FANELLI, Giuseppe
Nacque a Napoli il 13 ott. 1827 da Lelio Maria e da Marianna Ribera.
La sua era una agiata famiglia borghese: il padre, originario di Martina Franca, aveva esercitato in Puglia l'avvocatura e, trasferitosi a Napoli, si era affermato come giureconsulto al punto che il governo borbonico lo aveva incaricato di compilare una raccolta di leggi, il Corpo di diritto positivo, ovvero Legislazione e giurisprudenza generale per lo Regno delle Due Sicilie (4 voll., Napoli 1830-50). Questo lavoro fu molto apprezzato a corte, ma i buoni rapporti col potere che ne derivarono non gli impedirono, compiuta l'Unità, di ricoprire qualche carica pubblica elettiva nel nuovo Regno.
Lungi dal seguire le orme paterne, il F. non amò mai il diritto e nutrì subito una profonda avversione per il regime borbonico: studente di architettura, non arrivò mai alla laurea, richiamato alla politica dalle turbinose vicende prequarantottesche del Meridione. Attratto da quella ideologia nazionale che predicava l'indipendenza e l'unità, il F. la fece poi sua nelle forme più estremistiche, quelle divulgate dal mazzinianesimo e, mosso dal desiderio di dare il proprio apporto all'insurrezione milanese, verso la fine di marzo 1848 partiva per la Lombardia al seguito di Cristina Trivulzio di Belgioioso e della colonna di volontari da lei organizzata.
Era l'inizio di una lunga serie di peripezie che da Milano, dove il F. aveva conosciuto di persona il Mazzini che pochi mesi dopo lo avrebbe descritto come un "giovane buono, onesto, sincero" e dotato di uno spiccato senso del dovere (lettera del 19 nov. 1848, in Ediz. naz. degli scritti, XXXVII, pp. 138 s.), lo avrebbero portato in Svizzera, poi a Genova e in Toscana, quindi nella Roma repubblicana. A Milano si era specializzato come artigliere e si era dedicato all'addestramento dei volontari; quindi era entrato nella colonna dì G. Medici, con il quale aveva combattuto la guerra partigiana sulle montagne del confine italo-svizzero. A Firenze dalla fine del 1848, nel marzo del 1849 aveva rivisto il Medici che lo aveva accolto, con il grado di sergente, nella nuova compagnia che stava organizzando: suo proposito iniziale era quello di tornare a battersi al Nord, ma la seconda sconfitta piemontese lo convinse a portare i suoi uomini a Bologna e di qui, sul finire di aprile, nella Roma ormai assediata dai Francesi.
L'epopea della difesa, concentrata in gran parte nelle postazioni del Gianicolo battute dal fuoco nemico, avrebbe avuto a fine giugno uno dei suoi momenti più gloriosi nel bombardamento della villa del Vascello, dove si era schierata la compagnia Medici.
Negli ultimi giorni dell'assedio il F. aveva conosciuto N. Fabrizi, antico cospiratore unitario che sul ceppo della predicazione mazziniana aveva innestato l'idea di una capacità insurrezionale del Sud della penisola. Con lui il F., entrati i Francesi in Roma, raggiunse la Corsica e poi Malta, inserendosi in quel ristretto ambiente di esuli che ormai da vent'anni attendeva un'occasione per abbattere i governi dispotici e aprire qualche seria prospettiva per l'unificazione.
Al Fabrizi pareva allora che fosse possibile riprendere a lavorare a Napoli, una città in cui peraltro l'elemento democratico - radicale e mazziniano - aveva sempre penato a penetrare; e l'uomo giusto per riorganizzare un tessuto cospirativo gli sembrò proprio il F. che, per essere di famiglia abbastanza in vista, offriva anche garanzie sull'ampiezza dei rapporti che avrebbe potuto allacciare in un raggio che, partendo dall'estremismo democratico, fosse in grado di spingersi fino ai settori cosiddetti costituzionali, quelli cioè in cui si muovevano i sostenitori di una lotta all'assolutismo borbonico serrata ma senza obiettivi repubblicani. Ciò significava in pratica lavorare a quella formula della "bandiera neutra" che nel 1856 lo stesso Mazzini avrebbe accettato nella speranza di costringere il Piemonte a una politica più risoluta.
Nell'estate del 1853, al momento in cui il F. tornava a Napoli fruendo della tolleranza dei pubblici poteri in nome del prestigio goduto dalla sua famiglia, poco restava dell'intensa attività cospirativa fiorita nel Regno prima del '48: scompaginata dagli arresti e dagli esili la rete carbonara-militare, sopravviveva solo un comitato affidato all'operosità di N. Mignogna ed a quella, meno sorvegliata e dunque più produttiva, di A. Morici e di L. Dragone. La linea perseguita era appunto quella della ricerca di una collaborazione tra tutte le forze antiborboniche, linea che comportava la sospensione temporanea dalle divergenze ideologiche e il rinvio a libertà raggiunta della soluzione del problema istituzionale, magari attraverso la creazione di una Assemblea costituente. D'intesa con il Dragone, il F. si impegnò anzitutto nello stabilire collegamenti con le province - in particolare col Cilento, la Calabria e la Basilicata - al fine di allargare la trama cospirativa. Muovendosi poi indipendentemente dal Mignogna, il F. ne riprese la strategia di penetrazione tra i moderati napoletani, ricevendo qualche vaga assicurazione, che però gli fu sufficiente per continuare a credere in una prospettiva che acquistava forza anche dalla necessità di fronteggiare il pericolo, che si profilava all'orizzonte, del murattismo. L'accordo coi moderati poteva aprire la strada verso il mondo militare, mitica chiave di volta di tutto il sistema ed elemento decisivo per una futura presa del potere; allo stesso tempo, però, i contatti operativi che il F. manteneva con gli esponenti del radicalismo repubblicano e la sua corrispondenza col Fabrizi ingeneravano sospetti e diffidenze in chi avrebbe voluto fare della transizione al liberalismo un processo del tutto privo di contraccolpi sul piano sociale.
L'arresto del Mignogna nel luglio del 1855 e la sua successiva condanna all'esilio consegnarono in pratica al F. tutta la responsabilità del Comitato segreto, sottoponendolo ad un impegno, soprattutto psicologico, al quale forse non era preparato. D'altra parte, nel momento in cui colpiva chi gli lavorava a fianco, la repressione accresceva la sua volontà di entrare in una fase più concreta, la fase della preparazione militare, con la formazione di quadri insurrezionali e l'approvvigionamento di armi. Diventavano ora più convincenti le sollecitazioni che gli indirizzava il Mazzini per indurlo a costruire una azione localizzata al Meridione, tale da servire di sprone al resto della penisola, e si profilava la sua disponibilità a dare ascolto alle pressioni di C. Pisacane, che da Genova, nell'estate del 1855, lo aveva contattato per invitarlo a compiere l'opera intrapresa dal Mignogna: il F. diventava così il perno di un meccanismo insurrezionale che mandava più impulsi: da quello "conciliativo" e sostanzialmente assai cauto del Fabrizi (che però era il suo referente diretto per le armi e il denaro) a quello repubblicano e unitario del Mazzini, fino a quello "socialista" del Pisacane.
Ben altra tempra di cospiratore sarebbe occorsa per unificare questi diversi indirizzi in un progetto organico di sollevazione del Mezzogiorno: il F. cercò di fare del suo meglio, dimostrandosi laboriosissimo soprattutto nel tenere la corrispondenza del Comitato (che firmava col nome di "Wilson", mentre "Kilburn" era il suo nome di battaglia), ma l'approssimarsi del momento risolutivo, destinato a materializzarsi nella tragica spedizione di Sapri, sottolineava i limiti di un carattere come il suo, in cui l'esaltazione si alternava alla sfiducia e al timore e tutto tendeva fondamentalmente alla dilazione. Accadeva perciò che in una stessa lettera il F. potesse mostrare insieme estrema prudenza e grande determinazione, la prima derivante dall'insoddisfacente livello di organizzazione delle province e dalla penuria di mezzi ed armi, la seconda come riflesso istintivo della volontà di rispondere colpo su colpo al dispotismo borbonico: già presenti nella corrispondenza col Fabrizi, queste contraddizioni si colgono bene nella lettera al Mazzini del 2 febbr. 1857 (Greco, pp. 217-221), nella quale, dopo essersi lamentato delle condizioni di totale isolamento in cui era stato costretto a preparare un terreno tradizionalmente difficile come quello meridionale, il F., nel clima di sdegno suscitato dalla recente condanna a morte di A. Milano, prospettava tuttavia al Mazzini una situazione resa potenzialmente favorevole da "un lavoro che mi sembra bastevole elemento per una iniziativa imponente e decisiva".
Pur temperate da successive sottolineature dei propri limiti e dalla richiesta di una direzione politica e militare che venisse da fuori (richiesta con cui il F. ribadiva il senso della propria insufficienza), queste sue parole, graditissime al Mazzini, aprirono la via ai preparativi concreti per la spedizione di Sapri, al di là delle stesse intenzioni del F. che inutilmente avrebbe in seguito segnalato l'opportunità di un rinvio a tempi migliori. Va detto, però, che, in questo gioco a tre, determinante era stato il ruolo del Pisacane, il quale aveva spinto il F. a prendere contatto col Mazzini e a rassicurarlo sul grado di sviluppo della cospirazione in modo da vincere le sue antiche diffidenze verso le capacità insurrezionali del Sud; e va detto anche che le successive, contraddittorie lettere del F. generarono nuovi dubbi nel Mazzini, al quale certamente il piano sottopostogli non era dispiaciuto ma che alla fine pensò bene di rimettersi alla "coscienza" del Pisacane (Morabito, p. 46).
Se si vuole pronunziare un giudizio il più possibile obiettivo su questa vicenda, si deve concludere che tutti i protagonisti ebbero le loro colpe, il F. parlando di una cospirazione meridionale assai avanzata e diffusa, il Mazzini e il Pisacane facendogli credere che sarebbe bastato un minimo di iniziativa per provocare una deflagrazione generale. Come avrebbe scritto il Morici qualche anno più tardi, nel divampare delle polemiche sulle responsabilità del Comitato napoletano e del suo capo, "a ragion fredda credo che in quell'affare siavi torto da parte di tutti, accusatori ed accusati, e che si farebbe molto meglio di non parlarne" (a L. Dragone, 29 apr. 1861, in Capone, p. 81).Se ne parlò, invece, e molto, dopo il compimento dell'Unità. A dar fuoco alle polveri di una astiosissima polemica che accusava il F. di aver abbandonato a se stesso il Pisacane e i suoi compagni fu uno dei protagonisti della spedizione, G. Nicotera, appena liberato dal carcere di Favignana; il F., che subito dopo l'eccidio di Sapri si era rifugiato a Londra portando tutte le carte del Comitato (e riuscendo a convincere il Mazzini di non aver tradito), era tornato in Italia per unirsi alla spedizione dei Mille nel comprensibile tentativo di riscattare quella che comunque era una brutta pagina. Sembra che compisse qualche gesto di valore a Calatafimi, ma ciò non gli risparmiò l'ira del Nicotera, che, dopo aver tentato di aggredirlo fisicamente (e il F. fu costretto a separarsi da Garibaldi e ad aggregarsi a V. G. Orsini nella digressione su Corleone), avviò una vera opera di demolizione morale della sua figura, presentandolo sulla stampa come colui che non aveva tenuto fede ad alcuno degli impegni presi col Pisacane. Rilievi altrettanto duri li aveva fatti R. Pilo in una lettera al Nicotera del 10 ag. 1858, in cui tutto l'ambiente settario napoletano era stato accusato di "vigliaccheria" e di "nullità" (Pilo, Lettere, pp. 426 ss.); quelli del Nicotera, però, giungendo ai giornali e rivelando trascorsi - a bilanciare i quali non era stato sufficiente l'ardore profuso dal F. per neutralizzare militarmente alla testa dei Cacciatori del Vesuvio le bande reazionarie del Matese (settembre 1860-gennaio 1861) - rischiavano di colpire tutta la Sinistra napoletana: di qui un generale affannarsi per sopire il clamoroso contrasto con uno sforzo di conciliazione in cui si distinse N. Fabrizi, interessato non meno del F. a chiudere una questione che poteva coinvolgerlo direttamente per il ruolo a suo tempo rivestito di principale e più ascoltato interlocutore del Comitato napoletano.
L'intervento del Fabrizi si concretizzò in una ricostruzione degli eventi del 1857 stesa in forma di relazione al Garibaldi e pubblicata nel 1864 col titolo La spedizione di Sapri e il Comitato di Napoli: ribadita l'assoluta buona fede del F., il Fabrizi indicava nella precipitazione del Mazzini e nell'errata strategia insurrezionale del Pisacane l'origine dell'insuccesso; ma era significativo che, pur nel contesto di una analisi largamente assolutoria per il F., il Fabrizi riconoscesse che un appunto era possibile muovere al Comitato, e cioè di non aver dato nessun segno di vita, di non aver tentato assolutamente nulla a Napoli mentre a Sanza l'esercito reprimeva il moto pisacaniano.
A rendere più difficile la ricerca di una composizione intervenne, all'inizio del 1864, l'aggressione a bastonate sulla pubblica via con cui un F. ormai esasperato e coi nervi logori pensò di poter convincere il Nicotera a desistere dalla polemica. Questi a sua volta non fu affatto soddisfatto del verdetto che sul caso ebbe a pronunziare un giurì della Sinistra presieduto da A. Ranieri e reagì in maniera scomposta, minacciando attacchi e rivelazioni tali da compromettere le fortune del Partito d'azione nel Napoletano; e se finalmente, nell'estate del 1864, egli parve adattarsi a un compromesso, fu solo per la consapevolezza del danno che la sua vita politica personale avrebbe tratto da un declino della Sinistra nel Mezzogiorno. Lentamente le ire si placarono, e a chiudere la lunga controversia giunse il plateale abbraccio con cui il 23 febbr. 1867 il Nicotera salutava pubblicamente il F., intervenuto ad una riunione della democrazia napoletana.
Nel frattempo molte cose erano cambiate nella vita del F. e si era aperta una nuova stagione di militanza politica. Forse perché deluso dallo scarso appoggio offertogli dal Mazzini nel corso della polemica su Sapri, il F. si volse verso altre forme di democrazia: a motivarlo non era tanto la lezione teorica del Pisacane, da lui probabilmente mai conosciuto a fondo sotto questo profilo, quanto la propaganda bakuniniana che dall'estate del 1864 aveva cominciato a far circolare in Italia, soprattutto al Sud, i progetti e i propositi di un socialismo libertario destinato ad entrare in collisione con le tesi dell'Internazionale. "Parlatore facondo e immaginoso", come lo avrebbe ricordato nei suoi Ricordi di un internazionalista (Milano 1910, p. 121) O. Gnocchi Viani, il F. trovò un terreno molto ricettivo per la sua predicazione di stampo anarchico nella Napoli misera dei primi anni postunitari, tra tutti coloro che ritenevano troppo astratto il rivoluzionarismo garibaldino e sentivano ancora più lontano quello mazziniano. Nel lavoro svolto con elementi quali C. Gambuzzi, A. Dramis, S. Friscia, la funzione del F. fu appunto quella di dirottare verso il bakuninismo tutti gli scontenti del mazzinianesimo e del radicalismo massonico; ma questo suo sforzo di superare ciò che si considerava un patriottismo piccolo borghese per approdare al socialismo del Bakunin fu di necessità graduale e impose quasi una doppia militanza: così nel 1866 un Bakunin gia perplesso sul reale valore dei suoi primi adepti napoletani doveva constatare con orrore che il F. e i suoi compagni, ancora sensibili ai valori risorgimentali, non resistevano al richiamo della guerra nel Veneto e si arruolavano col Garibaldi, magari per ricevere l'ennesima delusione.
Era questa, tuttavia, l'ultima concessione alla politica della nazionalità: proprio il F. nell'ottobre del 1866, durante un incontro a Lugano, cercava di convincere il Mazzini a depurare il proprio programma dei contenuti religiosi per indirizzarlo più risolutamente sul sociale; la risposta che ne ricevette fu, ovviamente, delle più sprezzanti. L'anno dopo le segnalazioni poliziesche circa una partecipazione del F. ai preparativi di un tentativo insurrezionale su Roma a fianco del Nicotera e d'intesa col Garibaldi indicavano più che altro in lui un'attenzione strumentale per l'elemento garibaldino come possibile serbatoio di forze disponibili ad una attività che avesse presupposti ideologici, scopi e modalità completamente nuovi.
Da allora tutta la parte finale dell'esistenza del F. si svolse nell'orbita del Bakunin: legato a lui da una grande intimità, questi lo considerava il più affidabile dei suoi collaboratori italiani anche se ne scherniva un certo formalismo perbenista e l'attaccamento a forme di decoro borghese, risalenti probabilmente l'uno e l'altro alla sua provenienza sociale e tali da fargli spesso deprecare la penuria di mezzi in cui era costretto a svolgere il suo lavoro di reclutatore di nuovi adepti e di esaminatore della sincerità della loro dedizione alla causa rivoluzionaria. Presente in tutte le iniziative napoletane del Bakunin (ad esempio nella fondazione - aprile 1867 - dell'associazione Libertà e giustizia), il F. sostenne anche il successivo disegno di creare, con l'Alleanza della democrazia socialista, un nucleo da inserire poi nell'Internazionale per rovesciare gli equilibri favorevoli all'indirizzo voluto da K. Marx. A tale esigenza rispose anche la missione che il F. effettuò in Spagna tra fine 1868 e primavera 1869, al termine della quale furono costituite sezioni dell'Internazionale a Barcellona e Madrid; tra i più sensibili ai contenuti antiautoritari del bakuninismo, il F., per quanto spesso incline ad isolarsi per risentimenti personali o per la necessità di riprendere fiato rispetto ad un lavoro che lo costringeva a lunghi viaggi in Italia e tra l'Italia e la Svizzera, dove il Bakunin aveva il suo quartier generale, era molto ben visto dai meridionali e si valse della sua popolarità per mettere a segno il colpo più grosso, convincendo C. Cafiero ad abbandonare Marx e Engels per convergere sulle posizioni libertarie e sostenerle con tutto il peso della sua vivacità intellettuale e del suo patrimonio.
Coerentemente con questa esplicita volontà di rottura il F. aderì a tutti gli atti pubblici con cui, dal 1872 in avanti, l'organizzazione bakuniniana prese le distanze da ciò che veniva giudicato il socialismo centralizzatore di Marx: presente a Rimini e poi a Saint-Imier, nel settembre del 1872 il F. discusse a Locarno col Bakunin il programma dell'Alleanza socialista rivoluzionaria che allora si fondava, ma probabilmente non ne condivise del tutto gli obiettivi insurrezionali e si defilò dopo la costituzione della federazione italiana dell'Internazionale (agosto 1872). Deputato dal 1865 in rappresentanza del collegio di Monopoli, aveva sempre tenuto a questa sua funzione che gli consentiva, tra l'altro, di spostarsi con facilità e senza spese e di tenere i collegamenti tra i vari centri del nascente anarchismo italiano: era perciò stato lieto di essere rieletto nel marzo del 1867 (X legislatura) e nel gennaio del 1871, questa volta coi voti del collegio di Torchiara (Salerno).
E tuttavia la sua presenza alla Camera era risultata incolore e si era limitata (il 5 marzo 1866) a chiedere sorprendentemente una migliore difesa dal brigantaggio per quei proprietari terrieri che a suo dire tanto avevano contribuito alla liberazione del Sud, di modo che un pallido riflesso dell'evoluzione politica del F. si poteva cogliere solo nell'altro intervento del 7 febbr. 1873, con cui criticava l'ipotesi di affidare l'istruzione popolare ai graduati congedati dell'esercito, ritenendola suscettibile di trasformare "il principio di libertà in quello di brutalità".
Quando pronunziava queste parole il F. si era già isolato dal nascente internazionalismo italiano e, pur frequentando di tanto in tanto la residenza luganese del Bakunin, non era più in sintonia con una strategia che, dimentica dell'opposizione fatta in passato al Mazzini, pareva averne ereditato la sventatezza insurrezionale. Malgrado i rimproveri di qualche giovane anarchico, il F. era molto attaccato al suo seggio parlamentare e al suo posto di consigliere comunale a Napoli, per cui la mancata presentazione alle politiche del 1874 lo addolorò molto, accentuando i sintomi di fragilità nervosa emersi sin dai tempi di Sapri e puntualmente rilevati da chi aveva visto in lui, al di là dell'oratoria fantasiosa, "un uomo senza criterio" (Scirocco, p. 342).
Ebbe allora inizio un rapido declino fisico e mentale, punteggiato da ricoveri in case di cura e aggravato nell'estate del '76 dalla notizia della scomparsa del Bakunin: dai deliri della follia lo liberò infine la morte che il 6 genn. 1877 lo colse in una clinica di Capodichino (prov. di Napoli). Per una sorta di vendetta postuma i suoi funerali si trasformarono in una manifestazione popolare contro il suo antico nemico, il Nicotera, allora ministro dell'Interno; e il Cafiero, la cui sorte non sarebbe stata diversa dalla sua, lo salutò con un discorso funebre che era anche un accorato appello alla rivoluzione, nell'attesa della quale, disse, "i nostri amici si lasciano così morire: o in carcere, o in esilio, o pazzi per forti dolori" (Masini, p. 189).
Fonti e Bibl.: Lettere inedite del F. a N. Fabrizi sono conservate a Roma nell'Archivio del Museo centrale del Risorgimento (busta 522/34-35) e in Archivio centrale dello Stato, Carte Fabrizi, e si riferiscono rispettivamente al periodo della cospirazione napoletana (1854-57) e ai primi anni dopo l'Unità. Copiose le fonti a stampa sulla preparazione della spedizione di Sapri: in primo luogo sono da tener presenti G. Greco, Le carte del Comitato segreto di Napoli (1853-1857), Napoli 1979 (che pubblica la corrispondenza del F. col Mazzini, il Fabrizi e il Pisacane), da integrare con L. De Monte, Cronaca del Comitato segreto di Napoli, Napoli 1877, passim; P. E. Bilotti, La spedizione di Sapri, Salerno 1907, pp. 70, 75 s., 80 ss., 85-104, 117-124, 137-142, 205 s., 356, 362-366; C. Pisacane, Epistolario, a cura di A. Romano, Milano-Roma-Napoli 1937, ad Indicem; Ediz. naz. degli scritti di G. Mazzini, Imola 1906-1943 (per la consultazione si rinvia agli Indici, a cura di G. Macchia, II, 1, ad nomen); R. Pilo, Lettere, a cura di G. Falzone, Roma 1972, ad Indicem (ove si guardi pure al nome Wilson); L. Morabito, Lettere ined. di G. Mazzini. La cospirazione a Genova tra il 1856 e il 1858, in Rass. stor. della Liguria, I (1974), pp. 14-17, 22-25, 29-34, 44-47; G. Asproni, Diario politico 1855-1876, a cura di C. Sole - T. Orrù, I-VI, Milano 1974-83, ad Indices.
Quanto al giudizio storico sul ruolo del F. una messa a punto fondamentale, anche relativamente alla polemica col Nicotera, è quella di A. Capone, G. Nicotera e il mito di Sapri, Roma 1963, ad Indicem, dove si ricordano i vari contributi storiografici sull'argomento, da quello di G. Racioppi, La spedizione di C. Pisacane a Sapri, Napoli 1863, compilato su materiale documentario fornito dallo stesso F., a quello già citato di L. De Monte, per arrivare fino ai lavori di N. Rosselli, C. Pisacane nel Risorgimento ital., con introduz. di W. Maturi, Milano 1958, pp. 233, 246-256, 262 ss., 269, 275, 279, 312 ss., critico verso il F. fino alla denigrazione, e di G. Berti, I democratici e l'iniziativa merid. nel Risorg., Milano 1962, ad Indicem, incline a riversare sul Mazzini e sul Pisacane le maggiori responsabilità del fallimento; uno spirito simile anima infine il lavoro di L. Cassese, La spedizione di Sapri, Bari 1969, pp. 10-32. Meno ricca la disponibilità di materiale documentario sull'esperienza internazionalista del F.: il contributo più rilevante lo si ricava da M. Nettlau, Bakunin e l'Internazionale in Italia dal 1867 al 1872, Ginevra 1928; dagli 8 voll. delle Archives Bakounine, a cura di A. Lehning, Leiden 1961-1981, ad Indices, e da J. Guillaume, L'Internationale. Documents et souvenirs (1864-1872), I-II, Paris 1985, ad Indicem. Altre fonti sono indicate da A. Lucarelli, G. F. nella storia del Risorg. e del socialismo ital., Trani 1954, in quella che, pur viziata da toni troppo apologetici e densa di notizie non controllate, è comunque la migliore biografia del F. (poi ripresa nella "voce" F., in Il movimento operaio ital. Diz. biogr. 1853-1943, a cura di F. Andreucci - T. Detti, II, sub voce). Circa la presenza del F. nell'internazionalismo sono da vedere N. Rosselli, Mazzini e Bakunin..., Torino 1927, ad Indicem; A. Romano, Storia del movimento socialista in Italia, Bari 1966, I, pp. 167, 189, 196 ss., 203, 233 s., 238 s., 243-246, 266, 282, 284, 301 ss., 425 s., 526, 529, 534, 537 s.; II, pp. 162, 178, 291 ss., 326-329, 340 s., 347 s., 354, 363 s., 371, 560; A. Capone, L'opposiz. merid. nell'età della Destra, Roma 1970, ad Indicem; P. C. Masini, Cafiero, Milano 1974, pp. 33, 60, 64 ss., 83, 88, 113, 129, 134, 159, 171, 189; A. Scirocco, Democrazia e socialismo a Napoli dopo l'Unità (1860-1878), Napoli 1976, ad Indicem. Qualche rapida notizia sul F. volontario nel 1848 e nel 1860 rispettivamente in V. Ottolini, Cronaca della Compagnia Medici (1849)…, Milano 1884, pp. 28, 88, e in G. Petella, La legione del Matese durante e dopo l'epopea garibaldina, Città di Castello 1910, pp. 35, 39 s., 55, 64, 106 ss., 244, 251, 253, 295.