FENOGLIO, Giuseppe (Beppe)
Nacque il 1ºmarzo 1922 ad Alba (Cuneo), primogenito di Amilcare, trasferitosi nella città dalla campagna circostante, garzone di macellaio e presto macellaio in proprio, e di Margherita Faccenda; ebbe fratelli minori Walter e Marisa. Ad Alba frequentò le scuole con qualche sacrificio della famiglia, giustificato dai buoni risultati e incoraggiato dagli insegnantì, fino al ginnasio e al liceo, dove ebbe professori quali Leonardo Cocito e Pietro Chiodi, che avrebbe poi ritrovato nella Resistenza. Era un adolescente amante dello sport, fantasioso, riflessivo, affetto da una leggera balbuzie allorché, negli anni del ginnasio, fu preso da una passione "letteraria" che si sarebbe dimostrata formativa e indelebile.
Nata come adolescenziale passione per la fingua, la cultura e la letteratura inglesi e in particolare come innamoramento romantico per la rivoluzione di Oliver Cromwell e delle teste rotonde, non fu la trappola di un'evasione provinciale - era "sufficientemente scaltro e colto" per non cadervi -, ma fu la spia della "ricerca di un modello umano, di una "formazione" di uno stile diverso da quello che il fascismo gli offriva" (Chiodi).
Dopo la licenza liceale, nel 1940 il F. si iscrisse alla facoltà di lettere di Torino: frequenza saltuaria, pochi esami sostenuti e risultati non brillanti. Nel gennaio 1943 lo raggiunse la chiamata alle armi e fece il corso allievi ufficiali prima a Ceva poi a Pietralata (Roma), da dove dopo l'8 settembre rientrò fortunosamente ad Alba. Iniziò allora l'esperienza partigiana, che avrebbe segnato in modo decisivo la sua vita e la sua scrittura. Nel dicembre, insieme col fratello Walter, partecipò all'assalto alla caserma dei carabinieri di Alba, riuscendo a liberare i padri dei renitenti di leva lì tenuti in ostaggio. Nel gennaio 1944 si uni a una formazione garibaldina operante tra Murazzano e Mombarcaro e partecipò allo sfortunato scontro di Carrù del 3 marzo, cui seguirono vasti rastrellamenti. Rientrò allora in famiglia e vi trovo il fratello, che si era arruolato nell'esercito della Repubblica sociale a seguito dell'arresto del padre e aveva poi disertato. Tutta la famiglia venne arrestata per una delazione: le donne furono rilasciate poco dopo, i maschi furono scambiati poi, per la mediazione del vescovo, con fascisti catturati dai partigiani. Nel settembre il F. risalì in montagna con Walter, nelle Langhe meridionali, e militò nelle Formazioni autonome militari, gli "azzurri" guidati da Enrico Martini Mauri e Piero Balbo, nella seconda divisione "Langhe", agli ordini di Pietro Ghiacci. In quella formazione partecipò alla liberazione di Alba (10 ottobre), che fu tenuta sino al 2 novembre e quindi riconquistata dai nazifascisti. Dopo il proclama del generale H. R. Alexander il F. passò da solo l'inverno, nascosto a Cascina della Langa, per riprendere la lotta il 24 febbr. 1945 combattendo a Valdivilla. Svolse poi funzioni di ufficiale di collegamento con le missioni alleate (Monferrato, Vercellese, Lomellina) e il 19 aprile combatté a Montemagno.
Passato il tempo delle armi, fu difficile il reinserimento nella vita civile, anche per le tensioni familiari, soprattutto con la madre che gli rimproverava l'abbandono degli studi universitari, l'accanito vizio del fumo, la dipendenza economica dalla famiglia, l'appartarsi a scrivere per ore. Finché nel maggio 1947 fu assunto, per la conoscenza di inglese e francese, in un'azienda vinicola albese, la "Figli di Antonio Marenco", per curarvi le esportazioni. Si trattava di un lavoro non molto impegnativo se non in alcuni periodi dell'anno, che gli lasciava tempo per scrivere, talora anche in orario d'ufficio. Non avrebbe mai lasciato quella ditta, della quale sarebbe divenuto procuratore, e vi lavorò circondato dall'affetto e dalla stima che colleghi e amici gli tributavano per i suoi schietti tratti umani e lo scrupolo con cui svolgeva il suo compito.
Abbastanza inconsueto fu il suo percorso politico: il precoce e autentico antifascismo non lo aveva spinto a sinistra, neanche quel tanto da consentirgli di essere repubblicano, e il 2 giugno 1946 aveva votato Per la monarchia. Durante la guerra partigiana aveva visto nei comunisti nient'altro che "un incomprensibile sottoprodotto della guerriglia". Solo in seguito, prendendo atto delle condizioni sociali del dopoguerra e costatando di persona come, ad esempio, "in una impresa vinicola di Alba ... un centinaio di donne, con mani paonazze, lavava bottiglie da mattina a sera per un salario inferiore al necessario per vivere, Fenoglio cominciò a vedere i "rossi" in una nuova prospettiva", incamminandosi "per gli amari sentieri della sinistra non comunista" (Chiodi).
L'altro aspetto dell'anonima e quieta vita di provincia fu una ricerca letteraria tesa e tormentata, segnata sin dall'inizio dal contrasto tra una robusta vocazione e il dubbio (che non si sarebbe mai del tutto dissolto) di non essere in grado di dare espressione adeguata al mondo che intendeva narrare, e da un intenso lavorio di stesure e rifacimenti, progetti abbandonati e poi ripresi, scorporamenti e riaggregazioni di brani ("la più facile delle mie pagine esce spensierata da una decina di penosi rifacimenti. Scrivo with a deep distrust and a deeper faith": in Ritratti su misura di scrittori italiani, a cura di E. F. Accrocca, Venezia 1960, p. 181).
Esordiente col racconto Iltrucco (su Pesci rossi, bollettino editoriale della Bompiani, novembre 1949, sotto lo pseudonimo di Giovanni Federico Biamonti), per affermarsi dovette passare attraverso il severo vaglio della casa editrice Einaudi. Nel 1949 inviò alla redazione i Racconti della guerra civile e nel 1950 presentò il romanzo La paga del sabato, che ebbe i giudizi positivi di Italo Calvino e Natalia Ginzburg e le riserve di Elio Vittorini, che non ne sostenne la pubblicazione. Finalmente nel 1952 uscì nella collana dei "Gettoni", diretta da Vittorini, Iventitre giorni della città di Alba, che oltre al racconto del titolo conteneva, dopo molte revisioni, i Racconti della guerra civile e uno (Ettore va al lavoro) ripreso dalla Paga del sabato.
Sempre nei "Gettoni" fu edito nel 1954 il romanzo, ambientato nelle Langhe, La malora, sulla durezza dei rapporti di lavoro e delle relazioni umane in quel mondo contadino e in quella terra povera e aspra tra Otto e Novecento. Il libro era accompagnato da un singolare risvolto polemico di Vittorini, che metteva in guardia "questi giovani scrittori dal piglio moderno e dalla lingua facile" da una narrazione a "spaccati" e "fette" della vita, "senza saperne fare il simbolo di storia universale". Il F. ne fu contrariato e, pur restando una solida amicizia con Calvino (testimoniata anche da un significativo carteggio), i rapporti con la casa editrice torinese si fecero da allora più incerti.
La malora e i racconti ambientati nelle Langhe (ve ne erano nei Ventitre giorni e molti altri ne sarebbero venuti) costituiscono un rivo importante nella narrativa fenogliana perché situano poeticamente e "antropologicamente" il filone resistenziale, più intensamente percorso nelle opere maggiori, dandogli quel senso di verità, ineluttabilità, non letterarietà che ne costituisce il fascino. E si tratta anche qui di una ricerca che parte da dati reali, vissuti alla radice con grande intensità e sciolti poi in una scrittura tutta "oggettivata": "I vecchi Fenoglio, che stettero attorno alla culla di mio padre (scriveva nel Diario alla data del 18 ag. 1954), tutti vestiti di lucido nero, col bicchiere in mano e sorridendo a bocca chiusa. Che sposarono le più speciali donne delle Langhe, avendone ognuno molti figli, almeno uno dei quali segnato. Così senza mestiere e senza religione, così imprudenti, così innamorati di sé. lo li sento tremendamente i vecchi Fenoglio, pendo per loro (chissà se un futuro Fenoglio mi sentirà come io sento loro). A formare questa mia predilezione ha contribuito anche il giudizio negativo che su di loro ho sempre sentito esprimere da mia madre. Lei è d'oltretanaro, d'una razza credente e mercantile, giudiziosissima e sempre insoddisfatta. Questi due sangui mi fanno dentro le vene una battaglia che non dico" (Opere, III, pp. 208 s.).
Nel 1958 il F. prese contatti con le edizioni di Livio Garzanti, il quale gli fu amico e consigliere (il carteggio tra i due è conservato presso la casa editrice) e nel 1959 gli pubblicò a Milano il romanzo, anch'esso dalla stesura tormentata, Primavera di bellezza, primo frammento dell'epopea partigiana alla quale stava alacremente lavorando. Il libro, che racconta in chiave trasparentemente autobiografica (il protagonista è Johnny, alter ego del F.) la dissoluzione dell'esercito all'8 settembre e il drammatico rientro, fu variamente recensito e ricevette il premio Prato 1960.
Sposò nel 1960 Luciana Bombardi, dalla quale nel 1962 ebbe una figlia, Margherita. Nel 1962, per il racconto Ilmio amore è Paco (edito su Paragone, n. 150), ricevette il premio Alpi Apuane. Ammalatosi di cancro ai bronchi, dal 1962 passò gli ultimi mesi di vita tra periodi di riposo in collina e una clinica di Bra. Ricoverato infine all'ospedale delle Molinette di Torino, gli fu praticata la tracheotomia e, nel taccuino con cui comunicava con i suoi cari, ordinò un "funerale civile, di ultimo grado, domenica mattina, senza soste, fiori e discorsi".
Il F. morì a Torino nella notte tra il 17 e il 18 febbr. 1963.
Non il successo ma solamente una certa notorietà arrise al F. da vivo. Solo successivamente, a mano a mano che emergeva la parte inedita e sommersa degli scritti, si intese il complesso universo poetico che ne sottendeva la ricerca letteraria, e l'opera del F. divenne oggetto di crescente attenzione critico-filologica. Dopo i racconti di Un giorno di fuoco (Milano 1963, parzialmente già preparato dall'autore per la pubblicazione, che includeva il decisivo racconto lungo Una questione privata, su un episodio di guerra partigiana), uscì un importante, complesso e "conclusivo", seppure non terminato, romanzo, Ilpartigiano Johnny (a cura di L. Mondo, Torino 1968), rinvenuto dattiloscritto, seguito dall'ancora inedito La paga del sabato (a cura di M. Corti, Torino 1969). Altri inediti furono raccolti in Un Fenoglio alla prima guerra mondiale (a cura di G. Rizzo, Torino 1973). Infine, nel 1994, fu pubblicato con il titolo Appunti partigiani 1944-1945, a cura di L. Mondo e ancora per i tipi di Einaudi, un manoscritto di recente rinvenimento risalente circa al 1946, che contiene la prima trama della narrativa resistenziale.
Già Un giorno di fuoco, e in particolare il racconto Una questione privata, aveva aperto uno squarcio illuminante sulla poetica fenogliana. Nell'introduzione del 1964 alla riedizione del Sentiero dei nidi di ragno Calvino vi vedeva un punto d'approdo della letteratura resistenziale: "Il libro che la nostra generazione voleva fare, adesso c'è, e il nostro lavoro ha un coronamento e un senso, e solo ora, grazie a Fenoglio, possiamo dire che una stagione è compiuta, solo ora siamo certi che è veramente esistita: la stagione che va dal Sentiero dei nidi di ragno a Una questione privata";in questo "c'è la Resistenza proprio com'era, di dentro e di fuori, vera come mai era stata scritta, serbata per tanti anni limpidamente dalla memoria fedele, e con tutti i valori morali, tanto più forti quanto più impliciti, e la commozione e la furia".
Ma il vero punto d'approdo dell'epopea fenogliana, sarebbe emerso ancora successivamente, con la scoperta e la disamina di quel laboratorio letterario costituito dal Partigiano Johnny (che narra l'intero arco della lotta partigiana, nel più proprio linguaggio del F., della guerra civile, dalla fine del 1943 ai primi del 1945), romanzo rinvenuto in due stesure ma poi abbandonato dall'autore in favore del diverso progetto narrativo, già evidenziato in Primavera di bellezza, dove Johnny viene fatto morire nel settembre 1943, e poi sfociato in Una questione privata, ilcui protagonista è il meno romantico e più disincantato Milton.
Traduttore per diletto e per le serate culturali del Circolo sociale di Alba (T.S. Eliot, G.M. Hopkins, J. Donne, E. Pound), nel 1955 pubblicò su Itinerari la versione di The rime of the Ancient mariner di S. T. Coleridge. Altre sue traduzioni sarebbero uscite postume. Il rapporto del F. con la lingua inglese va tuttavia ben oltre l'attività di traduttore. Non solo costituì permanente verifica dell'efficacia e asciuttezza della propria prosa, ma divenne prima lingua di scrittura, nel senso che egli usava scrivere, totalmente o in parte, in inglese e poi tradurre in italiano.
Ha scritto D. Isella a proposito del Partigiano Johnny (ma il discorso può estendersi all'intera opera del F.): "Chi si è occupato competentemente dell'inglese di Fenoglio [G. L. Beccaria] ne ha messo in evidenza il forte tasso di arbitrarietà o inventività, che lo contrassegna come un privato idioletto ... L'italiano modellato su di esso è altrettanto inventivo e arbitrario... La forza liberatoria della prosa del Partigiano sisviluppa... da un'idea di lingua plastica, malleabile a proprio talento; e opera sfruttando, al limite estremo, le possibilità implicite nell'italiano, come in diverso grado in ciascun sistema linguistico, i cui meccanismi creativi, anchilosati per lo scarso uso, vengono vitalmente riattivati. Non, dunque, una lingua raggelata, fossile, con cui scontrarsi; ma una lingua magmatica, con cui collaborare creativamente. Il risultato è una prosa incessantemente produttiva di neoformazioni lessicali, morfologiche e sintattiche" (Romanzi e racconti, pp. XVIs.).
Fonti e Bibl.: Carte e documenti sono raccolti ad Alba presso il Fondo Feneglio. Raro esempio nella letteratura italiana dei Novecento, l'opera del F. ha dato luogo a importanti studi critici (particolarmente rilevanti quelli sulla lingua e quelli relativi al problema della datazione degli scritti pubblicati postumi, in specie del Partigiano Johnny) e a due raccolte di robusta lena filologica: Opere, a cura di M. Corti, I-III, Torino 1978; Romanzi e racconti, a cura di D. Isella, Torino 1992 (con cronologia alle pp. XLV-LXIV e con bibl. essenziale alle pp. 1668-1675). Per una bibliografia vedi F. De Nicola, Introduzione a F., Roma-Bari 1989. Tra i lavori utili o significativi, senza pretesa di completezza: P. Chiodi, F. scrittore civile, in La Cultura, III (1965), pp. 1-7; G. Lagorio, B. F., Firenze 1969 (e poi 1982); G. Falaschi, La Resistenza armata nella narrativa ital., Torino 1976; La critica e F., a cura di G. Grassano, Bologna 1978; M. Corti, B. F. Storia di un "continuum" narrativo, Padova 1980; R. Bigazzi, F.: personaggi e narratori, Roma 1983; G. L. Beccaria, La guerra e gli asfodeli. Romanzo e vocazione epica in B. F., Milano 1984; E. Saccone, F. I testi, l'opera, Torino 1988; M. Pietralunga, B. F. and English literature: a study of the writer as translator, Berkeley-Los Angeles-London 1988; F. Vaccaneo, B. F. Le opere, i giorni, i luoghi: una biografia per immagini, Cavallermaggiore 1994; M. Fenoglio, Casa Fenoglio, Palermo 1995, passim.