CARPANI, Giuseppe Enrico
Nato a Roma il 2 marzo (secondo il Mazzuchelli) o il 2 maggio (come scrive il Sommervogel) 1683, entrò nella Compagnia di Gesù il 5 luglio 1704. Dopo il consueto noviziato fu addetto all'insegnamento della grammatica e, in seguito, della retorica nelle scuole del Collegio Romano. Si distingueva in quegli anni come ottimo oratore: suoi sono il Panegirico in lode di S. Maria Maddalena de' Pazzi, detto in Siena nella chiesa de' PP. Carmelitani (pubblicato nella Raccolta di discorsi… d'insigni oratori della Compagnia di Gesù, III, Napoli 1718, pp. 71-100) e De Spiritus Sancti adventu oratio habita in Sacello Pontificio ipso Pentecostes die ad Sanctissimum Dominum Nostrum Clementem XI Pont. Max., Romae 1719. Versatissimo nelle lettere classiche, si dedicò quindi ad un'intensa attività letteraria che proseguì per alcuni decenni esclusivamente in lingua latina sotto il nome arcadico di Tyrrus Creopolita. Tra le opere poetiche vanno ricordate principalmente il Carminum et legum concordia. Carmen (in Arcadum carmina pars prior…, Romae 1721, pp. 780-288; 2 ediz., Romae 1757, pp. 282-290) e le più tarde De Iesu infante odae anacreonticae, cum Italis interpretationibus aliorum Arcadum…Romae 1747 (questo volume contiene altre poesie latine del Carpani).
Poveri d'ispirazione, questi versi s'inquadrano tuttavia nel tentativo compiuto (e spesso con buona riuscita) da alcuni ambienti ecclesiastici di piegare la riforma arcadica a strumento di riaffermazione della dottrina cattolica. In particolare il C. sa egregiamente sfruttare la riscoperta della funzione pedagogica dell'arte poetica per trarre da ogni tema, sia sacro che profano, occasione di ammaestramento e di edificazione morale. A questo intento obbediscono anche gli agili Epigrammata (in Arcadum carmina…, 2 ediz., pp. 290-296), stilisticamente e metricamente impeccabili.
Da questa stessa esigenza pedagogica nasceva la sua prima tragedia latina, l'Althemenes…(Romae 1721), recitata nello stesso Collegio Romano nel settembre di quell'anno. Frattanto, dopo l'ordinazione sacerdotale, il C. fu incaricato per sette anni dell'insegnamento della filosofia e per quattro anni di quello del diritto canonico; nel 1734 venne nominato, prefetto degli studi del Collegio Romano. Dal 1736 e, quasi annualmente, fino al 1757 creò dei componimenti sacri per musica Per la festività dell'Assunzione di Maria Vergine. Riprese anche a scrivere tragedie in lingua latina tutte accompagnate da intermezzi in musica: Adonias (Romae 1737); Sedecias (ibid. 1738); Sennacherib (ibid. 1739); Mathathias (ibid. 1740); Evilmerodach (ibid. 1742). Queste, con l'aggiunta dell'Althemenes, vennero ripubblicate qualche anno dopo (Tragoediae sex, Lusitani et Algarbiorum Regi Ioanni V dicatae, Romae 1745; 2 ediz., Monachii 1746; 3 ediz., Augustae Vindelicorum 1746; ma la più completa è l'Editioquarta auctior et accuratior, Romae 1750, che contiene una nuova tragedia, l'Esther, e un discorso del custode generale dell'Arcadia, Michele Giuseppe Morei, in difesa del Carpani).
Le tragedie del C. s'inquadrano nel teatro gesuitico più tradizionale, sottraendosi in gran parte alla evoluzione che nel Settecento aveva caratterizzato tale genere. Le istanze razionalistiche del Settecento e in generale il nuovo gusto del secolo spingono gli autori drammatici della Compagnia ad accentuare quella tendenza all'equiparazione con il teatro profano già manifestatasi nel Seicento: sostituzione dell'italiano al latino; unità e semplicità di contenuto e di forma; abbandono non solo della musica e degli intermezzi nel corso degli atti, ma anche di quel "meraviglioso" che, spingendo alla ricerca di originali soluzioni scenotecniche, aveva fatto la fortuna del teatro dei gesuiti, determinandone l'importanza nella storia del teatro.
Tali innovazioni hanno un riflesso solo parziale nelle tragedie del C. il quale, pur improntando il tessuto narrativo delle sue composizioni ad una chiarezza che evidenzi la essenziale componente didascalico-religiosa del suo discorso drammatico, non tralascia anzitutto il latino al quale del resto ci si uniforma a Roma, dove in genere le novità sono viste con sospetto per le temute ripercussioni nel mondo cattolico. Non rinuncia poi agli intermezzi che, valendosi della musica di Gaetano Carpani, "virtuoso" del cardinale Alessandro Albani, sono congegnati in modo che le singole conclusioni tengano desto l'interesse dello spettatore. Le preoccupazioni moralistiche del C., presenti negli intermezzi per il Mathathias, centrati sul mito arcadico della libera sicura spensierata vita dei pastori contrapposta alla falsa felicità dei re avvinti da invisibili catene dorate in una continua ansiosa insicurezza, non compaiono in genere negli altri intermezzi, nei quali con una certa scioltezza, non disgiunta talvolta da qualche tratto arguto, si mira al semplice divertimento. Si avvale infine del "meraviglioso" non già o non tanto per realizzare suggestive messinscene, ma principalmente perché è parte integrante del suo discorso educativo il presentare la religione in una concezione trionfalistica. Tale difetto è in sostanza rilevato anche dagli autorevoli confratelli dei Mémoires…di Trévoux i quali, riassumendo le tragedie del C. e indicandone i punti salienti per invogliare alla loro lettura, pur riconoscendo in lui un autore che ha molta intelligenza delle Sacre Scritture, di cui con sagacia "semina" nelle sue tragedie tratti scelti ed opportuni, affermano che sarebbe stato meglio che il C. avesse usato meno prodigi, perché il "meraviglioso" è più consono al poema epico che a quello drammatico. Lo spettatore, si osserva, non sopporta volentieri che sotto i suoi occhi si oltrepassino i limiti della verosimiglianza. Sarebbe stato molto più logico che il C., esemplificano i Mémoires…, non avesse supposto Nabucodonosor nell'Evilmerodach realmente trasformato in bue, ma che il re si fosse creduto tale nel delirio, secondo l'interpretazione di molti studiosi biblici.
La riprova della predilezione del C. per il "sorprendente" si ha nelle aggiunte alla Bibbia, unica fonte della sua ispirazione, verso la quale avanza talora delle interpretazioni in cui sono assenti le preoccupazioni esegetiche, ma vive le esigenze di resa spettacolare per movimentare la scena. Queste aggiunte, come egli stesso ammette, gli consentono agnizioni e peripezie per rendere appassionante il racconto tragico. Tutto questo serve al C. per creare un'atmosfera che, facendo leva su virtù eroiche, coinvolga il lettore-spettatore fino alla commozione e, all'esaltazione. La tragedia nella quale il C. maggiormente raggiunge tale intento - per linearità d'intreccio, focalizzazione di sentimenti, significativo scioglimento - è il Ionathas.
A conclusione della citata edizione completa delle sue tragedie, il C. pubblica un Index rerum et sententiarum in cui raccoglie tutte le massime sparse nelle sue opere, liberandole però del loro rivestimento poetico e affidandole alla prosa per una più agevole utilizzazione del loro contenuto etico. Il quale, pur non attingendo a superiore saggezza e originalità, non di rado testimonia l'impegno morale del C. come, ad esempio, in "Honestatur quisque moribus, non verbis" (Sennacherib, atto II, scena V), oppure in "Exempla regum populos movent magis quam leges ab ipsis latae" (Adonias, atto I, scena IV).
Dopo il 1750 il C. abbandonò del tutto l'attività letteraria. Nominato professore di teologia morale nel Collegio Romano (tenne questa carica per dieci anni), esaminatore sinodale e teologo del collegio di S. Bonaventura, egli si dedicò esclusivamente ad approfondire questo nuovo settore di studi e, in un momento di pericolose e accese polemiche, mirò a difendere le posizioni della Compagnia di Gesù. Nella sua prima opera di contenuto teologico (De opinione probabili rectoque illius usu. Opusculum tripartitum, Lucae 1753) il C. fu autore di un'appassionata difesa del probabilismo contro le accuse denigratorie del confratello francese Paul Gabriel Antoine (Theologia moralis universa ad usum parochorum et confessariorum, s.l. 1726) e del domenicano D. Concina (Storia del probabilismo, Lucca 1743).
In modo particolare l'opera era stata occasionata da una nuova edizione della Theologia moralis dell'Antoine (Romae 1747), curata dal frate minore Filippo da Carbognano, il quale vi aveva aggiunto dei supplementi contenenti le Propositiones damnatae, i Casus reservati, le Constitutiones Benedicti XIV, ac plura ex eiusdem Tractatu de Synodo diocesana, cum appendice de sollicitatione;cosìcompletato il trattato venne adottato per ordine del papa come manuale nel Collegio di Propaganda Fide e riscosse il favore di molti vescovi italiani. Il metodo usato dal C. per confutare le tesi contrarie è fondato su due ordini di argomenti: l'accusa di malafede o di superficialità mossa agli avversari e la precisazione dei limiti entro cui lecitamente possa esser valida la teoria del probabilismo, per evitare quelle esagerazioni che - egli riconosce - hanno giustamente procurato scandalo. Il C., insomma, respinge le tesi estreme del Medina per dirsi piuttosto discepolo del Suarez; altri autori "classici" da lui seguiti sono soprattutto Sanchez, Cardenas e De Lugo.
A questa opera rispose aspramente il Concina con un duro opuscolo che vide la luce postumo, Ad virum clarissimum R. P. Iosephum Carpani S. I. et in Romano Collegio studiorum praefectum Epistolae, Venetiis 1769.
Tre anni dopo uscì l'ultimo libro del C., De delectationibus, caelesti, ac terrena ob graduum superioritatem trahentibus secum infallibiliter id quod magis delectat duplex disputatio, altera polemica, altera scholastica…(Romae 1756; 2 ediz., Augustae Vindelicorum 1763; fu anche inserita da F. A. Zaccaria nel Thesaurus theologicus, V, Venetiis 1762, pp. 497-576). Questa volta ad essere colpito dalla vispolemica del gesuita romano era l'agostiniano Gianlorenzo Berti, accusato di aver seguito nel suo trattato De theologicis disciplinis (Romae 1739-45) un sistema intorno alla grazia molto simile a quello giansenista, già condannato dalla Chiesa.
L'attacco del C. arrivava in ritardo rispetto ad altri noti interventi degli avversari dell'agostinianismo rigido, quelli cioè del vescovo di Rodez, J. d'Yse de Saléon, del canonico della diocesi di Soissons, de Gorgne, e del vescovo di Sens, J. J. Languet de Gercy; anche nelle argomentazioni il gesuita romano seguiva strade già battute. Per lui il peccato originale non ha indebolito la natura umana; e forte di questa fiducia il C. vuole dimostrare che la dottrina del Berti, fondata sul principio che l'uomo possa agire bene soltanto in virtù della "delectatio caelestis victrix" (cioè grazie ad un intervento divino che pieghi la volontà umana volta al male), non è presente in s. Agostino, il quale nella sentenza: "Quod amplius nos delectat, secundum id operemur necesse est" non ha voluto alludere - sempre secondo il C. - ad una "delectatio indeliberata", ma ad "amor et volitio deliberati", cioè scelti dall'uomo. Inoltre il C. faceva un'aperta apologia del sistema molinistico. Contro di lui l'agostiniano J. Simon replicò con l'opuscolo Delectatio victrix. Deprecatio ad sanctum Augustinum opposita Iosepho Carpano Iesuitae Romano, s.l. 1765.
Il C. morì a Roma il 1º nov. 1762.
Fonti e Bibl.: Bibl. Apost. Vat., Vat. lat.9281: G. M. Mazzuchelli, Gli Scritt. d'Italia, f. 590; Mémoires pour l'histoire des sciences et des beaux-arts, Trévoux, ottobre 1745, pp. 2218-2240; F. A. Zaccaria, Annali letterarj d'Italia, I, 2, Modena 1762, pp. 62 ss.; F. M. Renazzi, Storia dell'università degli studi di Roma, IV, Roma 1806, pp. 140 s.; E. Dammig, Ilmovimento giansenista a Roma nella seconda metà del sec. XVIII, Città del Vaticano 1945, p. 301; C. Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, II, coll. 764-766; H. Hurter, Nomenclator liter. theologiae catholicae, IV, coll.1634 s.; V, I, col. 39; Dictionn. de théol. catholique, I, col. 2486, ad vocem Augustinianisme; Dictionn. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., XI, coll. 1109 s.