FERRONI, Giuseppe
Figlio di Antonio e Paola Liberatori, nacque a Roma il 7 ott. 1714 (Bonaccorso, 1992). Non si hanno notizie della sua attività prima del 1737, quando figura nei documenti della casa Moroni come "architetto del Cavalier Valeriano Moroni" a Roma (collez. privata). A tale incarico si alternò -, per diversi anni, con G. Valvassori, tanto da far ritenere, constatata la giovane età del F., che la sua carriera iniziasse presso il noto architetto di palazzo Doria. Tali considerazioni, che pongono in evidenza la sua iniziale attività pratica di misuratore e stimatore, trovano conferma nel 1739, quando il suo nome compare presso il tribunale delle Strade quale "giovane" di F. Barigioni, architetto sottomaestro delle Strade. Nello stesso anno il F. risulta essere aiuto e allievo di Francesco Bianchi, nel rifacimento dell'ala su piazza della Rotonda di palazzo Giustiniani. Tale apprendistato doveva influire notevolmente nelle opere future del F., che avrebbero recato molteplici elementi figurativi dedotti da una raffinata cultura rococò. Tra il 1743 e il 1749 egli partecipava a ricognizioni del tribunale delle Strade e redigeva perizie come architetto di F. Morelli (1743), del marchese C. Guidi (1745) e dei padri di S. Lorenzo in Lucina (1749) (Bonaccorso, 1991).
Nel 1746 realizzava per i chierichi minori il palco della musica per la festa di S. Lorenzo in Lucina, operazione che si ripeteva esattamente l'anno successivo. Succedendo a C. Marchionni, dal 1748 il F. può essere considerato "architetto dei padri di S. Lorenzo in Lucina", per i quali negli anni successivi avrebbe tarato con regolarità i conti degli artisti impiegati in lavori e riattamenti alle diverse proprietà dei chierici minori.
In tale ambito il F. dirigeva e progettava rilevanti lavori atti a condottare l'acquaPaola nella vigna dei medesimi padri fuori porta S. Pancrazio; mentre nel 1750 coordinava gli apparati per la esposizione in chiesa delle Quarantore (Bonaccorso, 1992).
Attivo sin dal 1745 per i chierici regolari minori dei Ss. Vincenzo e Anastasio in piazza di Trevi, è documentato come "architetto" a partire dal 1750, probabilmente succedendo a F. Bianchi che con regolarità sino al 1737 tarava i conti di detti padri, e a F. Ottoni, che si alternava con il F. nei registri della Congregazione tra il 1738 e il 1745 (ibid., p. 53).
Nel 1754 fu incaricato di stilare una stima, per conto dei frati minori conventuali, dei progetti di N. Salvi per la nuova facciata dei Ss. Apostoli. Tale incarico fece da prologo al lungo e assiduo rapporto con i conventuali, che, iniziatosi dopo la scomparsa del Salvi e accompagnato sovente da diversi attestati di stima, si esaurì solo per la morte del Ferroni.
È da rilevare come nel 1768 avesse fornito il disegno per l'altare di S. Giuseppe da Copertino nella chiesa dei Ss. Apostoli, non realizzato per la disapprovazione di una commissione di periti composta da C. Marchionni, P. Posi e N. Giansimoni (ibid., p. 56).
Nel 1757 il F. sposò Geltrude Giacchini, che gli diede i figli Antonio (nato nel 1758) e Vincenzo (nato nel 1760) (Bonaccorso, 1994, p. 152).
La sua prima opera finora conosciuta è da identificarsi con la realizzazione ad Anagni del convento di S. Giovanni per conto dei chierici minori nel periodo 1760-62 (Anagni, Arch. storico, Riformanze). L'opera mostra alcuni caratteri di derivazione borrominiana, come la vivace convessità della soluzione angolare, che fa il verso ad espedienti già visti in precedenti opere di F. Barigioni.
Durante gli anni 1757-65, il F. proseguì il restauro del convento dei padri minori conventuali di S. Lorenzo a Piglio, iniziato nel 1736 da C. De Dominicis. Per gli stessi padri, tra il 1761 ed il 1773, definiva completamente il complesso religioso, erigendo su suo disegno la nuova chiesa di S. Lorenzo, di pianta ovale trasversa con quattro cappelle radiali.
La pianta della chiesa trova il suo referente nell'esempio berniniano di S. Andrea al Quirinale, dal quale riprende l'ingresso disposto sull'asse minore, l'adozione del pieno murario in corrispondenza dell'asse trasversale, nonché la disposizione radiale delle cappelle. Ma il F. esalta la struttura dinamica interna attraverso l'uso di membrature verticali che, sovrapponendosi alla continuità della cornice, si ricollegano alle costolature della volta sovrastante. Le decorazioni in stucco, pur memori del Borromini, si raccordano all'armonia delle linee per l'elegante sobrietà, e danno alla chiesa una graziosa veste tardobarocca. All'esterno la chiesa è caratterizzata dall'uso sistematico del mattone, che ricorda nel tiburio il "non finito" borrominiano di S. Andrea delle Fratte. La facciata, in parte ricostruita dopo il secondo conflitto mondiale, mantiene tuttavia i caratteri salienti dell'originale; riprende la convessità della chiesa ed è caratterizzata da un blocco centrale che accentua una verticalità contenuta da un timpano triangolare.
Tra il 1755 e il 1761 il F. realizzò la casa ad appartamenti per il marchese O. Ceva Buti a via del Gambero, usuale esempio d'intervento minore del secondo Settecento romano. Dello stesso periodo (1760) è il restauro della casa sita in Borgo Nuovo per l'Arciconfratemita del Ss. Sacramento in S. Maria sopra Minerva: progetto assai convenzionale che testimonia l'importanza dell'intervento manutentivo per conservare un costante valore di rendita all'immobile. Per la stessa committenza il F. stese, nel 1765, la stima di quattro modeste case in Borgo Sant'Angelo.
Tra il 1760 ed il 1763, in qualità di architetto dei chierici minori, fornì il disegno del nuovo altare maggiore della chiesa di S. Maria Maggiore della Pietrasanta a Napoli (ora distrutto). Probabilmente entro il 1764 progettò per M. d'Aste Bellarmini il casino della sua vigna a Roma in Prati, andato perduto per la costruzione dell'attuale piazza Cavour.
La fase più significativa della sua carriera artistica coincise, comunque, intorno al 1762, con l'inizio della risistemazione dell'isolato comprendente la chiesa dei Ss. Vincenzo e Anastasio a Trevi in Roma. Gran parte della proprietà dell'area era in possesso dei chierici regolari minori, i quali incaricarono l'architetto di trasformare fatiscenti casette in due grandi casamenti d'affitto e di ampliare il convento annesso alla chiesa. Il primo rilevante intervento, realizzato tra il 1764 e il 1766, è da identificarsi con la casa per abitazioni di piazza Scanderbeg (Bonaccorso, 1992, p. 58).
Tipico esempio di edilizia settecentesca, il tema della casa d'affitto era destinato ad incontrare un crescente successo nel panorama immobiliare romano, sia per l'alta mobilità dei ceti capitolini, sia per la coinvolgente possibilità creativa che un tema del genere suscitava nell'ambiente artistico. A piazza Scanderbeg il F. reinterpretò questo prototipo per mezzo di un garbato gusto rococò, ricercato sia attraverso l'elegante ritmo verticale suggerito dalle paraste, sia attraverso il motivo del portale, in cui reminescenti linee borrominiane ridisegnano plasticamente lo spazio circostante (Bonaccorso) 1994, pp. 145-147).
Lo stesso tentativo di mediare il tema del palazzo plurifamiliare con quello rappresentativo della casa religiosa si ritrova nel vero capolavoro del F., la realizzazione, cioè, della fabbrica di via del Lavatore, edificata tra il 1764 e il 1771 per i chierici regolari minori.
L'edificio è articolato su tre piani più un mezzanino, compresi lateralmente fra lesene che, seguendo una partizione verticale suggerita dal palazzo Pichini dello Specchi, suddivide la facciata in cinque campate. Mentre la mediana e le estreme sono caratterizzate dal motivo delle finestre incolonnate, le campate intermedie sono costituite da file di tre finestre. L'ingresso al convento è sottolineato dal superbo portale sul Lavatore, nel quale complesse matrici geometriche determinano una plastica concavità, che, animata ulteriormente dal soprastante timpano circolare, tende ad accentuare la verticalità del campo centrale. L'importanza dell'opera del F. è da individuare anche nella singolare ricerca spaziale che si attua negli ambienti interni; in particolare si fa riferimento al brevissimo colonnato prospettico dell'atrio o alla saletta ottagona attigua alla sagrestia, caratterizzata da una volta stellare che definisce una indirizzata contrazione dello spazio.
Nello stesso periodo, il F. era occupato anche da importanti lavori interni alla chiesa dei Ss. Vincenzo e Anastasio a Trevi e ai siti annessi.
Tali interventi consistevano nella costruzione della nuova tribuna, della finta cupola ribassata, della sagrestia, dell'aula capitolare, della biblioteca, di nuovi coretti, della cappella battesimale, della cantoria con organo (con C. Werlè), dei confessionali e della bussola d'ingresso (Bonaccorso, 1992, p. 60).
Estraneo al generale gusto classicista, il F. rimase l'ultimo coraggioso reinterprete di modelli borrominiani; e, come altri rappresentanti del barocchetto romano, terminò la sua carriera in disgrazia economica e professionale.
Morì a Roma il 7 sett. 1771 (ibid., p. 66).
Secondo quanto dichiarato dai chierici minori, va considerata con interesse l'ipotesi che lo propone come maestro di M. Simonetti (ibid., p. 84); tuttavia come suo allievo è identificabile, documentariamente, "nello spazio di anni cinque", soltanto Tommaso Alberti (ibid., p. 86).
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Roma, Chierici reg. minori in S. Lorenzo in Lucina, b. 1568;Anagni, Arch. storico, Riformanze, XXV, cc. 135, 139, 142, 144; P. Zappasodi, Anagni attraverso i secoli, Veroli 1908, pp. 234-236, 250; P. F. Santilli, La basilica dei Ss. Apostoli, Roma 1925, p. 82; E. Zocca, La basilica dei Ss. XII Apostoli in Roma, Roma 1959, pp. 64, 96, 146; B. Teulli Coccia, La provincia romana dei frati minori..., Roma 1967, p. 366; A. Pugliese - S. Rigano, Martino Lunghi il Giovane architetto, in Architettura barocca a Roma, a cura di M. Fagiolo dell'Arco, Roma 1972, p. 107 n. 175; S. M. Pellegrini, Il beato Andrea Conti, Piglio 1973, pp. 75 s., 78; C.Elling, Rome, the biography of its architecture..., Tübingen 1975, pp. 187 s.; A. Blunt, Guide to Baroque Rome, London 1982, p. 152; P.Portoghesi, Roma barocca, Roma 1984, pp. 451 s.; I.Liberale Gatti, La basilica dei Ss. XII Apostoli, Roma 1988, p. 16; G. Bonaccorso, F. G., in In Urbe architectus... (catal.), a cura di B. Contardi-G. Curcio, Roma 1991, p. 365;Id., L'opera architettonica di G. F., e le vicende costruttive del convento dei chierici minori in via del Lavatore, in Architett. città territorio (Studi sul Settecento romano, n. 8), Roma 1992, pp. 50-87; Id., Le figure e l'opera di F. Bianchi, in Roma borghese, I (Studi sul Settec. romano, n. 10), Roma 1994, pp. 77 n. 62; Id., La presenza dei chierici minori nel rione Trevi ..., ibid.,pp. 143-156; P.Portoghesi, Roma barocca, Roma 1995, pp. 450 s.,460-464, 535, 579.