli inquisitori di Stato ne ordinavano la cattura quale "propalator di secretti". Mentre i complici riuscivano a fuggire (o forse vennero deliberatamente lasciati riparare fuori dello Stato), il giorno 16 il D. fu sottoposto alla tortura: resistette due giorni, poi confessò.
Lo stesso 18 maggio i capi del Consiglio dei dieci ordinavano al gastaldo che l'indomani, "al botto di mezza terza", il reo fosse tratto di prigione e condotto fra le due colonne sul molo prospiciente la piazza, "dove supra un paro di forche eminenti lo farete impicar per le canne della golla si che el muora, facendo lassar il suo cadavere così attaccato sopra le suddette forche sino sera".
La sentenza fu eseguita a Venezia il 19 maggio 1601.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. Codd., I, Storia veneta 19: M. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori de' patritii..., III, c. 357r (ma le date di nascita e morte sono sbagliate); Ibid., Avogaria di Comun. Libro d'oro delle nascite, schedario 170, sub voce; Ibid., Avogaria di Comun, b. 159/1: Necrologi di nobili, ad annum; Ibid., Segretario alle Voci. Elezioni del Maggior Consiglio, reg. 8, c. 103; Ibid., Capi del Consiglio dei dieci. Parti secrete, f. 27, ad annum (sul processo intentato al D.); Ibid., Ibid. Notatori, reg. 32, c. 20r; Ibid., Consiglio dei dieci. Criminal, b. 32, cc. n.n.; Ibid., Inquisitori di Stato, b. 201, cc. 2rv (sono lettere, polizze di debiti e crediti, pegni del D. e dei suoi complici); Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Mss. It., cl. VII, 16 (= 8305): G. A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio veneto..., II, c.34r; Ibid., Mss. It., cl. VII, 832 (= 8911): Consegli, ad annum; Ibid., Mss. It., cl. VII, 1611 (= 8769): N. Contarini, Storia della Repubblica di Venezia..., II, cc. 258v-260v; Ibid., Biblioteca del Civico Museo Correr, Mss. Gradenigo-Dolfin, 81, c. 223r; Ibid., Codd. Cicogna 2630: Molestie più celebri contro la Repubblica..., cc. 116rv. Cfr. inoltre: P. Mattei, Della perfetta historia di Francia, Venetia 1625, p. 365; E. A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, IV, Venezia 1834, p. 422; G. Cozzi, Il doge Nicolò Contarini. Ricerche stor. sul patriziatoveneziano agli inizi del Seicento, Firenze 1958, pp. 126, 258; R. Morozzo della Rocca-M. F. Tiepolo, Cronologia veneziana del Seicento, in La civiltà veneziana nell'età barocca, Firenze 1959, p. 261; A. Zorzi, La Repubblica del Leone. Storia di Venezia, Milano 1979, p. 386.